Riprendo il discorso iniziato nel precedente articolo per affrontare la questione dei poteri dell’Unico Anello e degli altri Grandi Anelli. In questa seconda parte mi soffermerò sulle informazioni presenti nei primi capitoli dell’opera del «Signore degli Anelli».
Sono trascorsi circa 60 anni dal ritorno di Bilbo alla Contea, dopo aver assistito alla morte di Smaug e aver contribuito a restaurare il Regno sotto la Montagna. Nonostante nella Contea la vita scorra apparentemente tranquilla come nel passato, nel resto della Terra di Mezzo le cose sono cambiate. Sauron si è rivelato al mondo, abbandonando i panni del Negromante, e ha ricostruito Barad-Dur, riprendendo il centro del suo potere nella Terra di Mordor. Egli è alla disperata ricerca dell’Anello, ostacolato in questo da Saruman, che muove i suoi servi in diverse regioni della Terra, nella speranza di arrivare prima al rinvenimento dell’Unico; contemporaneamente, Sauron continua a dare la caccia all’erede di Isildur, perché è a conoscenza che la linea dei Numenoreani del Nord non si è estinta e che, da qualche parte, si trova l’ultimo erede dei grandi sovrani di Arnor e Gondor.
All’inizio del romanzo incontriamo Bilbo alle prese con i festeggiamenti del suo centoundicesimo compleanno: tra gli ospiti che prendono parte a questi festeggiamenti non può mancare il suo grande amico Gandalf. Lo stregone è perplesso non solo a causa della longevità del suo piccolo amico, ma soprattutto si sorprende a pensare a come sia cambiato fisicamente molto poco dall’epoca del suo primo incontro. Lo stesso Bilbo non può fare a meno di parlare dei suoi dubbi allo stregone: «Sono vecchio, Gandalf. Non dimostro i miei anni, ma sto incominciando a sentire un peso in fono al cuore. E poi dicono che mi mantengo bene?!, sbuffò. «Io che mi sento tutto magro, come dire, teso; rendo l’idea? Come del burro spalmato su di una fetta di pane troppo grande. Non è una cosa normale; devo aver bisogno di un cambiamento d’aria o roba simile» (SdA, p. 40). Trovo molto calzante questa descrizione degli effetti dell’Anello su Bilbo: esprime molto bene, infatti, con un linguaggio tratto dalla vita quotidiana degli Hobbit, gli effetti che l’Unico provocavano alla sua anima e al suo corpo. La mia opinione è che l’Anello si stesse risvegliando, nel tentativo di farsi trovare dal suo Padrone: possiamo immaginarlo come una creatura che vive in simbiosi con il suo portatore, trasmettendogli quelli che potremmo chiamare, con qualche forzatura, i propri «sentimenti»: l’inquietudine che Bilbo avverte è in realtà quella dell’Unico, il quale, dopo aver sfruttato l’Hobbit per uscire dalle caverne oscure degli orchi, era stanco di essere «recluso» all’interno di una regione remota e quieta come la Contea, molto lontana dal suo Padrone. Nell’accesa discussione che segue fra Gandalf e Bilbo, lo stregone rivela un interesse professionale nei confronti dell’Anello, adducendo come motivazioni la rarità e la magia che tali artefatti possiedono, senza però sbilanciarsi ancora sulla malvagità intrinseca all’Anello stesso. Ne segue poi l’alterco finale, ben rappresentato anche nel film di Jackson, sul quale non ritengo di dovermi soffermare particolarmente. Riprendo invece le parole finali che pronuncia Bilbo nello scusarsi, perché non mi sembra siano comprese nei dialoghi cinematografici: «Mi dispiace – disse – ma mi sentivo così strano. Eppure in un certo senso sarebbe un sollievo non aver più questo assillo. È diventato un peso per me, negli ultimi tempi. A volte mi sembra come un occhio che mi guarda fisso, e ad ogni momento sono tentato di metterlo al dito e di sparire, sai? […] Ho cercato di chiuderlo sotto chiave, ma ho scoperto che non avevo pace sentendolo lontano da me […] (42)». Questa confessione è importante perché per la prima volta nel corso del romanzo si fa cenno alla presenza di un Occhio dietro il quale si celerebbe Sauron stesso, il Signore degli Anelli. Questo riferimento mi suggerisce un paragone con un autore coevo di Tolkien, lo statunitense maestro dell’horror H. P. Lovecraft: nei suoi racconti più celebri, infatti, non mancano riferimenti a personaggi che vedono (o affermano di scorgere) nell’oscurità delle forme minacciose che spesso finiscono con l’identificare con qualcosa a loro familiare (una mano artigliata, una voce spaventosa ecc.) Questo, secondo me, è un collegamento inedito e importante, perché mette in evidenza la difficoltà degli Hobbit portatori dell’Anello nel percepire l’essenza di Sauron, che nessun personaggio nel romanzo riesce a descrivere in modo preciso.
A differenza della pellicola cinematografica, Bilbo si libera dell’anello in modo abbastanza confuso: il pacchetto nel quale è custodito gli cade di mano ed è Gandalf stesso a recuperarlo, ma tutto avviene nel giro di pochi secondi, lasciando «il posto ad un’espressione di sollievo e ad una risata» (43). Nel congedarsi da Frodo Gandalf inizia ad alludere a un legame fra l’uso dell’Anello e alcuni mutamenti avvenuti nel carattere di Bilbo (come quello di mentire sulle modalità con le quali ne era venuto in possesso), aggiungendo che «è probabile che abbia qualche altro potere, oltre quello di farti sparire quando più ti aggrada» (47). Gandalf ostenta tranquillità, ma è molto plausibile che abbia iniziato a pensare alla possibilità che quello fosse uno dei Grandi Anelli (non necessariamente l’Unico).
Dopo una lunga assenza, nella quale Gandalf era tornato per brevi visite al solo scopo di sincerarsi della salute di Frodo, lo stregone, dopo nove anni di latitanza, poté tornare alla Contea. Nel lungo racconto che Gandalf iniziò in quell’occasione, per la prima volta il lettore ha modo di conoscere la storia della forgiatura degli Anelli dagli albori della Seconda Era. Questione di non secondaria importanza, si accenna alla presenza di due tipologie diverse di Anelli: i Grandi Anelli (quelli del Poema iniziale, per intenderci) e gli Anelli Minori, che i «fabbri elfici consideravano delle bazzecole, benché, secondo me, fossero anch’essi rischiosi per i mortali» (52). La presenza degli Anelli Minori è utile, secondo me, per spiegare la presenza di altri spettri nella Terra di Mezzo: penso, ad esempio, ai fantasmi con i quali il Re degli Stregoni aveva popolato i Tumulilande e che potrebbero essere spiegati come sfortunati possessori degli anelli minori, corrotti da questi ultimi e costretti a servire l’Oscuro Potere che era alla base della loro forgiatura. La mia tesi appare rafforzata anche dal saccheggio che Sauron perpetuò a danno delle Aule dei Fabbri di Eregion al culmine della Guerra contro gli Elfi: è molto plausibile, dunque, che egli abbia potuto sottrarre non solo i Grandi Anelli degli Uomini e dei Nani, ma anche un numero imprecisato di Anelli Minori che avrebbe distribuito fra i suoi servi umani, rendendoli suoi schiavi anche dopo la loro morte.
Segue poi una descrizione dei poteri che i Grandi Anelli esercitano sui mortali, che però crea non pochi problemi di coerenza con la trama interna del Signore degli Anelli: «Un mortale caro Frodo, che possiede uno dei Grandi Anelli, non muore, ma non cresce e non arricchisce la propria vita: continua semplicemente, fin quando ogni singolo minuto è stanchezza ed esaurimento. E se adopera spesso l’Anello per rendersi invisibile, sbiadisce: infine diventa permanentemente invisibile e cammina nel crepuscolo sorvegliato dall’oscuro potere che governa gli Anelli. Sì, presto o tardi, tardi se egli è forte e benintenzionato, benché forza e buoni propositi durino ben poco presto o tardi, dicevo, l’oscuro potere lo divorerà» (52).
A leggere questa descrizione sembra proprio che l’uso di tutti i Grandi Anelli provochi invisibilità ai suoi portatori, almeno a quelli la cui natura è mortale (e quindi questo ragionamento esclude Elrond e Galadriel). Questo però contrasta almeno con due casi accertati nei quali si verificò il contrario: con Thrain II e con lo stesso Gandalf, il cui corpo, ricordiamolo, era di natura mortale e non immortale. Al contrario, sembra proprio che siano gli Anelli a rendersi invisibili e non i loro portatori. Nessuno, apparentemente, si accorge che Gandalf porta seco l’Anello del Fuoco: esso si mostra visibile agli occhi di tutti solo alla fine della storia, sul molo dei Porti Grigi, dopo la distruzione di Sauron. La stessa cosa deve essere accaduta a Thrain II: egli, infatti, fu catturato dagli sgherri del Negromante e torturato a lungo prima che Sauron si impadronisse dell’ultimo anello dei nani: ma perché impiegare tanto tempo per un oggetto che Thrain non avrebbe potuto nascondere in modo certo efficace? L’unica risposta che mi sovviene è che l’Anello fosse invisibile, a meno che non fosse intervenuto Sauron in persona, l’unico che aveva il potere di rendere visibili i Grandi Anelli. Probabilmente il Nano fu a lungo torturato perché cercò di opporre la sua volontà a quella dell’Oscuro Signore nel tentativo di non rendere visibile il suo Anello: tentativo valoroso, ma purtroppo vano. L’unico modo per spiegare questa palese contraddizione è quello di intendere «mortale» alle stregua di «umano»: gli Hobbit, infatti, sono una sorta di sottospecie degli Uomini, con i quali condividono la sorte ultima. Si potrebbe dunque ritenere che anche i Nani, nonostante la loro natura mortale, siano da escludersi dalla descrizione di Gandalf (come lo stesso Stregone Grigio, d’altra parte).
Interessante è anche il riferimento ai tentativi dell’Anello di sfuggire al suo proprietario, cambiando dimensione e peso, dimostrando, ancora una volta, una natura ben più complessa rispetto a quella di un normale oggetto d’oro. Gandalf continua poi il suo racconto, facendo finalmente il collegamento mancante fra lo Hobbit e il Signore degli Anelli: dichiara, infatti, di aver avuto sentore di un’ombra quando Bilbo trovò l’Unico e di aver sempre saputo che fosse uno dei Grandi Anelli, dimostrando, tuttavia, allo stesso tempo, di essere stato molto moderato (per usare un eufemismo) nei confronti di Frodo anni prima, ammonendolo a non usare l’Anello pur senza metterlo in guardia in modo più preciso, cosa che avrebbe dovuto fare, alla luce di queste premesse.
Ed è così che si giunge, nel corso del racconto di Gandalf, a un’affermazione piuttosto netta, che svela il duplice aspetto dell’Unico, strumento per accrescere forza (intesa come volontà di dominio) e scienza (intesa come conoscenza delle forze naturali e del linguaggio, che agli occhi degli Hobbit appariva magia) di Sauron: «al nemico – afferma lo stregone – manca ancora una cosa che gli possa dare la forza e la scienza necessarie a demolire ogni resistenza, distruggere le ultime difese e far piombare tutte le terre in una seconda oscurità: gli manca un Anello, l’Unico» (55).
Del lungo racconto che Gandalf dedica alla storia dell’Unico, mi sembra importante porre in rilievo un commento che egli dedica a Smeagol: «L’anello gli aveva conferito un potere proporzionato alla sua statura». Ciò significa che l’Anello si adeguava alla personalità e al ruolo sociale del portatore: per adoperare un paragone con i tempi attuali, se oggi l’Anello finisse al dito di un broker di borsa lo spingerebbe a truffare i suoi clienti, se invece fosse adoperato da uno studente lo «aiuterebbe» a emergere nella valutazione scolastica, portandolo però a deridere i compagni meno bravi e facendo emergere in lui un forte senso di superiorità e disprezzo nei confronti degli altri compagni; e potrei continuare a lungo su questa scia. Altro elemento importante del racconto di Gandalf è l’affermazione relativa alla natura dei Grandi Anelli, che sottointende la sua capacità di «pensare» in modo indipendente, quasi fosse un essere vivente: «Un Anello del Potere vive la propria vita: può benissimo scivolare a tradimento, ma il suo custode non lo abbandonerà mai […] L’Anello stava cercando di tornare dal proprio padrone […] non aveva più bisogno di questo piccolo essere ignobile e meschino, e se fosse rimasto ancora con lui, non avrebbe mai più abbandonato quello stagno profondo» (p. 59). In questo modo Tolkien rivela che lo sfilarsi dell’Unico dal dito di Gollum sia avvenuto come conseguenza del risvegliarsi del potere di Sauron nel Bosco Atro e, addirittura, nelle regioni limitrofe: ritorna così, tuttavia, quel dubbio che avevo espresso in altre occasioni e all’inizio dell’articolo, in merito al mancato sentore dei poteri dell’Unico da parte di Sauron. Sembra difficile, infatti, che l’Anello avvertisse il risveglio di Sauron, ma questi non vi riuscisse.
Ho scritto un articolo davvero lungo, e spero che i miei lettori vorranno perdonarmi per questo: la storia dell’Anello, tuttavia, è davvero molto complessa e ha bisogno di una trattazione adeguata alla sua importanza.