Unico Anello: Istruzioni per l’uso (parte II)

Riprendo il discorso iniziato nel precedente articolo per affrontare la questione dei poteri dell’Unico Anello e degli altri Grandi Anelli. In questa seconda parte mi soffermerò sulle informazioni presenti nei primi capitoli dell’opera del «Signore degli Anelli».

Sono trascorsi circa 60 anni dal ritorno di Bilbo alla Contea, dopo aver assistito alla morte di Smaug e aver contribuito a restaurare il Regno sotto la Montagna. Nonostante nella Contea la vita scorra apparentemente tranquilla come nel passato, nel resto della Terra di Mezzo le cose sono cambiate. Sauron si è rivelato al mondo, abbandonando i panni del Negromante, e ha ricostruito Barad-Dur, riprendendo il centro del suo potere nella Terra di Mordor. Egli è alla disperata ricerca dell’Anello, ostacolato in questo da Saruman, che muove i suoi servi in diverse regioni della Terra, nella speranza di arrivare prima al rinvenimento dell’Unico; contemporaneamente, Sauron continua a dare la caccia all’erede di Isildur, perché è a conoscenza che la linea dei Numenoreani del Nord non si è estinta e che, da qualche parte, si trova l’ultimo erede dei grandi sovrani di Arnor e Gondor.

All’inizio del romanzo incontriamo Bilbo alle prese con i festeggiamenti del suo centoundicesimo compleanno: tra gli ospiti che prendono parte a questi festeggiamenti non può mancare il suo grande amico Gandalf. Lo stregone è perplesso non solo a causa della longevità del suo piccolo amico, ma soprattutto si sorprende a pensare a come sia cambiato fisicamente molto poco dall’epoca del suo primo incontro. Lo stesso Bilbo non può fare a meno di parlare dei suoi dubbi allo stregone: «Sono vecchio, Gandalf. Non dimostro i miei anni, ma sto incominciando a sentire un peso in fono al cuore. E poi dicono che mi mantengo bene?!, sbuffò. «Io che mi sento tutto magro, come dire, teso; rendo l’idea? Come del burro spalmato su di una fetta di pane troppo grande. Non è una cosa normale; devo aver bisogno di un cambiamento d’aria o roba simile» (SdA, p. 40). Trovo molto calzante questa descrizione degli effetti dell’Anello su Bilbo: esprime molto bene, infatti, con un linguaggio tratto dalla vita quotidiana degli Hobbit, gli effetti che l’Unico provocavano alla sua anima e al suo corpo. La mia opinione è che l’Anello si stesse risvegliando, nel tentativo di farsi trovare dal suo Padrone: possiamo immaginarlo come una creatura che vive in simbiosi con il suo portatore, trasmettendogli quelli che potremmo chiamare, con qualche forzatura, i propri «sentimenti»: l’inquietudine che Bilbo avverte è in realtà quella dell’Unico, il quale, dopo aver sfruttato l’Hobbit per uscire dalle caverne oscure degli orchi, era stanco di essere «recluso» all’interno di una regione remota e quieta come la Contea, molto lontana dal suo Padrone. Nell’accesa discussione che segue fra Gandalf e Bilbo, lo stregone rivela un interesse professionale nei confronti dell’Anello, adducendo come motivazioni la rarità e la magia che tali artefatti possiedono, senza però sbilanciarsi ancora sulla malvagità intrinseca all’Anello stesso. Ne segue poi l’alterco finale, ben rappresentato anche nel film di Jackson, sul quale non ritengo di dovermi soffermare particolarmente. Riprendo invece le parole finali che pronuncia Bilbo nello scusarsi, perché non mi sembra siano comprese nei dialoghi cinematografici: «Mi dispiace – disse – ma mi sentivo così strano. Eppure in un certo senso sarebbe un sollievo non aver più questo assillo. È diventato un peso per me, negli ultimi tempi. A volte mi sembra come un occhio che mi guarda fisso, e ad ogni momento sono tentato di metterlo al dito e di sparire, sai? […] Ho cercato di chiuderlo sotto chiave, ma ho scoperto che non avevo pace sentendolo lontano da me […] (42)». Questa confessione è importante perché per la prima volta nel corso del romanzo si fa cenno alla presenza di un Occhio dietro il quale si celerebbe Sauron stesso, il Signore degli Anelli. Questo riferimento mi suggerisce un paragone con un autore coevo di Tolkien, lo statunitense maestro dell’horror H. P. Lovecraft: nei suoi racconti più celebri, infatti, non mancano riferimenti a personaggi che vedono (o affermano di scorgere) nell’oscurità delle forme minacciose che spesso finiscono con l’identificare con qualcosa a loro familiare (una mano artigliata, una voce spaventosa ecc.) Questo, secondo me, è un collegamento inedito e importante, perché mette in evidenza la difficoltà degli Hobbit portatori dell’Anello nel percepire l’essenza di Sauron, che nessun personaggio nel romanzo riesce a descrivere in modo preciso.

A differenza della pellicola cinematografica, Bilbo si libera dell’anello in modo abbastanza confuso: il pacchetto nel quale è custodito gli cade di mano ed è Gandalf stesso a recuperarlo, ma tutto avviene nel giro di pochi secondi, lasciando «il posto ad un’espressione di sollievo e ad una risata» (43). Nel congedarsi da Frodo Gandalf inizia ad alludere a un legame fra l’uso dell’Anello e alcuni mutamenti avvenuti nel carattere di Bilbo (come quello di mentire sulle modalità con le quali ne era venuto in possesso), aggiungendo che «è probabile che abbia qualche altro potere, oltre quello di farti sparire quando più ti aggrada» (47). Gandalf ostenta tranquillità, ma è molto plausibile che abbia iniziato a pensare alla possibilità che quello fosse uno dei Grandi Anelli (non necessariamente l’Unico).

Dopo una lunga assenza, nella quale Gandalf era tornato per brevi visite al solo scopo di sincerarsi della salute di Frodo, lo stregone, dopo nove anni di latitanza, poté tornare alla Contea. Nel lungo racconto che Gandalf iniziò in quell’occasione, per la prima volta il lettore ha modo di conoscere la storia della forgiatura degli Anelli dagli albori della Seconda Era. Questione di non secondaria importanza, si accenna alla presenza di due tipologie diverse di Anelli: i Grandi Anelli (quelli del Poema iniziale, per intenderci) e gli Anelli Minori, che i «fabbri elfici consideravano delle bazzecole, benché, secondo me, fossero anch’essi rischiosi per i mortali» (52). La presenza degli Anelli Minori è utile, secondo me, per spiegare la presenza di altri spettri nella Terra di Mezzo: penso, ad esempio, ai fantasmi con i quali il Re degli Stregoni aveva popolato i Tumulilande e che potrebbero essere spiegati come sfortunati possessori degli anelli minori, corrotti da questi ultimi e costretti a servire l’Oscuro Potere che era alla base della loro forgiatura. La mia tesi appare rafforzata anche dal saccheggio che Sauron perpetuò a danno delle Aule dei Fabbri di Eregion al culmine della Guerra contro gli Elfi: è molto plausibile, dunque, che egli abbia potuto sottrarre non solo i Grandi Anelli degli Uomini e dei Nani, ma anche un numero imprecisato di Anelli Minori che avrebbe distribuito fra i suoi servi umani, rendendoli suoi schiavi anche dopo la loro morte.

Segue poi una descrizione dei poteri che i Grandi Anelli esercitano sui mortali, che però crea non pochi problemi di coerenza con la trama interna del Signore degli Anelli: «Un mortale caro Frodo, che possiede uno dei Grandi Anelli, non muore, ma non cresce e non arricchisce la propria vita: continua semplicemente, fin quando ogni singolo minuto è stanchezza ed esaurimento. E se adopera spesso l’Anello per rendersi invisibile, sbiadisce: infine diventa permanentemente invisibile e cammina nel crepuscolo sorvegliato dall’oscuro potere che governa gli Anelli. Sì, presto o tardi, tardi se egli è forte e benintenzionato, benché forza e buoni propositi durino ben poco presto o tardi, dicevo, l’oscuro potere lo divorerà» (52).

A leggere questa descrizione sembra proprio che l’uso di tutti i Grandi Anelli provochi invisibilità ai suoi portatori, almeno a quelli la cui natura è mortale (e quindi questo ragionamento esclude Elrond e Galadriel). Questo però contrasta almeno con due casi accertati nei quali si verificò il contrario: con Thrain II e con lo stesso Gandalf, il cui corpo, ricordiamolo, era di natura mortale e non immortale. Al contrario, sembra proprio che siano gli Anelli a rendersi invisibili e non i loro portatori. Nessuno, apparentemente, si accorge che Gandalf porta seco l’Anello del Fuoco: esso si mostra visibile agli occhi di tutti solo alla fine della storia, sul molo dei Porti Grigi, dopo la distruzione di Sauron. La stessa cosa deve essere accaduta a Thrain II: egli, infatti, fu catturato dagli sgherri del Negromante e torturato a lungo prima che Sauron si impadronisse dell’ultimo anello dei nani: ma perché impiegare tanto tempo per un oggetto che Thrain non avrebbe potuto nascondere in modo certo efficace? L’unica risposta che mi sovviene è che l’Anello fosse invisibile, a meno che non fosse intervenuto Sauron in persona, l’unico che aveva il potere di rendere visibili i Grandi Anelli. Probabilmente il Nano fu a lungo torturato perché cercò di opporre la sua volontà a quella dell’Oscuro Signore nel tentativo di non rendere visibile il suo Anello: tentativo valoroso, ma purtroppo vano. L’unico modo per spiegare questa palese contraddizione è quello di intendere «mortale» alle stregua di «umano»: gli Hobbit, infatti, sono una sorta di sottospecie degli Uomini, con i quali condividono la sorte ultima. Si potrebbe dunque ritenere che anche i Nani, nonostante la loro natura mortale, siano da escludersi dalla descrizione di Gandalf (come lo stesso Stregone Grigio, d’altra parte).

Interessante è anche il riferimento ai tentativi dell’Anello di sfuggire al suo proprietario, cambiando dimensione e peso, dimostrando, ancora una volta, una natura ben più complessa rispetto a quella di un normale oggetto d’oro. Gandalf continua poi il suo racconto, facendo finalmente il collegamento mancante fra lo Hobbit e il Signore degli Anelli: dichiara, infatti, di aver avuto sentore di un’ombra quando Bilbo trovò l’Unico e di aver sempre saputo che fosse uno dei Grandi Anelli, dimostrando, tuttavia, allo stesso tempo, di essere stato molto moderato (per usare un eufemismo) nei confronti di Frodo anni prima, ammonendolo a non usare l’Anello pur senza metterlo in guardia in modo più preciso, cosa che avrebbe dovuto fare, alla luce di queste premesse.

Ed è così che si giunge, nel corso del racconto di Gandalf, a un’affermazione piuttosto netta, che svela il duplice aspetto dell’Unico, strumento per accrescere forza (intesa come volontà di dominio) e scienza (intesa come conoscenza delle forze naturali e del linguaggio, che agli occhi degli Hobbit appariva magia) di Sauron: «al nemico – afferma lo stregone – manca ancora una cosa che gli possa dare la forza e la scienza necessarie a demolire ogni resistenza, distruggere le ultime difese e far piombare tutte le terre in una seconda oscurità: gli manca un Anello, l’Unico» (55).

Del lungo racconto che Gandalf dedica alla storia dell’Unico, mi sembra importante porre in rilievo un commento che egli dedica a Smeagol: «L’anello gli aveva conferito un potere proporzionato alla sua statura». Ciò significa che l’Anello si adeguava alla personalità e al ruolo sociale del portatore: per adoperare un paragone con i tempi attuali, se oggi l’Anello finisse al dito di un broker di borsa lo spingerebbe a truffare i suoi clienti, se invece fosse adoperato da uno studente lo «aiuterebbe» a emergere nella valutazione scolastica, portandolo però a deridere i compagni meno bravi e facendo emergere in lui un forte senso di superiorità e disprezzo nei confronti degli altri compagni; e potrei continuare a lungo su questa scia. Altro elemento importante del racconto di Gandalf è l’affermazione relativa alla natura dei Grandi Anelli, che sottointende la sua capacità di «pensare» in modo indipendente, quasi fosse un essere vivente: «Un Anello del Potere vive la propria vita: può benissimo scivolare a tradimento, ma il suo custode non lo abbandonerà mai […] L’Anello stava cercando di tornare dal proprio padrone […] non aveva più bisogno di questo piccolo essere ignobile e meschino, e se fosse rimasto ancora con lui, non avrebbe mai più abbandonato quello stagno profondo» (p. 59). In questo modo Tolkien rivela che lo sfilarsi dell’Unico dal dito di Gollum sia avvenuto come conseguenza del risvegliarsi del potere di Sauron nel Bosco Atro e, addirittura, nelle regioni limitrofe: ritorna così, tuttavia, quel dubbio che avevo espresso in altre occasioni e all’inizio dell’articolo, in merito al mancato sentore dei poteri dell’Unico da parte di Sauron. Sembra difficile, infatti, che l’Anello avvertisse il risveglio di Sauron, ma questi non vi riuscisse.

Ho scritto un articolo davvero lungo, e spero che i miei lettori vorranno perdonarmi per questo: la storia dell’Anello, tuttavia, è davvero molto complessa e ha bisogno di una trattazione adeguata alla sua importanza.

My Book Tag Award (pt. 2)

Ringrazio Lettrice per avermi invitato a rispondere a queste interessanti domande e passo subito a rispondere a tali quesiti.

1. Qual è la tua fiaba preferita fra “Cenerentola”, “La Bella e la Bestia”, “Biancaneve e i sette nani”, “Pollicino” e “Cappuccetto Rosso”?

Premesso che adoro una fiaba da te non citata, ossia «La Bella addormentata», direi che apprezzo molto quella di Pollicino per l’intraprendenza che dimostra il suo protagonista.

2. Qual è il libro che hai cominciato ad amare solo dopo aver letto diversi capitoli (non dalle prime pagine, per capirci)?

Beh, devo ammettere che il Signore degli Anelli mi fece proprio questo effetto…cominciai ad apprezzarlo veramente dopo aver incontrato Grampasso. In realtà avendo visto il film animato di Bakshi prima di leggere il romanzo avrei già dovuto conoscere le vicende precedenti all’incontro alla Locanda di Brea con il ramingo, ma un curioso caso volle che, data la tarda ora cui lo trasmisero su Rai Due tanti e tanti anni fa, mia madre sbagliasse l’orario di programmazione della registrazione su VHS, ragion per cui il «mio» Signore degli Anelli iniziava solo con l’ingresso di Frodo & Co. nella città di Brea.

3. Solitamente ti rispecchi di più nel personaggio principale, o in un personaggio secondario?

Dipende: da lettore nel personaggio principale, da scrittore in quello secondario. Mi piace rendere i miei co-protagonisti quasi più affascinanti del protagonista principale.

4. Preferisci leggere prima un libro e poi vedere il film che ne viene tratto, oppure il contrario?

Ragioni filologiche mi spingerebbero a rispondere «prima il libro, poi il film», ma tante volte accade poi il contrario, per cui mi limito a rispondere che l’importante è non pensare che la rappresentazione cinematografica sia una fedele trasposizione (se non addirittura superiore) rispetto all’opera letteraria, mancando così di rispetto al suo autore.

5. Quando leggi un libro e/o guardi un film, ti interessano di più le scene di azione o quelle in cui si approfondiscono i rapporti tra i personaggi e le loro caratteristiche?

Sicuramente le seconde. Le scene di azione sono spettacolari a livello istintivo, ma poi, rivedendole in un secondo momento, non sono più in grado di offrire la stessa emozione provata la prima volta. Le scene di approfondimento psicologico, al contrario, non mancano mai di offrire importanti spunti di riflessione, anche (e soprattutto) nelle seconde e terze visioni/letture.

6. Qual è il personaggio letterario – o al limite cinematografico – che ti piace molto ma ti sembra sottovalutato dal resto del fandom?

Ho sempre avuto un debole per Bilbo e continuo a pensare che sia un po’ sottovalutato dagli appassionati tolkieniani, nonostante l’ottima interpretazione cinematografica offerta da Martin Freeman.

7. Se potessi scegliere un luogo in cui vivere, quale sceglieresti tra tutti quelli che hai conosciuto grazie alla lettura?

Probabilmente Rivendell, un luogo stupendo incorniciato da una natura ancora più bella.

8. C’è un genere letterario in particolare che non ami o che non leggi?

Il genere erotico non mi piace. Per il resto, dipende molto dalla trama e dalla qualità della scrittura.

9. Qual è il libro che non ce l’hai mai fatta a terminare (per un qualsiasi motivo)?

Non sono riuscito a terminare «La guerra dei poveri» di Nuto Revelli, forse perché sentivo le ambientazioni piemontesi lontane dalla mia realtà geografica. Me ne dispiaccio, perché trama e scrittura erano ben congegnate.

10. Qual è il libro che hai messo di più sul comodino – cioè hai letto più spesso prima di andare a dormire?

Penso «Jurassick Park», lo trovo molto divertente e intrigante. Ogni volta che lo leggo non posso fare a meno di provare a chiedermi cosa sarebbe successo se la clonazione di animali estinti avesse avuto successo.

Unico Anello: istruzioni per l’uso (parte I)

Ho scelto di attribuire un nome ironico a questo articolo per cercare di approfondire, su gentile suggerimento di Lettrice, una questione complessa sulla quale non esistono versioni definitive: la natura dell’Unico.

Questione complessa, dicevo, principalmente per due ragioni: la prima, interna alle opere di Tolkien, è legata alla scelta di attribuire la paternità fittizia delle sue opere a una serie di personaggi che di Sauron sono nemici: Bilbo, Frodo e, in misura minore, Sam, sono gli autori del Libro Rosso, ossia dell’Hobbit e del Signore degli Anelli; Bilbo, inoltre, risulta essere il traduttore dalla lingua elfica a quella comune del Silmarillion e (si presume) anche degli altri racconti ambientati nella prima e seconda era confluiti nella «History of Middle Earth». Non è un caso, dunque, che di Sauron, nonostante il titolo di «Signore degli Anelli» faccia naturalmente riferimento alla sua persona, si legga molto poco: perfino Frodo, infatti, che si era recato nella Terra Nera, arrivando sino alle soglie di Barad-Dur, non aveva certo avuto occasione di conoscerlo. All’epoca degli eventi ambientati negli ultimi anni della Terra di Mezzo, inoltre, non era rimasto quasi più nessuno di quelli che avevano conosciuto Sauron nelle vesti di Annatar: Gil-Galad e Celembrimbor erano morti, Cirdan risulta essere un personaggio secondario, mentre Galadriel ed Elrond, che forse avrebbero potuto esprimersi meglio sull’Oscuro Signore, non toccarono apertamente questo argomento. Probabilmente Celebrimbor era l’elfo che meglio di tutti avrebbe potuto illuminarci su Annatar, ma fu ucciso, forse proprio da Sauron in persona, e non lasciò nessuna testimonianza sul periodo della sua vita trascorso a contatto con lui, né lasciò spiegazioni di natura tecnica sugli Anelli. Qualche anno fa, a proposito della scelta di Tolkien di aver attribuito la scrittura delle sue opere a personaggi «positivi», lessi di un autore russo che aveva scritto il «Black Silmarillion», una sorta di versione alternativa di quest’opera, compilata dal punto di vista dell’Oscuro Signore. Non so se quest’opera sia stata tradotta in inglese, né ho idea di quale livello qualitativo abbia raggiunto: posso però dire che è strutturata intorno a un’idea piuttosto originale, che potrebbe risultare anche interessante, da un punto di vista accademico.

La seconda ragione che rende difficile comprendere quali fossero i veri poteri dell’Unico deriva invece da una circostanza «esterna»: Silmarillion, Hobbit e Signore degli Anelli sono, infatti, opere scritte in periodi diversi da Tolkien, quando il legendarium della Terra di Mezzo si trovava ad uno stato che potremmo definire compreso fra l’embrionale e il maturo. Dovendo però scegliere una linea temporale precisa, suggerisco di iniziare dall’anno di pubblicazione dell’opera, e dunque dall’Hobbit.

In questa opera l’Unico appare per la prima volta nel capitolo V «Indovinelli nell’Oscurità», nel quale l’autore sembra interrogarsi, insieme ai suoi lettori, sulla natura dell’Anello che era stato in possesso di Gollum per tanti secoli: come spiegavo in uno scambio di commenti con Lettrice, sembra che il Signore degli Anelli non sia neppure quell’essere malvagio che risulterà poi essere tutt’uno con il Negromante. Veniamo comunque a sapere che l’Anello ha il potere di stancare il dito e la pelle di Gollum e per questa ragione non lo teneva sempre con sé; inoltre, apprendiamo che rende invisibile la figura del portatore, a parte la sua ombra che può essere avvistata solo in pieno giorno e che sembra rimandare in modo allusivo al regno oscuro dal quale proviene. Più avanti, nel corso della lettura del romanzo, scopriamo che l’Anello rende i sensi del portatore più acuti e gli permette, inoltre, di comprendere il linguaggi di alcuni esseri, come ad esempio i Ragni Giganti. È questo il primo vero accenno a un legame possibile tra l’Anello e le creature malvagie della Terra di Mezzo, nonostante la conoscenza della lingua nera non sia, di per sé, un qualcosa di negativo (dipende dall’uso che se ne fa, come dimostra il fatto che la conoscesse anche Gandalf). Il secondo accenno, invece, è relativo a una questione psicologica, più che magica: Bilbo, infatti, si dimostra sin dall’inizio abbastanza riluttante a raccontare la vera storia dell’incontro tra lui e Gollum, senza chiedersi veramente il perché di una scelta che sembra in contrasto con il suo carattere. Infine – ed è forse l’elemento più importante da sottolineare – nell’Hobbit si trova per la prima volta l’accenno all’Anello come essere senziente. Quando Bilbo arriva all’uscita secondaria delle grotte degli orchi, infatti, Tolkien così descrive questo momento: «Fosse un caso, o l’ultimo tiro giocato dall’anello prima di cambiare padrone, fatto sta che non lo aveva al dito. Con urlo di gioia, gli orchi si precipitarono su di lui». (Lo Hobbit, p. 108)

C’è da notare, comunque, che anche di fronte al racconto che Bilbo narra dopo aver liberato i nani, nessuno di loro sembra essere spaventato dal suo uso: un elemento, questo, che sarà bene ricordare e che ci sarà utile per comprendere alcune parole pronunciate da Gloin e da Boromir in occasione del Consiglio di Elrond, molti anni dopo. A proposito delle avventure vissute da Bilbo nel Bosco Atro, c’è da notare una questione problematica sulla quale neppure l’opera cinematografica di Jackson, che tende a rileggere l’Hobbit in base alle vicende stabilite nel Signore degli Anelli, riesce a intervenire in maniera convincente: illustrare gli effetti che l’Anello comporta su Bilbo all’interno di uno dei territori occupati dall’Oscuro Signore. Pensate, per contrasto, a quello che succede a Frodo (e anche a Sam) quando si avventurano a Mordor: sono preda entrambi di tentazioni fortissime, alle quali devono opporre una resistenza fisica e spirituale sempre maggiore per evitare di cadere vittime del potere dell’Unico. Nel Bosco Atro, al contrario, non succede nulla di tutto ciò: è vero che Dol Guldur è abbastanza lontana dal luogo in cui Bilbo si imbatte nei ragni giganti, tant’è che nella mappa riportata nell’Hobbit Dol Guldur non è neppure riportata, tuttavia non c’è alcun dubbio che il potere del Negromante si estendesse in tutta la foresta, che rappresentò il primo luogo fisico nel quale egli si manifestò nel corso della Terza Era. Saggiamente, nel tentativo di fare da collante fra «Signore degli Anelli» e «Lo Hobbit», la sceneggiatura del film «La desolazione di Smaug» ha inserito uno scontro tra Bilbo e una grottesca creatura del Bosco Atro, da questi trafitta più volte perché l’hobbit pensava che potesse rappresentare un avversario in grado di minacciare l’Anello, forse addirittura di sottrarglielo. Tuttavia, secondo me, neppure questa scena collega direttamente l’Anello con Sauron: Bilbo non subisce nessuna visione, né deve opporre una particolare resistenza per evitare di cadere sotto il suo controllo. Da questo particolare si evince – una volta di più – che Tolkien non aveva ancora collegato, durante la stesura dell’Hobbit, l’Anello con il Negromante; la stessa trilogia cinematografica, dunque, a meno di non stravolgere pesantemente la trama del romanzo, non poteva intervenire su questa «contraddizione» interna del legendarium. Un ulteriore elemento di dubbio sulla natura dell’Anello trovato da Bilbo nelle caverne degli Orchi sovviene allo spettatore al termine della pellicola «La Battaglia delle Cinque Armate», allorché Gandalf si mostra inquieto a causa dell’Anello trovato da Bilbo e in maniera piuttosto vaga accenna al fatto che esistono altri anelli magici nel mondo, e che nessuno di questi deve essere usato alla leggera. Bilbo mente al suo mentore, sostenendo di aver perso l’Anello durante la guerra e Gandalf lascia perdere la questione, sebbene si allontani piuttosto turbato, come se qualcosa non lo convincesse. Bilbo, naturalmente, non ha smarrito l’Anello e se lo ritrova in tasca nelle scene finali del film, in un passaggio secondo me ben riuscito (non sempre mi dimostro critico nei confronti di Jackson:-P), perché funge molto bene da cerniera nei confronti della trilogia del Signore degli Anelli. Ma dei poteri e della storia degli Anelli nella trilogia tolkieniana discuterò nella seconda parte di questo articolo.

My Book Tag Award 2018

Ringrazio Eowyn per avermi invitato a rispondere a queste stimolanti domande. Purtroppo non sono in grado di invitare nessun altro a partecipare (i miei contatti coincidono con i tuoi), ma se i miei lettori dovessero crescere numericamente, ne terrò conto;)

1 Il Libro che hai sempre a portata di mano:

Domanda difficile…e più difficile ancora è la risposta! Leggo molti libri e di diverso genere. Escludendo quelli che consulto per ragioni professionali, direi «Racconti incompiuti» di J.R.R. Tolkien.

2 La citazione preferita

Dipende dal mio stato d’animo. Dovendo limitarmi ad una sola, mi piace ricordare questo breve componimento zen: «Per camminare sul filo tagliente di una spada/Per correre su un levigato lastrone di ghiaccio/Non c’è bisogno di seguire nessuna impronta/Cammina sui dirupi a mani nude». Mumon, La porta senza porta, Adelphi, Milano, p. 57, 2006.

3 Film o tv?

Attualmente trovo la TV molto noiosa e piena di pubblicità inutili, se non dannose. Preferisco andare al cinema, dove posso apprezzare generi diversi che spaziano dal fantasy alla fantascienza, dallo storico al drammatico, senza trascurare le commedie brillanti.

4 Ebook o cartaceo?

Gli ebook possono essere utili per lavoro (sono meno costosi dei cartacei e possono essere letti sul tablet in qualunque momento e luogo), però preferisco i libri cartacei. Adoro l’odore della carta!

5 Il primo libro che hai letto da solo

Non ne sono sicuro, ma credo sia stato un libro sui dinosauri. Da bambino ero un grande appassionato della Preistoria.

6 Traduzione o lingua originale?

Per lavoro mi capita spesso di leggere articoli e monografie in lingua originale (prevalentemente in inglese), tuttavia, se voglio rilassarmi, preferisco i testi scritti in italiano.

7 Un libro o un autore che ti ha deluso

Sicuramente Terry Brooks. Molti anni fa mi consigliarono di leggere «La Spada di Shannara», ma la trovai banale e poco originale (notavo al suo interno un forte influsso delle opere di Tolkien).

8 Hai mai scritto un fanfiction?

Premesso che trovo il termine fanfiction vago e indistinto, perché racchiude al suo interno una gamma vasta di scritti…sì, ho scritto una fanfiction ambientata nella Terra di Mezzo di Tolkien.

9 Il fandom preferito (o quello nel quale partecipi il più attivamente)

Beh, in questo caso la risposta è facile: l’universo della Terra di Mezzo

10 L’autore di cui hai sentito parlare e ti incuriosisce, ma è ancora da scoprire

Tanti amici mi hanno parlato della Rowling e della saga di Harry Potter, tuttavia, pur avendo visto e apprezzato la saga cinematografica, non ho mai avuto occasione di leggere un suo libro.

Adunaphel l’Incantatrice. La Settima

Per tutti quelli che credono che le donne siano meno pericolose (ed efficaci) degli Uomini…altro che sesso debole! Immagino che la scelta di un Nazgul donna possa non piacere a tutti, perciò sono preparato a obiezioni in questo senso; tuttavia, ritengo che accanto a donne elfiche come Galadriel, schierate fra i «buoni», non sfigurino degli alter ego militanti nella parte avversa. Nasce così la figura di Adunaphel, una sorta di Mata Hari della Terra di Mezzo, letale, seducente e pericolosa spia al servizio di Sauron. Buona lettura!

Principessa del Forastar in Numenor, dama Adunaphel era nata nell’anno 1823 della Seconda Era nella città di Armenelos, figlia di Inizildun, principe e comandante della flotta del re; fin da tenera età ella si distingueva dalle sue compagne per una mente acuta e una bellezza simile a quella delle donne elfiche: crescendo, Adunaphel affinò le sue doti, e numerosi Uomini le chiesero la mano, sedotti dal suo fascino e dalla sua volontà d’acciaio. Adunaphel, tuttavia, disdegnava tali proposte non reputandole all’altezza della propria fama; molto temeva la morte e mai obliò le sofferenze che l’anziano padre aveva patito durante la lenta agonia che l’aveva condotto al suo decesso, provocate dal suo folle disio di abiurare la morte stessa, perdurando nel suo corpo mortale. Poco affetto c’era tra la dama di Forastar e la madre, ché costei sosteneva la causa degli Eldar ed era avversa al partito del sovrano, cui invece la figlia aderì con entusiasmo: alla corte del sovrano ella conobbe il principe Atanamir, e il suo cuore fu colmo di passione nei suoi confronti, reputandolo superiore a coloro che aveva respinto in passato; grande fu la sua ira allorché l’Erede al trono la respinse ed ella giurò sulla memoria del padre che avrebbe ottenuto la testa del principe.

Nel 1914 S. E., Adunaphel abbandonò Numenor per fondare una colonia nella Terra di Mezzo e sottomettervi i suoi abitanti; a lungo ella viaggiò verso ponente, finché sbarcò nelle terre dei Variag, ove impose la sua legge: per alcuni anni il regno di Ard la Vanitosa, come ella si faceva chiamare dalla sua gente, espanse i suoi confini a Est e a Sud, finché Adunaphel, stanca di dover pagare un tributo al suo re, colse l’occasione per dichiarare la propria indipendenza: Atanamir, nel frattempo divenuto sovrano di Numenor, ne decretò la condanna a morte ed ella allora fuggì verso Oriente, mentre il suo regno veniva occupato dalla armate di Numenor. Rabbia e ira covò nel suo cuore e a lungo vagabondò nei deserti del Khand, fino al giorno in cui fu catturata da una tribù di Variag, il cui signore ne fece la schiava preferita; ella pazientò, finché non sedusse le guardie del suo padrone e non fu certa di aver appreso le arti della spada e della lancia. Dopo un anno Adunaphel sgozzò nel sonno il re dei Variag e si proclamò regina di quel popolo: Sauron allora ebbe sentore della signora di Numenor e la convocò a Mordor, promettendole vendetta contro i guerrieri di Atanamir. Adunaphel accettò l’offerta dell’Oscuro Signore e ricevette il settimo Anello degli Uomini, giurando eterna fedeltà al suo padrone, nell’anno 2004 della Seconda Era.

Nei successivi mille anni, il Nazgul ebbe dimora nella capitale del suo impero, che in lingua elfica aveva nome Minas Gulwen (Torre della Fanciulla Strega), ordendo la caduta di Numenor; nell’anno 3277 Sauron la inviò a Umbar, ove ella sedusse il luogotenente di Ar-Pharazon, sicché l’influenza del Maia Caduto si estese al porto. Erfea Morluin visitò la roccaforte di Adunaphel due anni dopo e ne sconfisse i servi con l’aiuto del principe elfico Morwin: furente, Adunaphel allora affrontò i due guerrieri e avrebbe riportato la vittoria, se in quel momento il Sole non si fosse levato in tutta la sua possanza umiliando il suo nero spirito. Dopo Atalante, le armate di Adunaphel presero la città di Minas Ithil e si diressero verso Osgiliath, venendone duramente sconfitte durante il primo assedio: in seguito, ella fu vicino a realizzare il suo obiettivo, allorché giunsero gli eserciti degli altri Ulairi e Gondor parve crollare; tuttavia, l’arrivo della forze dell’Alleanza sconvolse i suoi piani ed ella ripiegò alla Dagorlad, ove venne sconfitta nuovamente. Negli ultimi anni dell’assedio partecipò con gli altri Nazgul alla difesa di Barad-Dur, precipitando nell’oblio allorché Sauron cadde.

«Il Ciclo del Marinaio», pp. 392-393

 

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adunaphel

Suggerimenti di lettura:

I Nazgul

Er-Murazor, il Primo dei Nove

Khamul, il Secondo, l’Ombra dell’Oriente.

Dwar di Waw, il Terzo, il Signore dei Cani

Indur, la Morte dell’Alba, il Quarto

Akhorahil, il Re Tempesta, il Quinto

Hoarmurath di Dir, il Re del Ghiaccio, il Sesto.

Ren il Folle, l’Ottavo

Uvatha, il Cavaliere, il Nono

Ritratti – Adunaphel l’Incantatrice

Signori in piedi! Entra la Giuria. In difesa di Dain II Piediferro

Riprendo una rubrica che avevo inaugurato alcune settimane fa, dedicata alla rappresentazione dei principali personaggi delle opere tolkieniane nelle pellicole cinematografiche di Jackson. Come avevo annunciato, si tratta di un confronto semiserio nei quali vesto sia i panni dell’accusa che della difesa, cercando di porre in luce gli elementi meglio (o peggio) riusciti dei personaggi della Terra di Mezzo. Non si tratta di giudizi assoluti, né vogliono avere la pretese di essere tali: lo scopo di questa rubrica è solo quello di invitare a riflettere sulle differenze che, inevitabilmente, sorgono fra due canali comunicativi intercantesi e tuttavia molto differenti, come la scrittura e l’arte cinematografica.

Quest’oggi voglio approfondire la figura di Dain II Piediferro. Ne «Lo Hobbit», Dain è poco più che una invocazione lanciata da Gandalf poco prima dello scoppio della battaglia dei cinque eserciti, con la quale egli invita il re dei nani a unirsi agli uomini e agli elfi per la disperata difesa della Montagna. Al termine dello scontro, tuttavia, Tolkien inizia a farci scoprire un personaggio dal carattere nobile, che desidera porre rimedio al comportamento poco saggio tenuto da Thorin nei confronti di Bilbo prima che gli Orchi giungessero alla Montagna Solitaria, pur tenendo conto delle evoluzioni che, nel frattempo, si sono verificate:

Gli altri rimasero con Dain; infatti Dain distribuì con accortezza il tesoro. […] A Bilbo egli disse: «Questo tesoro è tuo quanto mio; però gli antichi accordi non possono più sussistere, perché molti hanno acquisito un diritto su di esso, conquistandolo e difendendolo. Tuttavia nemmeno se tu fossi disposto a rinunciare a tutti i tuoi diritti, vorrei che le parole di Thorin, di cui egli si pentì, si dimostrassero vere; e cioè che ti dessimo poco. Vorrei ricompensarti più riccamente di tutti». Lo Hobbit, p. 327-328.

Nel Signore degli Anelli il ritratto di Dain si approfondisce maggiormente: non solo perché, a differenza di quanto avviene nei film di Jackson, è Dain che uccide Azog, vendicando così sia suo padre che suo zio, ma perché si comporta in modo saggio e accorto in almeno due occasioni: nella prima, quando giovane nano (considerato poco più che adolescente) ammonisce Thrain a non entrare nelle Miniere di Moria dopo la disfatta degli Orchi, perché ha visto con i suoi occhi il pericolo che si nasconde nell’oscurità di Khazad-Dum, il Flagello di Durin*; nella seconda circostanza allorché si confronta nientemeno con uno dei Nazgul, inviato da Sauron allo scopo di incutere paura nei figli di Durin, e, verosimilmente, a verificare le difese militari che i Nani avrebbero potuto schierare contro i suoi tentativi di conquistare l’Oriente della Terra di Mezzo. Nel rispondere al pericoloso messo dell’Oscuro Signore, Dain mostra grande fermezza e prudenza:

«La mia risposta non è un sì né un no. Devo riflettere sul tuo messaggio e su ciò che implica dietro le belle apparenze.”. “Rifletti bene, ma non troppo a lungo” disse il messaggero. “Il tempo del mio pensiero è mio, e sono libero di impiegarne quanto voglio”, rispose Dain. “Per ora”, disse l’altro cavalcando via nell’oscurità». Il Signore degli Anelli, La Compagnia dell’Anello, p. 327.

Anche nel terzo capitolo della saga cinematografica dell’Hobbit il personaggio di Dain è poco più che una comparsa: almeno su questo non si differenzia molto dal personaggio originale. La questione più grave, tuttavia, resta quella caratteriale: il soggetto cinematografico, infatti, è molto meno saggio rispetto alla figura del romanzo. Lo stesso Gandalf, nel presentare il cugino di Thorin a uno stupefatto Bilbo, lo descrive come molto più ostinato del figlio di Thrain, il che è tutto dire! In particolare, c’è una scena che proprio non riesco ad accettare e che è visibile, fortunatamente, solo nella versione estesa: quella in cui Dain ordina ai suoi di attaccare gli Elfi. Ancora una volta, Jackson non si rende conto di quanto i Popoli Liberi fossero riluttanti all’affrontarsi in guerra, tanto più tra genti che solitamente non si combattevano fra loro: nel libro, infatti, non si giunge allo scontro armato. Anche Thranduil si mostra molto riluttante a scendere in guerra a causa dell’oro, preferendo aspettare l’inverno per prendere i Nani a causa della fame e del freddo.

In difesa degli sceneggiatori, comunque, va detto che Dain nei film rappresenta l’alter ego di Thorin: laddove il figlio di Thrain cerca di ascoltare i suggerimenti di Gandalf, Dain è invece irascibile e sospettoso oltre ogni limite. Inoltre (altro punto a favore degli sceneggiatori) Dain deve fare da contraltare anche a Thranduil, il quale, a sua volta, si mostra molto diffidente nei confronti dei Nani, non mancando di far notare in diverse occasioni che lo scontro con i figli di Durin è inevitabile. Una scelta legittima, quella degli sceneggiatori, che può ricevere molto attenuanti nel giudizio: ciò non toglie, tuttavia, che il «crimine» sia stato commesso e che il giudizio della Giuria non possa che essere univoco: colpevoli.

*Una scena stupenda, che avrei tanto voluto vedere nel film dell’Hobbit, ma pazienza. Immaginate Dain che si affaccia all’interno delle Miniere, ancora orgoglioso per aver ucciso Azog e scorge, immobile nell’oscurità, più nero della notte, il Balrog che lo fissa in un glaciale silenzio, mentre i suoi occhi di bragia splendono nel buio.

Hoarmurath di Dir, il Re del Ghiaccio, il Sesto.

Nato nell’anno 1954 della Seconda Era a Emurath di Uab, nella foresta di Dir posta all’estremo Nord della Terra di Mezzo, Hoarmurath era un discendente di una stirpe di rozzi montanari e cacciatori: sua madre era stata la grande matriarca del regno di Urdar finché la morte l’aveva colta durante una delle numerose guerre condotte contro le genti del Forochel, lasciando il trono nelle mani della figlia maggiore Amurath, secondo le leggi del suo regno; in tale occasione Hoarmurath divenne il Signore della Casa, raggiungendo in tal modo la carica più ambita che un Uomo potesse desiderare nella contrada di Urdar. Tosto, tuttavia, l’ambizione di Hoarmurath giudicò la propria posizione insufficiente per realizzare i grandi obiettivi che la mente di costui aveva maturato durante un soggiorno tra le genti del Khand; ivi si era convinto che il manto regale spettasse a un uomo e che sua sorella dovesse essere deposta: fatto ritorno a Urdar reclutò molti sostenitori fra coloro che detestavano Amurath, proclamando apertamente la ribellione.

Oltraggiata dall’insulso comportamento del fratello, la matriarca di Urdar ne ordinò l’arresto e ne dispose l’esilio; seguirono scontri armati tra le due fazioni, finché Amurath cadde sotto i colpi dei sicari di suo fratello, il quale pose sul suo capo la corona di Urdar nell’anno 1992; reso arrogante dai successi ottenuti, Hoarmurath si accinse a conquistare i territori dei Lossoth. Nulla temeva, ché era invero un grande guerriero, eppure la regina sua sposa non riusciva a dargli quell’erede maschio che avrebbe assicurato la sopravvivenza della sua dinastia: allora lo prese la paura della morte ed egli si rivolse a un suo alleato, Khamul l’orientale, il quale gli offrì, su ordine di Sauron, il sesto Anello degli Uomini; accecato dalla follia, egli lo accettò senza porsi alcuna domanda e cadde in preda al potere dell’Ombra, nell’anno 2003 della Seconda Era.

Nei successivi quattrocento anni, espanse i confini del suo reame, conquistando le terre dei Lossoth e spingendosi finanche nel Rhovanion, ove sottomise numerose tribù di Esterling: infine, dopo aver ucciso la prima moglie e aver assicurato un erede al proprio regno, partì per Mordor, ove servì il suo signore fino alla cattura di costui da parte dei Numenoreani. Dopo la Caduta, fece ritorno a Urdar, ove comandò gli eserciti di Dir nelle battaglie contro i cavalieri del Rhovanion che ancora non si erano sottomessi alla volontà di Sauron, sconfiggendoli in battaglia presso il fiume Celudin; richiamato tuttavia all’assedio di Gondor, il Re del Ghiaccio, come lo chiamavano i suoi guerrieri, condusse il suo esercito a Sud.

Dopo la sconfitta per opera dell’Ultima Alleanza, Hoarmurath partecipò alla difesa di Barad-Dur, precipitando nell’ombra allorché Isildur si impossessò dell’Unico Anello.

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Suggerimenti di lettura:

I Nazgul

Er-Murazor, il Primo dei Nove

Khamul, il Secondo, l’Ombra dell’Oriente.

Dwar di Waw, il Terzo, il Signore dei Cani

Indur, la Morte dell’Alba, il Quarto

Akhorahil, il Re Tempesta, il Quinto

Adunaphel l’Incantatrice. La Settima

Ren il Folle, l’Ottavo

Uvatha, il Cavaliere, il Nono