L’Infame Giuramento_V Parte (Paladino di Numenor e dei suoi compagni)

Bentrovati! Proseguo in questo nuovo articolo la narrazione degli eventi che condussero alla fine del regno di Miriel e all’ascesa di Pharazon come nuovo re di Numenor. Nel precedente articolo mi ero soffermato sulla figura di Morlok, una sorta di Ministro delle Finanze, al quale era affidata la gestione della parte economica del regno. In questo articolo, invece, scopriremo con quali modalità si verificò l’ascesa di suo figlio, il giovane ammiraglio Eargon, che diverrà ben presto uno dei protagonisti del colpo di Stato che porrà fine al regno di Miriel. Il titolo che ho scelto per questo articolo, tuttavia, non fa cenno alla figura di questo ambizioso individuo, ma a quella di Erfea, che qui possiamo ammirare non solo per il suo coraggio, ma anche per le raffinate doti di oratore, apprese durante gli anni della sua formazione giovanile.

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«Alcuni mesi dopo la nomina del figlio ad ammiraglio del regno, Morlok disparve e nessuno poté mai indovinare quale sorte avesse incontrato, ché egli era molto riservato e noi, al principio, non sospettavamo alcunché; infine, tuttavia, divenne palese a tutti che aveva dovuto soccombere dinanzi ad un nemico implacabile, sicché alcuni presero a mormorare che il suo crudele aguzzino non fosse altri che uno dei Consiglieri della Sovrana, ché il pugnale rinvenuto accanto al suo corpo orrendamente sfigurato recava incise rune intrise di grande potere.
Tar-Miriel prestò ascolto a queste voci sussurrate nell’ombra ed ordinò che le armi dei principi Numenoreani fossero consegnati ai capitani della sua guardia; grande fu il suo disagio allorché si avvide che fra le gloriose lame disposte innanzi ai suoi occhi vi era un fodero che ben conosceva; tuttavia, ancor prima che fosse pronunciata una condonna, lesta si sparse per tutta l’isola la voce secondo la quale il principe Brethil, mancando ai suoi doveri di vassallo della sovrana, aveva obliato di consegnare le sue armi secondo gli ordini ricevuti; la regina, la quale, invero, ben poco affetto nutriva nel cuore per l’Orbo, prese a sospettare della sua persona e ordinò che le si presentasse innanzi. Giunto che fu dinanzi alla sovrana, ella si levò furente dal suo scranno, rimembrandogli quanto infame fosse stata la sua condotta; levatomi a mia volta, presi le difese dell’anziano principe del Mittalmar, sostenendo la sua innocenza dinanzi alla colpa di cui era accusato, ché egli si era recato nell’estremo meridione della Terra di Mezzo ed era giunto alla sua patria solo al sorgere del sole di quel lontano giorno; allora Tar-Miriel parve acquietarsi, e sedette nuovamente sul suo trono, sempre tenendo lo sguardo fisso su di me. Il capitano della sua guardia, tuttavia, sussurrò all’orecchio della sovrana il suo pensiero ed ella, benché sul suo viso fosse ricomparsa la rabbia, pure manifestò un’amara soddisfazione, apostrofando con tali parole Brethil: “Non pago dell’accusa che grava sul vostro capo, attirate sventure ben peggiori di quelle che la vostra dimenticanza potrebbe procurarvi”.
“Dell’accusa ingiusta che avete mosso nei miei confronti, il nobile Erfea degli Hyarrostar ha testé dimostrata l’infondatezza. A cosa alludono, dunque, la vostra parole? Di quale nuovo misfatto si è macchiata la mia casata?” Sarcastico era stato il tono che Brethil aveva adoperato nel rispondere alla sua accusatrice, ché egli provava avversione nei confronti di Tar-Miriel ed era incapace di occultarla agli sguardi altrui; pure, alto risuonò il riso della sovrana ed ella pronunziò tali parole di sfida: «È consentito mostrare lealtà agli Uomini che riconoscono le proprie colpe e chiedono grazia per quanto hanno commesso; ma coloro che si macchiano di crimini infami nulla possono dichiarare che non sia un’ulteriore prova della loro colpevolezza. Ben m’avvedo quanto tempo abbia atteso, Brethil del Mittalmar, per ordire un complotto contro la mia autorità; ebbene, ogni tua speme si è rivelata falsa e l’ora del verdetto è giunta anche per te” – e così dicendo, levò in alto il pugnale che si era macchiato della morte di un uomo tanto probo quanto ingenuo e lo accostò al vuoto fodero di Brethil; le rune che erano incise sulla lama presero a risplendere di una luce rossa, sicché parve a tutti che egli fosse l’assassino di Morlok; pure, levata la mia voce affinché tutti potessero ascoltarla, così parlai:
“Numenoreani, come può un uomo, il cui destino sia stato segnato da una iniqua condanna ancora prima di ottenere la parola e tentare di discolparsi, ottenere giustizia? Privato del suo pugnale, Brethil è ora accusato di aver commissionato l’omicidio ad uno scaltro assassinio: sorte invero infausta per un uomo che subì un furto, quella di sentire proclamato un destino di morte, a causa di una colpa che non ha mai commesso!
Riconosco che egli avrebbe potuto prestare la sua lama ad un sicario ancor prima di salpare; tuttavia, non ritenete che un simile uomo si dimostrerebbe invero molto avventato o molto sciocco se agisse in siffatto modo? Chiunque avrebbe potuto agire come la nostra sovrana e scoprire che tale lama era proprietà del principe del Mittalmar; tuttavia, se mi è lecito avanzare un dubbio, in difesa non solo di un amico, ma di un uomo la cui lealtà nei confronti dello Stato mai è venuta meno in questi anni, non è stato forse possibile che l’assassinio abbia sottratto il prezioso cimelio per commettere un atto feroce, sperando che la colpa ricadesse su altri?
Fra voi sono alcuni, questo lo so, che ben ricorderanno, o perché erano giovinetti, come lo ero io, o perché ebbero sentore di queste storie dai loro padri e precettori, l’orrendo misfatto di cui si macchiò Arthol: ed egli è, come è noto, il parente più prossimo a Brethil; tuttavia, se il vostro giudizio privilegiasse tali parentele nell’attribuire le colpe, allora la nostra stessa sovrana dovrebbe essere accusata di alto tradimento, essendo ella nipote di Gimilzor il Crudele, del quale tutti, in questo consesso, ricorderanno gli scellerati crimini di cui si macchiò in vita”.
Così veemente era stata l’orazione che nessun Numenoreano osò contrastare la mia voce con la sua; finanche la regina, dopo avermi ascoltato si risiedette e restò in pensoso silenzio; infine, allorché l’eco della mia arringa si spense, così parlò: “Paladino di Elenna e paladino dei suoi compagni; un ruolo che ben ti si addice, Erfea Morluin. Dispongo che Brethil del Mittalmar sia privato dei suoi incarichi a corte finché non sarà accertata la sua colpa o la sua innocenza; egli, tuttavia, non sarà tratto in catene e potrà liberamente svolgere i propri affari, a patto che non abbandoni l’isola”.
Udita la condanna, Brethil chinò il capo, e furente abbandonò il Consiglio; la chiara voce della sovrana, tuttavia, lo arrestò che era ancora nella sala: “L’incarico che un tempo apparteneva al principe Brethil sarà d’ora in avanti e per tutto il tempo che riterrò necessario, di Eargon; possa egli dimostrarsi valido quanto lo fu il compianto padre”.
Il figlio di Morlok, allora, si levò dallo scranno e la sua soddisfazione era palese in volto; egli, tuttavia, non proferì parola e, baciata la mano della sovrana, lasciò il consesso, seguito dagli altri principi: quanto a me, rimasi seduto, avendo intenzione di discorrere con Tar-Miriel allorché fossimo rimasti soli, ma ella abbandonò la sala, accompagnata dalle sue guardie del corpo.
Quella sera, mentre ero intento a cenare, un servo venne da me e pronunciò queste parole: “Mio signore, il principe Brethil è giunto al cancello e chiede udienza”; lesto, allora, senza terminare il pasto, abbandonai il desco e giunsi di gran carriera al salone ove il mio ospite, nel frattempo, aveva trovato degna sistemazione. A lungo egli mi guardò, infine, un sorriso di gratitudine comparve sul suo sfigurato volto: “A te, amico mio, devo ben più della salvezza, ché, se non fosse stato per il tuo intervento agguerrito, ingiusta punizione sarebbe stata inflitta al mio capo”.
Sorrisi a mia volta e ci stringemmo in un caloroso abbraccio; infine, così gli parlai: “Brethil, è in atto un nuovo inganno a danno della sovrana di Elenna; se tu fossi stato condannato quest’oggi, non lei, ma il suo aguzzino avrebbe trionfato”.
“Credi dunque che vi sia Pharazon dietro a tutto questo? Io, però, pur condividendo i tuoi timori, non lo ritengo capace di atti sì astuti, ché egli ha sempre mostrato scarsa intelligenza nelle sue decisioni e se fosse responsabile di tali trame, pure ne sarei molto sorpreso. Bada piuttosto che Tar-Miriel non dimentichi la sua lealtà presso coloro che la servono, ché se questo avvenisse molto ne avrebbero a soffrire i paladini di Elenna”.
Vi erano rancore ed amarezza nella sua voce ed io, sebbene fosse lungi da me l’astio che in quel momento si agitava nel suo spirito, non potevo fare a meno di pensare a quanto veritiere fossero le sue parole; nulla però mostrai di quanto provavo e così risposi: “Eppure, se anche Pharazon risultasse estraneo a questi complotti, pure vi sarebbero altri a tramare nell’ombra; credo, amico mio, che finanche dei membri del Consiglio dello Scettro dovremmo prendere a diffidare”.
Nessuna risposta diede Brethil alle mie parole, né io aggiunsi nulla a quanto avevo detto; pure, i nostri pensieri corsero all’unisono a Eargon ed egli era sovente al centro delle mie preoccupazioni.
Tutto quanto ho narrato, avvenne alcune settimane innanzi che la guerra civile avesse inizio; prima di imbarcarci diretti ai lidi di Endor, Tar-Miriel revocò la sua condanna nei confronti di Brethil ed egli ottenne nuovamente quanto gli era appartenuto un tempo; nulla però, poteva ormai essere mutato nel suo cuore ed egli sempre diffidò della figlia di Tar-Palantir; un giovane ladro fu tosto accusato dell’assassinio di Morlok e condotto al patibolo, ché Tar-Miriel non intendeva portare avanti un processo che aveva desiderio di concludere quanto prima, essendo il suo cuore voglioso di ottenere giustizia sul suo anziano mentore».

L’Infame Giuramento_IV Parte (La storia di Morlok l’Occultatore)

Bentrovati! Proseguo la narrazione de «Il Racconto dell’Infame Giuramento», presentando una nuova figura, alla quale fin ora ho rivolto solo qualche cenno nel corso della trattazione: Morlok, una sorta di Ministro delle Finanze di Numenor, padre dell’ammiraglio Eargon, che avete avuto modo di conoscere leggendo «Il Racconto dell’Ombra e della Spada». In questa parte del racconto mi soffermerò su un aspetto che, di solito, nei racconti epici o fantasy viene trascurato, ossia il risvolto economico di queste vicende: intraprendere una guerra, una rivolta e, più in generale, tenere il governo di uno Stato potente come Numenor, infatti, richiedeva una certa disponibilità di denaro liquido: questa è la ragione per cui uomini apparentemente insignificanti come Morlok, in realtà, possono rivelarsi ancora più determinanti di un Paladino…

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«Coloro che erano con lui si levarono allora dai propri scranni e si apprestarono a raggiungere il desco; non era però con loro Erfea, ché egli rimase nella radura, contemplando le stelle di Varda sbocciare, come fiori argentati nella notte, ad occidente; allorché i suoi compagni furono di ritorno, lo trovarono che pareva addormentato: pure, così non era ed egli, al contrario, era immerso in profonda meditazione. Uditi i passi di coloro che gli si facevano incontro, il figlio di Gilnar si levò dal suo scranno e invitò i compagni a disporsi accanto a lui; con loro era adesso Glorfindel, ché molto ambiva conoscere eventi di cui gli erano giunti solo pallidi echi.
Erfea attese che il silenzio regnasse fra loro, infine levò nuovamente la sua voce ed essi lo stettero ad ascoltare.
“Vi fu, in seno al Consiglio dello Scettro, molta confusione in seguito alla mia proposta e non poche furono le voci di coloro che discussero al suo interno; alcuni erano per obbligare Tar-Miriel a rinunciare al trono e a nominare un nuovo sovrano fra loro che non avesse tema di arrestare Pharazon, stante l’accusa di alto tradimento; altri, e fra questi vi era anche Amandil, esortavano i presenti affinché ogni decisione fosse rimandata all’indomani della successiva seduta del Consiglio dello Scettro, che si sarebbe tenuta alcune settimane più tardi; comune a tutti, però, era la volontà di proseguire la guerra contro Pharazon: inviammo, allora, messaggeri ai nostri alleati, pregandoli di inviarci rinforzi prima che le armate del governatore ribelle piombassero su di noi, ma la nostra speme andò quasi del tutto delusa, ché alcuni araldi, infatti, furono trucidati dal Nemico prima di giungere a destinazione, mentre altri si smarrirono nelle selve e nelle paludi di Endor.
Di quei pochi che pervennero ai reami dei popoli liberi, avemmo notizie dopo una lunga attesa, ché le strade erano occupate dalle armate dei Neri e dalle loro spie; tuttavia, allorché essi furono di ritorno, confermarono le nostre peggiori paure, ché asserirono non sarebbero giunti aiuti da Khazad-Dum, mentre gli Uomini del Rhovanion avevano edificato i loro accampamenti al di là del mare di Rhun ed erano per noi irrangiugibili: solo gli Elfi risposero al nostro appello ed inviarono viveri ed armi.
Reso perplesso ed inquieto da tali notizie, compresi poco o punto le ragioni che avevano spinto i signori di Khazad-Dum a venire meno alla nostra alleanza, tanto più che erano state scorte spie di Pharazon aggirarsi lungo i tortuosi sentieri che conducevano alla rocca dei figli di Aule; grande fu la paura che mi colse, perché temetti che presto sarebbe stata instaurata un’alleanza fra i Naugrim ed i Numenoreani Neri; tuttavia, come vi spiegherà Naug-Thalion, i miei timori non trovarono conferma.
“A quell’epoca – interloquì il principe del popolo dei Naugrim – vi erano discordie anche all’interno del nostro Consiglio Supremo, ché alcuni premevano affinché i Fedeli di Elenna fossero sostenuti, mentre altri, infidi e pavidi, ritenevano sarebbe stato più saggio per il nostro reame se nessuna alleanza fosse stata stretta con quelle genti, temendo che le ricchezze di Khazad-Dum sarebbero state concupite dai Dunedain e che la gloria del nostro popolo sarebbe stata oltraggiata se avesse preso parte alle guerre fra i Numenoreani.
Per lungo tempo, quanti erano della mia schiatta riuscirono a contrastare la perniciosa influenza che consiglieri pavidi detenevano all’interno della corte, finché essa non trionfò e il sovrano non prestò ascolto alle subdole parole dell’opposta fazione; alcuni fra noi, allora, presero a inviare aiuti ai paladini di Elenna clandestinamente, contravvenendo agli ordini del re.
Ahimé, mai Durin IV avrebbe dovuto ascoltare tali infidi consiglieri, ché essi agivano spinti dalle medesime debolezze che attanagliavano sovente i cuori dei Naugrim, timorosi come erano di perdere i tesori che il nostro popolo aveva accumulato nel corso di lunghi secoli; fu fatto divieto a ciascuno dei principi del regno di soccorrere entrambi i contendenti e se questo fu, indubbiamente, di grande impedimento e danno per i capitani di Erfea, tuttavia provocò le medesime conseguenze anche per i loro nemici ed essi, ancora per qualche tempo, furono respinti”.
“Allorché mi giunsero tali notizie – riprese a parlare Erfea – sebbene non provassi nel cuore letizia alcuna, pure mi avvidi che finanche i miei avversari non avrebbero potuto godere di alcun aiuto; resistemmo, dunque, ancora per qualche mese, finché un nuovo evento, ancor più grave di quanti ho finora narrato innanzi a voi, colpì il mio partito e segnò le sorti di Numenor”.
“Se le tue parole non mi ingannano, Erfea Morluin, devo dunque dedurre che ancora non era stata presa una decisione in seno al Consiglio dello Scettro che privilegiasse la lealtà alla Corona o al popolo Numenoreano” osservò Glorfindel, campione fra gli Elfi.
“In verità, figlio di Gondolin, la decisione, nel cuore di ciascuno di noi, era stata già presa; tuttavia, poiché i Numenoreani di Pharazon risalivano da Sud rapidamente, pure si era detto che, fino al giorno in cui la pace non avesse trionfato nelle contrade abituate dai Dunedain, essa sarebbe stata taciuta”.
Erfea s’interruppe per qualche istante, indì proseguì: “All’epoca, tuttavia, non ci avvedemmmo della nostra ingenuità e in questo errammo a lungo, ché ignoravamo quali alleati sostenessero Pharazon nella sua lotta per impugnare lo scettro di Elenna; poche o punte certezze vi erano, sebbene io credessi che fra essi si occultasse almeno uno degli immortali servi dell’Oscuro Signore; questi, tuttavia, erano abili nell’occultarsi e si tenevano lontani dalla mia lama, sicché io scoprii le loro identità quando era ormai troppo tardi.
Scarsi erano, come vi ho testé narrato, i fondi di cui disponevamo per proseguire nella lotta contro i Numenoreani Neri, sicché in quei giorni la nostra unica fonte era costituita dal Tesoro Reale di Numenor, di cui era stato nominato Sovrintendente Morlok, il cui lignaggio era affine al mio, condividendo i medesimi padri; inusuale era stata la scelta della sovrana, ché mai, nella millenaria storia della nostra isola, un simile incarico era stato affidato alla sua stirpe, essendo stato, un tale compito, da sempre prerogativa dei principi del Mittalmar; pure, Tar-Miriel non aveva fiducia alcuna dell’unico superstite di tale casato, Brethil l’Orbo, così chiamato perché aveva perduto un occhio durante una delle battaglie contro gli Uomini del Re, dal momento che egli era cugino di Arthol il Rinnegato, condannato a morte per altro tradimento molti anni prima.
Non mi soffermerò ulteriorarmente su queste vicende, ché esse non riguardano tale narrazione; mi è sufficiente dire che Brethil, al contrario del corrotto cugino, era invece uno spirito lungimirante e privo di malizia, sicché egli, pur non alzando lamento alcuno durante le sessioni del Consiglio dello Scettro, pure soffriva per la sua mancata nomina a Sovrintendente del Tesoro, ché la riteneva, e a ragione, umiliante e priva di ragione alcuna: inutilmente tentai di persuadere Tar-Miriel affinché ella si ravvedesse sulla sua scelta e compisse atto di umiltà e giustizia, restituendo a Brethil la carica che apparteneva alla sua casata fin dai tempi di Elros Tar-Minyatur.
Poco o punto era stato possibile apprendere da Morlok, ché era riluttante nel parlare e conduceva vita solitaria; l’Occultatore presero a chiamarlo, ché si diceva fosse in grado di nascondere qualunque suo pensiero ai Saggi del Regno e finanche alle aquile di Manwe; non so quanta verità vi fosse in una simile diceria, ché lo sguardo di uno solo fra gli araldi del Signore dei Valar è arduo da sostenere ed essi leggono molto delle nostre intenzioni; ad ogni modo, egli si mostrò abile nella gestione delle finanze dello Stato ed il popolo benediceva sovente il suo nome, allorché lo scorgeva aggirarsi nei vicoli di Armenelos.
Per lunghi anni, dunque, Morlok ottenne l’amicizia dei membri del Consiglio dello Scettro e della Regina, la quale, tosto, prese a benevolere la sua casata, onorandola con ricchi doni, di cui il Sovrintendente, tuttavia, non amava fare sfoggio. Morlok prese moglie in tarda età, finanche secondo il metro dei Numenoreani, e la sua consorte aveva nome Linwen, una dama cara a Tar-Miriel come fosse una sorella; tale unione rafforzò il legame tra Morlok e la Regina di Numenor ed ella prese a confidarsi con lui, mostrandogli tesori quali mai occhi mortali che non fossero appartenuti alla stirpe dei sovrani avevano ammirato; un figlio allietò la dimora del Sovrintendente ed il suo nome era Eargon. Allorché furono trascorsi dieci anni, l’erede di Morlok si imbarcò su di una nave e nel volgere di un trentennio divenne un esperto capitano, sicché fu promosso Vice-Ammiraglio del Regno; quando questa notizia si diffuse a Numenor, non pochi ebbero a sussurrare che Eargon sarebbe presto divenuto un condottiero la cui fama avrebbe oscurato quella di qualunque altro paladino di Elenna; essi, tuttavia, non si avvidero che il giovane comandante era divenuto seguace di Pharazon ed ambiva ottenere conoscenze arcane, quali mai gli Uomini della sua stirpe avevano domandato e che sarebbe stato saggio non concupire mai; egli fu dunque corrotto e sedotto da Adunaphel e ne divenne lo schiavo preferito, nonché quello di gran lunga più potente”.
“In nome di Bema – proruppe allora la voce colma di orrore di Aldor Roc-Thalion – cosa accadde dunque a quel giovane, allorché la sua volontà fu annientata ed egli cadde vittima dell’Ombra? Non è ancora trascorso un giorno dacché ho udito la tua spaventosa storia sul maniero dei Nazgul e il mio cuore trema al pensiero di quale infausto destino possa aver conosiuto un siffatto Uomo!”
“Invero, il suo fu un destino di morte, ché egli aveva appreso le Arti Oscure ed era divenuto un capitano di mare quale pochi potevano vantare di eguagliare, né gli erano sconosciuti i segreti del Regno che il padre, per sua e nostra sventura, aveva osato narrargli, non sospettando alcunché. Eargon, allora, divenne una formidabile spia al servizio di Pharazon; eppure, le disgrazie maggiori dovevano ancora accadere».

L’Infame Giuramento_III parte (Una scelta difficile)

Bentrovati! Proseguo, in questo articolo, la narrazione degli eventi che condussero alla caduta di Numenor. Dopo aver avuto un alterco con Miriel in merito alla sua lealtà nello scorso articolo L’Infame Giuramento_Parte II (A chi va la mia lealtà?), Erfea prosegue la narrazione degli eventi passati ricordando la difficile scelta che si prospettò ai capitani lealisti di Numenor: deporre le armi per assoggettarsi a Pharazon e concludere così la guerra civile iniziata alcuni mesi prima, oppure resistere andando contro Pharazon e la loro stessa regina che richiedeva la pace tra le due parti. Del brano che ho trascritto mi piace rilevare l’umanità di Erfea, che si coglierà non solo nel confronto con Amandil ed Elendil, ma anche nel valutare i suoi sentimenti per Miriel, che dovevano essere oggetto di grande curiosità per i suoi contemporanei, attirandogli non poche critiche e perplessità.

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«”Avventata fu invero la decisione di Tar-Miriel, Erfea – interloquì allora Aldor Roc-Thalion – eppure io non comprendo per quale motivo ella agì seguendo la via della stoltezza anziché della prudenza. Fu forse per follia o per qualche altra ragione che la regina di Numenor venne meno ai suoi doveri dinanzi al popolo?”
“Signore dei cavalli, all’epoca non compresi quale oscura trama si celasse dietro un’azione tanto avventata. Credevo, come molti altri, che la mente di Miriel fosse stata ingannata da qualche oscuro sortilegio e che ella fosse divenuta succube di uno dei servi di Pharazon, o, addirittura, del cugino stesso; ed in questo, come mostrarono gli eventi successivi, non mi ero sbagliato di molto, ché invero ella era caduta vittima della nequizia del figlio di Gimilkhad; eppure, vi erano altri motivi per i quali simili gesti venivano compiuti e, all’epoca, essi mi erano in gran parte ignoti; quanto accadde nei giorni seguenti mi dimostrò che, sovente, gli inganni orditi dagli uomini intrappolano, ancor prima delle loro vittime, quanti ne sono i folli artefici”.
Penosi mi apparvero i volti dei comandanti di Numenor allorché ritornai da loro latore di novelle di cattivo auspicio, e per lungo tempo essi non osarono parlare; dopo alcuni istanti che parvero non avere mai fine, si levò la voce di Amandil della casata di Andunie: “Miei signori, è stato ordito un oscuro inganno alla casa dei reggenti di Numenor; la nostra lealtà ci consiglierebbe di prestare fede al giuramento che stringemmo allorché fummo proclamati paladini del regno; non mi sbaglio, forse, affermando che fra noi vi sono tutti coloro che siedono al Consiglio dello Scettro e che detengono le sorti della nostra nazione? Se le mie parole non suonano false alle nostre orecchie, ebbene, perché noi dovremmo venire meno alla lealtà nei confronti di colei che ora siede sul marmoreo trono di Andor? Tale sarebbe il mio parere, se questi fossero giorni di pace, che io abbandonerei questi accampamenti e mi recherei ad Ovest, ove è la mia dimora ed attende impaziente la mia signora: eppure, così non è, ed i nostri voleri sono obbligati ad un’ardua scelta, ché essa potrebbe condurre Numenor alla caduta o alla vittoria.
La lealtà di coloro i quali siedono in seno al Consiglio dello Scettro non può essere messa in discussione, né verrà meno; mi chiedo, tuttavia, quali siano le reali intenzioni della nostra sovrana, ché la sua mi sembra una volontà vacillante; nondimeno, se questa mia ipotesi si dimostrasse veritiera, quale dovrà essere il comportamento che le nostre armate assumeranno? A chi andrà la nostra lealtà? A colei che è la figlia di Tar-Palantir o a colui che le sussurra gli ordini, occultato dall’oscurità di questi giorni?”
Silenzio si fece in tutta la tenda, ché ciascuno era immerso nelle proprie riflessioni; infine mi levai dallo scranno e presi la parola: “Membri del Consiglio dello Scettro e Comandanti degli eserciti di Numenor, avete testé udito la chiara voce di Amandil, il Sovrintendente, esporre il suo pensiero; permettete ad Erfea Morluin, della casa degli Hyarrostar, di parlarvi con la medesima chiarezza che caratterizzò il discorso del mio illustre parente. Invero, mai come in questo momento la volontà della nostra sovrana è stata sì vacillante da indurmi a chiedere se la nostra lealtà a Numenor non debba venire meno. Ebbene, mendace fu l’affermazione della nostra sovrana, ché la nostra obbedienza non già alla casa regnante, ma al popolo di Elenna è rivolta”.
Sguardi stupiti si levarono e più d’uno fu pronto a prendere la parola per replicare, sicché alzai la mano e chiesi di poter continuare a discorrere; allora essi parvero acquietarsi, ma i loro visi febbricitanti e colmi di timore covavano profonda inquietudine: “Miei signori, se è vero che la stirpe di Elros ha governato per lungo tempo la nostra patria, ciò è stato reso possibile per mezzo delle opere che il nostro popolo ha intrapreso; e se un dì il sangue dei sovrani di Elenna dovesse venire meno, pure non dovremo noi lealtà a coloro che giurammo di servire, affinché la follia e la sventura fossero tenute lontane dai loro giacigli? Quale lealtà dovremmo oggi perseguire se non quella che permetterebbe di salvare la nostra gente dalla furia distruttrice della guerra? Ché, se è vero la stirpe di Elros, di cui condividiamo il glorioso lignaggio, essere simile ad una rigogliosa pianta, pure essa è divenuta tale nel corso dei secoli, perché il colto e savio giardiniere ha avuto cura di lei; e se questo può sopravvivere privato di quella, è impensabile che il virgulto possa esistere senza colui il quale ne ha amorevole cura”.
Allorché l’eco della mia voce si spense, soffocato dai cinerei fumi che si levavano dai caldi bracieri, così parlò Amandil: “Gravi sono state le tue parole ed esse suonano sconosciute alle mie orecchie, figlio di Gilnar; tuttavia, poiché non sembri che quanto dirò sia troppo avventato, desidero domandanti perdono fin d’ora se le mie parole feriranno il tuo orgoglioso animo; coloro che rimembrano eventi accaduti anni or sono, infatti, non hanno obliato quale sentimento ti legasse un tempo a mia cugina, Tar-Miriel; vorresti tu smentire o confermare quanto le mie parole hanno rivelato dinanzi a questo consesso? Rispondimi, dunque!”
Freddo era stato il tono che aveva adoperato Amandil e non meno gelida fu la mia risposta: “Se io sapessi, o signore di Andunie, che la pace giungerebbe fra noi sulle ali dei medesimi venti che condussero fra noi questa missiva di sventura – e così parlando, levai in alto la pergamena scritta di pugno da Tar-Miriel, affinché tutti potessero scorgerla – avrei esortato i vostri voleri a rimettere le armate di cui siete comandanti nelle grinfie di Pharazon. Volete, dunque, che codesto sia il vostro ultimo gesto da uomini liberi, affinché la gente possa dire che preferiste una pace ignominiosa ad una resistenza valorosa? Quanto all’affetto che mi lega alla sovrana di Numenor e di cui, non dubito, molti hanno sussurrato nei giorni passati, non sarò certo io a disconoscerlo e, se questi non fossero tempi di dolore e follia ricolmi, mai avrei diretto i miei passi sì a levante; tuttavia, poiché non è per mezzo di questo sentimento che la libertà del popolo Numenoreano potrà essere preservata, è necessario che io debba prendere questa decisione.
Ho servito lealmente Numendil, tuo padre, e Tar-Palantir prima che la morte lo cogliesse; se la sua erede avesse mostrato maggior perizia nelle sue scelte, diverso sarebbe stato il mio parere in questa ora.”
Rabbia covavo nel mio cuore ed Amandil ne fu sgomento, ché di rado mi era accaduto di levare la voce nei suoi confronti, essendo egli come un fratello per me; Elendil, tuttavia, che molto era cresciuto in saggezza ed in lungimiranza dacché era iniziato il conflitto, parlò e acquietò i nostri animi feriti: “Padre mio, nobile cugino, perché adirarsi l’un contro l’altro? Quali che siano i sentimenti di Erfea per la nostra sovrana, è evidente che essi non sono d’impedimento al raggiungimento dello scopo per il quale siamo stati qui convocati. Se, infatti, Pharazon prevarrà e la guerra si estenderà anche a Numenor, abbandonando per qualche tempo queste coste, quale sarà la nostra scelta? Continueremo a prestare cieca obbedienza alla figlia di Tar-Palantir, oppure privilegeremo il bene del popolo? E se questa si rivelasse la migliore fra le decisioni possibili, quale destino si preparerà dinanzi ai nostri sguardi?”
Sagge erano state le parole di Elendil ed io così gli risposi: “Quale futuro incontreranno i nostri spiriti, è invero arduo indovinare; noi, tuttavia, non siamo aruspici, né affidiamo al capriccioso Fato le nostre vite. Chiedo scusa ad Amandil, ché non intendevo provocare fra noi discordia e astio; fu l’ira a parlare in me, non altro”.
“Erfea – così rispose il padre di Elendil – se la mia lingua ti è parsa infida, allora domando perdono per le parole che ho incautamente pronunziato; solo, desideravo comprendere quale sarebbe stata la tua scelta, se essa avrebbe preferito il cuore o la mente, ché sovente la volontà di Uomini savi e valorosi si perde in meandri tortuosi, difficili da comprendere”.
Silenzio si fece in tutta la sala, ché sebbene fosse scesa nuovamente la pace fra noi, pure vi erano ancora molte voci che tacevano e un accordo non era stato ancora raggiunto.
Erfea tacque, rimembrando lo stupore ed il silenzio che avevano regnato dopo la sua disputa con Amandil; allora Groin parlò e gli pose un simile quesito: “Figlio di Gilnar, hai testé affermato che il Sovrintendente di Numenor volle accertarsi che i tuoi intenti non fossero oscurati dall’amore che provavi per Miriel; credi, dunque, che egli tenesse in poco conto il destino di sua cugina e non si curasse del suo futuro, pur sapendo che ella non avrebbe più goduto della medesima benevolenza di un tempo, perfino presso di te?”
“Difficili sono da scrutare gli animi dei Numenoreani; questo solo posso rivelarti, figlio di Bòr: Amandil sempre diffidò della mia proposta, ché egli avrebbe preferito che fosse Tar-Miriel a detenere il trono e che io divenissi principe regnante accanto a lei; perfino quando fu designato sovrano dei Numenoreani Fedeli, egli accettò tale incarico a malincuore, non ritenendosi affatto all’altezza del suo ruolo; eppure, come dimostrarono gli eventi successivi, quella si dimostrò la scelta più saggia”.
“Tuttavia – interloquì allora Aldor Roc-Thalion – non sarebbe stato preferibile che tu regnassi accanto a Tar-Miriel, anziché permettere che la frattura fra i Numenoreani divenisse sempre più profonda? Molti eventi infausti avrebbero in tal modo essere potuti evitati, se Atalante non fosse mai accaduta e Sauron non avesse recato seco il germe della corruzione fra gli uomini dell’Ovesturia”.
Erfea ristette per qualche attimo in silenzio, infine così gli rispose: “È probabile che alcuni destini sarebbero stati mutati, se la mia scelta si fosse rivelata differente; eppure, Aldor del popolo degli Eothraim, sappi che se tale si fosse dimostrato il mio volere ed io avessi impugnato lo scettro di Numenor, trascorrendo le mie notti nel dolce talamo reale, pure la rovina non avrebbe tardato a cadere su di noi. Davvero credi che il seme di Sauron non fosse stato già sparso tra i Dunedain, all’epoca in cui io ed Amandil dibattevamo del destino di Elenna? No, ché esso era già fiorito ed aveva recato seco i suoi letali profumi; ancor prima che il nome di Pharazon echeggiasse a questo mondo, altri Numenoreani erano caduti sotto il giogo dell’Oscuro Signore; di Er-Murazor, Akhorahil e Adunaphel ho già parlato, sebbene la parte che essi ebbero nella Caduta non fu piccola; eppure, anche nei secoli successivi alla comparsa dei Nazgul, molti principi e guerrieri scelsero il vessillo di Mordor, pur credendo di essere liberi signori delle contrade che conquistarono con le armi. Gimilkhad, padre di Pharazon, fu uno di questi ed egli non fu né il più spietato, né il più crudele fra quanti si prostarono a Sauron ed ai suoi servi; Arthol, principe del Mittalmar, cadde vittima della medesima nequizia e con lui molti altri signori e dame. Quanto a me, sebbene provi profondo dolore per la morte di Tar-Miriel, pure comprendo che ella non avrebbe potuto essere salvata; vi provai, molti anni fa, ma fallii: fu allora che compresi quanto inutile sarebbe stata la mia unione con lei, vuoi perché ella era già vittima della disperazione e succube della volontà del cugino, vuoi perché, se anche i nostri corpi avessero conosciuto una serena vecchiaia l’uno accanto all’altro, quanti Numenoreani avrebbero seguito il mio ed il suo volere? Di questo resto convinto, ché mai il popolo di Andor sarebbe stato riunito, perché vi era infinita discordia tra i due partiti ed essi ambivano obiettivi differenti e contrastanti, come dimostrarono gli eventi degli anni successivi”. Tacque un attimo, infine così concluse: “Se non fosse esistito Pharazon, se Numenor fosse stata quella che i miei padri conobbero e onorarono, allora diverso sarebbe stato il mio destino; tuttavia, poiché queste condizioni vennero meno, codesta è stata la mia storia e, sebbene forte sia divenuto, con il trascorrere degli anni, il rimpianto per colei che persi allorché ero ancora giovane, pur comprendo che vi fu del bene nella sua infelice scelta, vuoi per una sua precisa volontà, vuoi per un disegno che i figli di Iluvatar scorgono di rado e di cui sono gli inconsapevoli artefici, sicché la stirpe degli Alti Uomini non è venuta meno ed essa prospera ancora oggi”.
“Ora comprendo quale volere ti mosse allorché abbandonasti Edhellond e, seppur conscio del bando che gravava su di te, prendesti la strada che conduceva a Numenor!” esclamò Elrond, il quale aveva preso posto accanto a Celebrian ed aveva ponderato ogni parola del Dunadan. “Fallisti, è vero, tuttavia non crucciarti, ché non imponesti la tua volontà sulla sua ed ella avrebbe potuto decidere diversamente se tale fosse stata la sua intenzione. È possibile, come hai testé affermato, che la sovrana abbia compiuto la missione per la quale era stata designata; eppure, labili sono i confini del mondo e al di là di essi vi è forse la speme che non tutto quello che gli Uomini hanno smarrito nel corso della loro breve esistenza vada definitivamente perduto, e alcuni legami siano destinati a sopravvivere alla morte stessa”.
“Diversi sono i destini degli Elfi ed in questo invidiano profondamente gli Uomini – interloquì allora Celebrian – eppure non è ancora giunta l’ora in cui i nostri fati debbano compiersi, ché molte volte ancora le rosse foglie dei faggi di Orthanc cadranno prima che il nostro destino sia compiuto e la gloriosa stirpe dei Noldor debba abbandonare questi lidi mortali.”
A lungo, coloro che erano con il Sovrintendente di Gondor rifletterono sulle parole che la figlia di Galadriel, di cui tenevano in gran conto il potere, aveva pronunziato, essendo ella saggia e lungimirante; infine, la profonda voce di Bòr si levò a sua volta: “Molti pareri sono stati espressi in questa ora e, sebbene il destino ultimo dei figli di Aule sia stato divulgato solo presso i loro eredi, pure dirò innanzi a voi che i nostri spiriti si reincarnano in altri corpi ed in questo credo che il nostro fato non sia dissimile da quello degli Elfi; tuttavia, poiché il sole è ormai calato ad occidente, inviterei Erfea a concludere il suo racconto, ché molto desidero apprendere gli eventi che condussero alla rovina Numenor ed egli non ha ancora fornito risposte esaustive alle mie domande”.
Rise il principe di Numenor e inchinatosi cortesemente all’anziano nano così gli rispose: “Errano coloro che credono l’abilità dei Nani essere solo nel forgiare forti armature e lame taglienti! Mio buono Bòr, vi sarà tempo per concludere il mio racconto, dopo che avremo desinato e coloro che sono affamati avranno soddisfatto i loro appetiti; qui vi attenderò, al calare della seconda ora dopo il tramonto, se vorrete ascoltare quanto la mia voce narrerà”».

Ritratti – Elwen

Bentrovati! Quest’oggi, come vi avevo anticipato alcuni giorni fa, ho il piacere di mostrarvi il primo di una nuova serie di ritratti, opera della bravissima Anna Francesca, dedicati ai personaggi de «Il Ciclo del Marinaio»! Iniziamo con Elwen, la bella mezzelfa di Edhellond…

Aspetto i vostri commenti…presto seguiranno nuovi soggetti!Elwen

L’Infame Giuramento_Parte II (A chi va la mia lealtà?)

Bentrovati. In questa seconda parte de «Il racconto dell’infame giuramento», Erfea, sollecitato dai suoi compagni a raccontare gli eventi che condussero alla fine del regno di Tar-Miriel (cfr. L’Infame Giuramento_Parte I (Il ritorno di Celebrian) ricorda il profondo dissidio che ebbe con la regina in merito alla lealtà che i Paladini di Numenor avrebbero dovuto tenere, se per la massima autorità del regno (ossia Tar-Miriel stessa), oppure per lo Stato, inteso come insieme di leggi e cittadini. Erfea, mostrando una sensibilità tipica di un uomo moderno, sceglie la lealtà verso lo Stato: nessun uomo o donna, neppure una regina, può essere ritenuto superiore alle leggi. Inutile aggiungere che un simile contrasto avrà inevitabili ripercussioni sulla vita privata del nostro Paladino…

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

Nell’immagine in alto potete ammirare Tar-Miriel nei panni della moglie di Pharazon.

«Erfea tacque per qualche istante, ché la sua mente andava a quei giorni remoti, di cui pochi oggi serbano memoria, ché l’incuria degli Uomini è cresciuta ed essi non si curano più di quanto accadde nei Tempi Remoti; infine parlò e parve a tutti che la sua voce provenisse da quei lontani anni, allorché egli era principe di una contrada oggi feudo della maestà di Ulmo.
“In quei giorni, come alcuni di voi ricorderanno – e quivi il suo sguardo cadde su Celebrian ed Elrond, sicché essi parvero annuire – io ero il comandante della cavalleria di Numenor e conducevo, assieme a uomini minori nel numero rispetto ai nostri avversari, ma il cui valore era proporzionato alle gesta che compirono, una lunga ed estenuante guerra contro coloro che noi chiamammo Numenoreani Neri, ché essi erano invero crudeli nell’animo ed ambivano possedere ogni sorta di ricchezza e di privilegio: per anni, il mare e la terra furono oltreggiati dal sangue dei caduti e l’aria fu offesa dalle alte grida di agonia che si levavano dai campi di battaglia. Atti di valore furono compiuti da entrambi gli schieramenti, eppure quanti sostenevano la causa di Pharazon parevano crescere di numero, mentre sempre meno soldati seguivano il vessillo di Numenor, prestando ascolta, per paura o ambizione non saprei dire, alle seducenti menzogne che il nemico sussurrava agli orecchi degli stolti e di cui Pharazon si prestava volentieri ad essere araldo; egli ambiva ottenere il trono e la maestà dei Numenoreani e poco o punto si curava di quanti militavano nelle sue fila, fossero essi mercenari privi di scrupolo o rinnegati provenienti da remote contrade: mai vennero meno l’oro e l’argento nei suoi forzieri ed egli indossava suntuose armature e si baloccava con preziosi quali mai i miei occhi hanno mirato presso altre genti. Degli oscuri sortilegi che accompagnarono e guidarono l’ascesa al trono del cugino della sovrana preferisco non farne parola, ché essi arrecarono infiniti lutti alla mia gente ed erano spaventosi ad udirsi; pure, Phararzon non mostrava timore di adoperare le arcane parole che mai avrebbero dovuto essere pronunciate, né si dimandò donde provenissero. Fra noi, vi era chi sosteneva essere al fianco del principe un uomo esperto delle Arti Oscure che si praticano a Mordor, senza tuttavia conoscerne il nome; io, tuttavia, per quanto sospettassi l’identità di un simile signore di inganni e sortilegio esperto, pure non potetti confermare o smentire i miei sospetti fin quando Pharazon non fu incoronato ed io riconobbi il suo oscuro mentore; ma questo accadde in seguito ed io non avrei mai creduto che la follia sarebbe dilagata a Numenor in tale misura da divenire tosto inarrestabile”.
Tacque un attimo, indi riprese a parlare: “Durante il primo anno di guerra, avevo ottenuto un’importante vittoria sugli eserciti di Numenoreani Neri presso la città fluviale di Tharbad, molte leghe a nord dal luogo presso il quale discorriamo: quella sera, mentre i soldati festeggiavano ed intonavano canti di vittoria, tenni un consiglio di guerra nella mia tenda ed erano con me i Signori di Elenna che sostenevano la causa di Tar-Miriel; cupi ed angosciati erano i loro volti, malgrado la vittoria ottenuta ed essi, ancorché fossero possenti guerrieri, erano riluttanti a parlare. Infine, allorché sembrò che il silenzio fosse divenuto sì grave da non poter essere più ignorato, Amandil, figlio di Numendil, si levò dallo scranno e pronunziò questo discorso: “Capitani di Numenor, godiamo di questa vittoria, eppure sappiate che essa non potrà rallegrare a lungo i nostri animi; molte, infatti, sono le notizie di cattivo auspicio pervenute dalla nostra dimora a questo accampamento, foriere di ventura per coloro che contrastano il volere di Pharazon”. Inquieti, attendemmo che egli srotolasse sotto i nostri febbricitanti occhi un rotolo imponente; sospirai, allorché lo scorsi, ché mi era noto il sigillo appostovi ed esso era caro al mio cuore; crebbe allora il disagio nel mio animo ed io ascoltai la voce del Sovrintendente di Numenor narrarci il contenuto della missiva: con orrore, mi accorsi che essa ordinava ai Comandanti del Regno di deporre le armi, ché non vi era più guerra fra i Numenoreani ed i rancori che in quei mesi avevano animato entrambi gli schieramenti dovevano essere obliati in nome della comune concordia.
Allorché Amandil ebbe terminato la lettura della pergamena, gli sguardi dei presenti si volsero, quasi all’unisono, verso il mio volto, sicché mi parve che essi attendessero una risposta che io solo avrei potuto offrire ai loro animi, tormentati dal dubbio; chi fra noi, infatti, avrebbe ceduto le armi, sapendo che, infine, il Nord era stato liberato dalla lordura dei servi di Pharazon e che ci dirigevamo trionfanti verso il Sud, lì ove il cugino della sovrana attendeva l’impeto delle nostre armate?
Pesante fu il mio cuore e grande fu lo sforzo che posi nel leggere quella pergamena, nutrendo la speranza che essa fosse stata vergata non già dalla regina di Numenor, nel cui nome combattevamo, ma da un’astuta spia; infine, emisi lentamente il mio verdetto su tale questione, ché ero, fra loro, colui che meglio conosceva la Signora di Armenelos e vi erano non pochi eventi che la riguardavano, ignoti a tutti gli altri, il cui ricordo custodivo nel mio cuore: “Questa pergamena è stata scritta dalla medesima mano che inviò i nostri eserciti, non più di trenta giorni fa, a Tharbad”.
Non ebbi bisogno di aggiungere alcuna parola, ché ogni cosa sembrava essere divenuta chiara a tutti e i miei compagni chinarono, prostati, il capo; infine, sforzandosi di parlare, Elendil si levò dal suo scranno e mi rivolse queste parole: “Principe dello Hyarrostar, non credo di ingannarmi sostenendo che molto hai appreso sulla sovrana di Numenor ed ella ha sempre rivolto benevolmente, in passato, il suo volere nei tuoi confronti; se quanto dico corrisponde al vero, allora ti chiedo di fare vela alla nostra patria, onde possa domandare alla regina in persona quale sia la sua volontà riguardo tale faccenda. Credo – e quivi parve che il suo sguardo si posassse su ognuno di noi – che altrimenti sarebbe molto penoso prendere una decisione inerente quanto abbiamo udito oggidì, ma che, in fondo, paventavamo all’interno dei nostri cuori dacché la guerra ebbe inizio alcuni mesi or sono”.
Mi levai dunque dallo scranno e abbandonai l’accampamento, dirigendomi verso la città di Tharbad; ivi, salpai a bordo di una piccola imbarcazione e mi diressi alla costa, ove sapevo era stato approntato un vascello per il lungo viaggio che mi avrebbe condotto a Numenor. Trascorse alcune settimane, approdai alle spiagge della mia patria e osservai con sgomento misto a sorpresa quanto i suoi abitanti fossero stati corrotti dalle bieche parole di Pharazon e dei suoi servi, sicché di rado mi rivolsero la parola e parvero aver obliato finanche il mio nome; chiesi udienza alla regina ed alla acconsentì a ricevermi: colmo di gioia fu il mio cuore nel rivederla, eppure il suo sembiante fu oscurato, come un fiore i cui petali fossero stati spezzati dal gelido Inverno.
A lungo le parlai e mi parve che ella non prestasse ascolto alle mie parole; infine, allorchè la mia pazienza sembrò esaurirsi, l’apostofrai con simili parole: “Mia Signora, giorno fa inviasti una missiva ai tuoi comandanti affinché deponessero le armi e si riconciliassero con i seguaci di Pharazon; eppure, ben m’avvedo come, perfino nella nostra patria, le cicatrici della guerra siano ancora visibili e fresche, sicché io ti domando per quale ragione volesti obbligare i nostri animi a compiere una simile volontà”.
Ella mi guardò, senza pronunciare parola alcuna; eppure, i suoi chiari occhi parvero domandarmi perdono e mi risposte con un antico detto, quali i Numenoreani adoperano in situazioni invero molto gravi: “Una speranza ho dato ai Duneadain, ma non ne ho conservato una per me”. Tacque per qualche istante, infine sospirò e presami la mano così mi parlò: “Vorreste, dunque, venire meno agli ordini della vostra sovrana? Non mentirmi, Erfea, ché io scorgo nel tuo sguardo il dubbio ed il timore che le mie parole hanno suscitato in te; eppure, se la lealtà dei miei comandanti dovesse venire meno, io perirei e altri avrebbero da patire sofferenze immani”.
Io la osservai, freddo, ché, sebbene il mio cuore sanguinasse copiosamente, pure non potevo ignorare quanto le sue parole avessero, inutilmente, tentato di occultare: “Vaneggi, Miriel, se credi che la nostra lealtà nei confronti di Numenor sia venuta meno; sappi, tuttavia, che ad essa solo risponderemo, quando sarà giunta l’ora, e a nessun’altra”. Ella, allora, lasciò cadere la mia mano ed il suo animo diventò gelido: “Va’, figlio di Gilnar e possa la tua lealtà non venire meno quando giungerà l’ora”.
Mi inchinai, senza risponderle alcunché, perché avevo compreso cosa celassero le sue parole ed ella era ormai perduta; pesante fu il mio cuore quella sera ed io abbandonai Romenna al calar della notte, dopo aver inviato messaggi a mio padre affinché radunasse quanti più uomini possibili e si preparasse a reggere un lungo assedio; vi erano pochi o punti dubbi, infatti, che Pharazon, qualora avesse sconfitto le nostre armate sul suolo della Terra di Mezzo, avrebbe concentrato le sue attenzioni su Numenor, invadendola con i suoi eserciti. Foschi furono i miei pensieri durante il viaggio di ritorno e, allorché giunsi a Tharbad un mese dopo, ebbi conferma dei miei peggiori timori: una grande schiera di Numenoreani Neri, infatti, aveva sconfitto i nostri eserciti del Sud ed ora giungeva nell’Eriador come lupo in cerca della preda ferita”.»

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Nell’immagine in alto, raffigurazione dell’incontro tra Erfea e Miriel narrato all’interno di questo articolo. Artista: Anna Francesca Schiraldi.

L’Infame Giuramento_Parte I (Il ritorno di Celebrian)

Care lettrici, cari lettori, bentrovati. Nel mese di agosto vi intratterrò con le vicende narrate nel «Racconto del Marinaio e dell’Infame Giuramento»: prima di leggere questo e gli articoli che seguiranno, tuttavia, vi consiglio la lettura del «Racconto dell’Ombra e della Spada», perché si tratta della continuazione ideale del filo narrativo iniziato in quel testo. Ad ogni modo, eccovi un breve riassunto delle vicende precedenti: al termine de «Il Racconto dell’Ombra e della Spada», Pharazon e i suoi consiglieri Nazgul avevano elaborato la loro strategia per prendere il potere a Numenor e rovesciare il regno della legittima sovrana, Tar-Miriel. In questo racconto, dunque, le premesse sinistre poste in quella riunione segreta tenuta dai Numenoreani ribelli diventeranno realtà; e toccherà ad Erfea, tornato nuovamente protagonista, essere la voce narrante di quanto accadde nell’ultimo anno di regno di Miriel, nel 3255 della Seconda Era.
Si tratta di un racconto molto drammatico e ricco di colpi di scena, al quale sono particolarmente affezionato. La vicenda si apre ad Orthanc (Isengard) nel mese di giugno dell’anno 3429 della Seconda Era: in quel luogo, infatti, si erano ritrovati i principali leader dei Popoli Liberi allo scopo di formare quella che sarebbe divenuta nota come «Ultima Alleanza», destinata a combattere il potere crescente di Sauron; ed è in questo frangente che Erfea ritrova una sua carissima amica…

Spero possa risultare piacevole la lettura di questo testo, così come per me è stato emozionante scriverlo. Aspetto i vostri commenti, buona lettura!

«Due figure si ergevano, l’una accanto all’altra, nel luminoso meriggio di giugno; deferenti inchini rivolgevano loro le alte guardie della poderosa fortezza che i Numenoreani avevano edificato alle sorgenti dell’Isen: Orthanc era il suo nome in lingua elfica e numerosi furono i principi ed i condottieri che quell’anno si recarono nelle sue profonde aule, affinché la minaccia di Sauron fosse allontanata dai reami delle libere genti ed esse non dovessero più patire la crudele schiavitù che i servi dell’Oscuro Signore imponevano a quanti avevano la sventura di cadere sotto i loro laidi artigli.

Lentamente, le due figure procedevano; l’una, ricolma di giovanile grazia e di sapienza vetusta, inspirava finanche nel più pavido figlio di Iluvatar amore per la sua bellezza senza tempo; neri come ala di corvo erano i lunghi capelli e nei vividi occhi brillava serena la luce di Earendil, colui che reca la speme fra coloro che sono in preda allo sconforto.

Vellutato era il passo della dama ed ella calzava morbidi stivali di bianca pelle; allorché, intimorati da tale bellezza, le alte guardie, eredi della maestà dei figli degli uomini, osavano levare lo sguardo, non pronunziavano parola alcuna, ancorché il nobile portamento della Signora ne consigliasse l’uso; ma quale suono poteva levarsi dalla bocca dei Secondogeniti dinanzi a cotanta bellezza, sicché non fosse parso impudico e sgradevole da udirsi? Gli Uomini che avessero avuto l’ardire di ammirare i suoi limpidi occhi, avrebbero scorto la maestà di Ulmo agitarsi in essi e lo stupore ne avrebbe invaso l’animo, ché non vi era dama mortale il cui sembiante fosse così vivido e splendente. Una Signora fra i Noldor ella era, giunta in codesta contrada per discutre dei grandi eventi che erano accaduti in quegli anni, sì lontani dai nostri giorni: grande era la sua lungimiranza ed i popoli abbisognavano del consiglio della figlia di Celeborn del Doriath e di Galadriel del Lorien; Celebrian era il suo dolce nome ed ella appariva simile a Varda, la sposa di Manwe.

Poco o punto l’Elfa si curava degli sguardi che le venivano rivolti, ché era intenta ad ascoltare quanto il suo compagno le narrava; una stinta ed ampia cappa occultava il capo di costui, eppure, le alte guardie mostravano nei suoi confronti la medesima dedizione che ponevano nel volgere il saluto alla dama dei Noldor: nulla era visibile del suo sembiante, eccetto un lungo fodero nero ed argentato che era al fianco ed un ampio mantello color del cielo; finanche i più anziani tra i soldati di Gondor cedevano il passo innanzi al suo e gli rivolgevano inchini profondi e sinceri, ché era noto il nome di tale comandante ai loro orecchi ed essi avevano imparato a rincuorarsi allorché udivano la sua voce, memori di quanto avevano compiuto dinanzi ai loro attoniti occhi durante gli assedi di Minas Ithil e di Osgiliath.
Cortesi cenni l’Uomo rivolgeva ai soldati ed essi erano colmi di ammirazione per il loro Signore e Comandante, ché era dello stesso lignaggio di costoro e proveniva dalla medesima patria ora scomparsa tra i flutti del Grande Mare.
A lungo camminarono, l’Elfa concedendo il proprio braccio all’Uomo che le era al fianco, secondo le usanze cortesi di quei popoli d’arte e di scienza esperti; infine, allorché ebbero percorso un’ampia scalinata e furono usciti all’aperto, Celebrian prese riposo su un alto scranno in pietra che mani savie avevano posto lungo il sentiero che dal pinnacolo di Orthanc conduceva al cancello meridionale delle mura esterne: l’uomo accanto a lei, dopo essersi leggermente inchinato, parlò ancora per qualche istante, infine tacque e l’unico suono che si udì fu quello dei gai e freschi zampilli d’acqua che dalle fontane sgorgavano verso il basso; infine, lieve come la neve in inverno, la dama si scostò una ciocca dai capelli e parlò: «Lungo è stato il tuo racconto, amico mio, ed ogni parola io ho ascoltato della narrazione; ora comprendo quanto dolore alberghi nel tuo animo ed il mio cuore piange perché non posso lenire simili ferite. Ahimé – concluse – questi giorni, di terrore ed oscurità intrisi, non pochi dolori arrecheranno alla prole di Iluvatar; infine mi è nota la sorte di Elwen la Mezzelfa, tuttavia sappi che le parole da te pronunciate in quest’ora nessun altro udirà».
L’Uomo la guardò e per un istante parve che brillasse, nella penombra all’interno della sua cappa, un remoto sorriso di gratitudine; infine ratto si voltò, ché gli era parso di ascoltare il suono di pesanti passi giungere alle sue spalle: due Nani erano intenti a percorrere il medesimo percorso per mezzo del quale egli e la dama degli Eldar erano giunti nel luogo ove riposavano le stanche membra. Nello stesso istante, un Uomo ed un Elfo, entrambi suntuosamente vestiti, comparvero dall’estremità opposta del sentiero; giunti che furono innanzi a Celebrian, il primo si inchinò profondamente, mentre l’Elfo, avvicinatosi, le prese dolcemente la mano; infine egli parlò e la sua voce riecheggiò limpida e profonda tra i maestosi alberi che occultavano quell’ameno luogo alla vista altrui.
«Grandi eventi sono accaduti in questi mesi ed altri ancora potrebbero verificarsi, ché la minaccia di Sauron non è stata ancora respinta ed egli, come una serpe nel suo oscuro anfratto, attende, paziente, che la vittima gli si mostri incauta». «Così è – replicò l’alto Uomo che era con lui – ché i crudeli Spettri dell’Anello hanno invaso le terre che un tempo furono del mio popolo ed esso è dovuto fuggire a sud e ad ovest, abbandonando i ricchi pascoli del Rhovanion alla mercé degli Orchi e degli Orientali asserviti a Sauron».
«Avevo udito, Signore degli Eothraim, narrare delle devastazioni che i Comandanti dell’Oscuro Signore hanno diffuso, simili ad un’empia pestilenza, nelle contrade orientali della Terra di Mezzo; a stento riuscimmo a sbarrare l’entrata dei Cancelli di Khazad-Dum, allorché il Nemico giunse alle porte della nostra dimora»; tali furono le parole che Groin, figlio di Bòr, aveva prounziato, sicché così gli rispose l’Elfo: «Invero non vi è stato regno o dimora dei figli di Iluvatar che non sia stato scosso, di recente, dal flagello delle armate di Mordor, ché l’Oscuro Signore di quella remota contrada ambisce impossessarsi degli antichi cimeli dei popoli liberi onde poterli pervertire a suo piacimento».
Sagge sono le tue parole, mio signore – interloquì allora il nano più anziano – eppure, mai la speme è scomparsa dal Mondo, ché vi sono, perfino in questa ora sì buia, Elfi, Uomini e Nani che ancora osano contrastare la minaccia delle schiere del Maia Caduto, gli uni conducendo alla vittoria armate gloriose, gli altri smascherando i subdoli inganni che costui perpetua a danno dei suoi nemici; non è fra noi, infatti, Erfea, colui che chiamano il Morluin, che molta gloria acquisì nelle sue lotte contro i corrotti Uomini di Numenor e gli eserciti del servo di Morgoth?»
L’Uomo che era accanto a Celebrian fece allora scivolare la cappa stinta ed i suoi compagni ammirarono il volto del figlio di Gilnar, reso saggio dai numerosi anni trascorsi nell’esilio; sorrise, infine parlò ed essi gli prestarono ascolto: «Mio buon Bòr, molti anni sono trascorsi dacché avvennero gli eventi che hai testé richiamato alla memoria di tutti; quali racconti vuoi che narri innanzi a voi, dunque?»
«Figlio di Gilnar, solo ieri udimmo la tua profonda voce narrare ai nostri sorpresi orecchi le vicende di coloro che si impadronirono degli Anelli del Potere e furono corrotti dalla malizia del loro artefice. Suvvia, raccontaci quanto accadde allorché Numenor non era ancora caduta e Tar-Miriel regnava su di una contrada dilaniata da una feroce guerra civile».

Fine I parte (continua)