Don’t worry…be happy (Numenorean)!

Prendo a prestito il titolo di una famosa canzone di Bobby McFerrin (1988) per mettere su carta (virtuale) i miei primi pensieri e le mie prime impressioni sulla serie Amazon che dovrebbe uscire nei prossimi mesi e che, stando agli ultimi rumors, dovrebbe essere ambientata nella Seconda Era, come si può evincere dalla mappa che il sito della nota multinazionale americana ha pubblicato negli ultimi giorni. Qualcuno fra i lettori più acuti aveva già notato come nella prima parte della mappa della Terra di Mezzo pubblicata da Amazon non comparissero alcuni nomi usati nel corso della Terza Era (come quello di Rohan, per esempio, sostituito dal più antico Calenardhon), mentre, al contrario, erano presenti molti dei boschi nella regione dell’Eriador che, ai tempi di Bilbo e di Frodo, erano ormai del tutto scomparsi.
Leggendo qua e là i commenti sulle varie pagine social dedicate alle opere tolkieniane ho notato una serie di commenti che possono essere suddivisi sostanzialmente in due categorie: massima ostilità nei confronti di una serie ambientata nella Seconda Era (posizione maggioritaria) e un grande interesse, motivato proprio dall’elemento che l’ala oltranzista critica non sopporta, ossia l’ambientazione della serie nella Seconda Era e la possibilità di vedere sul piccolo schermo la grande isola dell’Ovest (posizione minoritaria).
In questo articolo non voglio commentare i gusti altrui: ognuno è libero di esprimere la sua preferenza verso quelle che ciascuno di noi può ritenere essere le parti più interessanti della grande opera tolkieniana. Il mio intento, al contrario, è quello di mostrare come non bisogna avere (soprattutto in questo stadio di produzione della serie Amazon) troppi pregiudizi nei confronti di qualcosa che, al momento attuale, non siamo ancora in grado di conoscere e, perciò, di valutare serenamente (da qui il richiamo al titolo della canzone).
Inizierò questa mia disamina affrontando la figura di Annatar, ossia Sauron nella sua figura di seduttore degli Elfi dell’Eregion….e dal momento che il tema di quest’anno individuato per il Tolkien Reading Day riguarda il mistero, ho scelto di trascrivere e commentare con i miei lettori un brano poco noto del legendarium tolkieniano, nel quale si registra la prima testimonianza della Seconda Era relativa a «un pericolo che giunge da Est» e che potrebbe aprire nuove luci anche sulla prossima serie di Amazon. Il brano che trascrivo appartiene al testo di una lunga lettera che Gil-galad scrisse al sovrano di Numenor Tar-Meneldur, padre di Aldarion. La lettera risale grosso modo all’anno 883 della Seconda Era, diversi secoli prima dell’arrivo di Sauron/Annatar nell’Eregion:

«Una nuova ombra si leva a est. Né si tratta della tirannide di Uomini perfidi, come ritiene tuo figlio: un servo di Morgoth si agita, e male cose si risvegliano. Anno per anno esso acquista forza, perché gran parte degli Uomini sono proni alla sua volontà. Non è lontano il giorno, a mio parere, in cui diverrà troppo grande perché gli Eldar gli resistano senza aiuti. Per questa ragione, ogniqualvolta scorgo un’alta nave dei Re di Uomini, il mio cuore esulta. E ora ho l’audacia di chiedere il tuo aiuto. Se hai braccia di Uomini che ti avanzano, prestamele, ti prego.
Tuo figlio ti riferirà, se lo desideri, tutte le nostre considerazioni. Ma in sostanza è sua opinione (la quale è sempre saggia) che, quando l’assalto verrà, come non può non accadere, dovremmo cercare di tenere le Terre Occidentali, dove tuttora dimorano gli Eldar e Uomini della tua razza, i cui cuori non sono ancora abbuiati. Per lo meno dobbiamo difendere Eriador sulle rive dei lunghi fiumi a ovest dei monti che noi chiamiamo
Hithaeglir [le Montagne Nebbiose]: il nostro principale baluardo. Ma in quel vallo montano si apre, a sud, un grande varco verso la terra di Calenardhon; e per esso non potrà non venire l’invasione dall’Est. Già il nemico striscia lungo la costa a quella volta. Lo si potrebbe difendere, impedendo l’assalto, se disponessimo di una base sul litorale viciniore». (JRR Tolkien, Racconti Incompiuti, pp. 276-277).

Dalla lettura di questo brano diviene possibile ricavare alcune indicazioni fondamentali, e perfino sorprendenti, per certi versi, sulla concezione che Tolkien aveva di Sauron nei primi mille della Seconda Era: il ritratto più comune di Sauron in quei secoli, infatti, non è quello di un nemico pericoloso agli occhi di Gil-Galad, quanto quello di un enigmatico individuo, i cui veri scopi sono abilmente celati da un eloquio raffinato, in grado di ingannare quasi tutti i suoi interlocutori. Per rendersi conto di quanto risulti «anomala» la descrizione dell’Oscuro Signore che ho trascritto in precedenza, è sufficiente leggere il capitolo del Silmarillion dedicato alla forgiatura degli Anelli del Potere e, in aggiunta, l’incipit del lungo discorso tenuto da Elrond in occasione del concilio che da lui prese il nome.

«E più a sud e più a est, Uomini si moltiplicavano; e la maggior parte di loro si volse al male, poiché Sauron era all’opera. […] [Sauron] guardò con odio agli Eldar, e provò paura per gli Uomini di Numenor che di tanto in tanto tornavano, con le loro navi, alle spiaggie della Terra di mezzo; ma a lungo però dissimulò la propria mente e tenne celati i tenebrosi disegni che andava plasmando in cuor suo. Di tutti i popoli della Terra, trovò che gli Uomini erano i più facili da sviare; ma per molto tempo ancora non desistette dal tentar di persuadere gli Elfi a mettersi al suo servizio, ben sapendo che i Primogeniti erano dotati di maggior potere; e girò in lungo e in largo tra loro, e il suo sembiante era pur sempre quello di uno bello quanto saggio. Solo a Lindon non si avventurò, poiché Gil-galad ed Elrond nutrivano dubbi su di lui e la sua bella apparenza e, sebbene non sapessero chi egli fosse davvero, pure non gli permettevano di metter piede in quella contrada». (JRR Tolkien, Il Silmarillion, p. 361).

Da questo brano emerge un’immagine diversa da Sauron, più in linea con quella «classica»: sebbene l’autore accenni alla presenza di Uomini che si volgevano al male perché subivano la sua influenza, sembra proprio che, in questa versione della Storia, Gil-galad non abbia ancora preso coscienza del rischio rappresentato da Sauron, limitandosi a mostrare perplessità nei confronti di questo enigmatico straniero che si aggirava fra gli Elfi, il cui aspetto, secondo fonti non canoniche, avrebbe potuto essere ispirato perfino a quello dei Vanyar, la prima stirpe elfica, che mai aveva abbandonata Valinor tranne che in occasione della Guerra d’Ira. Un elemento, quest’ultimo, piuttosto inquietante, che avrebbe dovuto spingere i più lungimiranti a chiedersi donde venisse fuori Annatar, che, al di là della fittizia attribuzione alla stirpe dei Vanyar, sembrava conoscere molto bene Valinor, come dimostra il discorso tenuto ai fabbri dell’Eregion: «Ma perché dunque la Terra di mezzo dovrebbe restare per sempre desolata e buia, laddove gli Elfi potrebbero renderla altrettanto bella di Eressea, che dico, persino di Valinor? E poiché non vi avete fatto ritorno, come pure potreste, ben m’avvedo che, al pari di me, voi questa Terra di mezzo l’amate. Non è dunque nostro dovere di lavorare fianco a fianco al suo arricchimento e per l’elevazione di tutte le stirpi elfiche che vi si aggirono, all’oscuro del molto potere e della sapienza che sono di coloro i quali stanno di là dal Mare?» (JRR Tolkien, Il Silmarillion, p. 362).
L’immagine di Sauron/Annator subisce una nuova modifica nel resoconto tenuto da Elrond nel concilio dei Popoli liberi alla fine della Terza Era, nel corso del quale fu formata la Compagnia dell’Anello: al principio di quella riunione, ecco come Elrond accennava alla figura del Nemico: «A quell’epoca Sauron non era ancora d’aspetto malvagio, ed essi accettarono il suo aiuto e diventarono potenti nella loro arte, mentre egli apprese tutti i loro segreti e li tradì» (JRR Tolkien, Il Signore degli Anelli, p. 198).

Come conciliare tutte queste descrizioni dello stesso personaggio? Indubbiamente, una prima risposta può essere rintracciata nella mancata sistemazione organica di tutto il legendarium tolkieniano, un problema che si evidenzia ogni qual volta si notano discrepanze fra le diverse versioni delle storie della Terra di Mezzo. La stessa figura di Sauron, considerato come servo di Morgoth e suo principale erede nel funestare la Terra di Mezzo dopo la scomparsa del suo signore, per esempio, è molto differente da quella del Negromante, descritta nel romanzo de Lo Hobbit (ne parlo in questo articolo, per chi fosse interessato ad approfondire la questione: Chi è il Negromante?) Un elemento, tuttavia, sembra essere comune a tutte le descrizioni riportate in questo articolo: l’assenza di una versione guerriera dello stesso Oscuro Signore. Perfino nella versione riportata nei «Racconti incompiuti», infatti, Gil-galad sembra accennare (almeno, questa è la mia interpretazione) più alla presenza dei servi del Nemico in assetto da guerra nelle terre occidentali, piuttosto che a quella di Sauron in persona. Un primo suggerimento che mi sento di offrire, dunque, per prepararci alla visione della nuova serie di Amazon ambientata nella Seconda Era, è quello di dimenticarci dell’immagine di Sauron offerta nella trilogia cinematografica di Jackson: per gran parte della sua (lunga) esistenza, infatti, Sauron assunse certamente tanti aspetti diversi (riuscì perfino ad assumere forma di demoniaco lupo nel corso della Prima Era!), tuttavia il ruolo di guerriero fu quello che probabilmente disdegnò più di qualunque altro. Con ogni probabilità, l’unico momento in cui decise di calzare i panni che abbiamo visto nella riproduzione cinematografica de «La Compagnia dell’Anello» fu durante lo scontro mortale combattuto contro i comandanti dell’Ultima Alleanza (e che, diciamolo pure, non fu il suo momento migliore); nelle altre circostanze in cui interagì con gli esseri viventi (sia Elfi che Uomini) Sauron assunse più che altro un aspetto piacevole da vedersi, perché sapeva, da fine conoscitore dell’animo dei viventi qual era, che questo travestimento gli avrebbe permesso di fare breccia nei loro animi e nelle loro coscienze. Resterei molto deluso, dunque, se gli sceneggiatori della serie di Amazon non tenessero conto di questi elementi nella rappresentazione di Sauron: mi vengono in mente, a questo proposito, le scene del primo incontro fra Johnny Blaze alias Ghost-Rider e Mefistofele, il Diavolo in persona, nel film «Ghost-Rider» del 2007; quest’ultimo, per evitare di spaventare la sua vittima designata, gli appare sotto le sembianze di un anziano distinto signore…solo per un attimo, si intravede che la sua ombra non è quella di un normale essere umano, bensì di una creatura infernale. Ecco, fatte le debite proporzioni (tra l’altro, nel proseguimento del film del Ghost-Rider, la reale identità di Mefistofele viene svelata), mi piacerebbe che nel corso della serie Amazon lo spettatore – soprattutto quello che non ha molta domestichezza con l’universo tolkieniano – potesse avere dubbi sull’identità e sulle reali intenzioni della figura di Annatar, scoprendo progressivamente le sue reali e sinistre intenzioni.

Un anno…auguri!!!

Preso da mille impegni, avevo dimenticato che il 13 marzo di un anno fa prendevo la decisione di aprire questo Blog dedicato al legendarium di Tolkien, in particolare al mito di Numenor e al Ciclo del Marinaio, una serie di racconti, dei quali sono l’autore, ambientati a Numenor e nella Terra di Mezzo durante la parte finale della Seconda Era.
Pur essendo rimasto un blog di nicchia (e non poteva essere diversamente, considerato lo specifico argomento di cui tratta) sono rimasto piacevolmente colpito da una buona partecipazione da parte dei miei lettori, i cui commenti sono stati per me fonte di riflessione, discussione e di grande soddisfazione.
Voglio quindi ringraziare di cuore tutti i miei lettori, in particolare quelli che più frequentemente hanno commentato i miei articoli nel corso di questi dodici mesi: Saurongorthaur, Lettrice, Eowyn, Federico e fanwriten91 (in rigoroso ordine decrescente di interventi).
Dal momento che sono un tipo originale, preferisco rivolgere gli auguri a voi lettori anziché al mio blog: vi auguro, perciò, quanto più possibile («sempre» è una parola che, direbbe Barbalbero, risulterebbe troppo lunga anche per gli Ent) di riuscire ad emozionarvi, appassionarvi, incuriosirvi e, perché no, anche a mettervi in una situazione di disaccordo con quello che scrivo…perché, oggi più che mai, sono convinto che la diversità, l’alterità, rappresentino una grande molla per la crescita umana di ciascuno di noi. Vi chiedo, dunque, di continuare a seguirmi e a commentare i miei articoli: aspetto perciò le vostre osservazioni, i vostri suggerimenti, le vostre critiche e, mi auguro, anche i vostri apprezzamenti.
La notizia data da Amazon nelle scorse settimane riguardo all’ambientazione della prossima serie tolkieniana nella Seconda Era potrebbe comportare benefici influssi sul mio blog. Vedremo. In fondo, sono fiducioso per natura.
Grazie.
Domenico

One last time…

Prendo volentieri a prestito il titolo di una struggente canzone dei Dream Theater, un gruppo progressive-rock, contenuta all’interno dell’album Metropolis Pt. 2: Scenes From a Memory (1999) che, per certi versi, costituisce la colonna sonora di molti miei racconti, per presentarvi un altro estratto dal «Racconto del Marinaio e dell’Albero Bianco», che fa seguito alla narrazione iniziata nell’articolo Ritorno a Rivendell: l’incontro con Celebrian.
Prima o poi tornerò sul rapporto musica-scrittura: per ora mi limito solo a suggerirvi di ascoltare il brano citato mentre leggerete questo articolo. Non intendo svelarvi altri particolari per non rovinare la sorpresa, ma osservando con attenzione l’immagine posta in evidenza dovreste capire di quali personaggi questo brano racconterà…per l’ultima volta!
Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

«Durante la mattina, egli prese congedo dai signori degli Eldar, ed il figlio di Earendil ebbe per lui parole di conforto e speranza: “Ti saluto Erfea, paladino di Numenor! Possono i tuoi passi echeggiare nuovamente per queste aule. Lieti saranno i festeggiamenti, quando farai ritorno alla mia dimora, ché sempre il benvenuto sarai a Imladris. Giovane eri quando ti conobbi e il peso grave di innumerevoli anni è calato sulle tue spalle; saggezza hai appreso e la lungimiranza, dono della tua stirpe, ti accompagna. Allorché impervio ti sembrerà il tuo cammino, allora questo dono ti riporterà alla mente la bella dimora degli elfi nell’Eregion.”

Un grande corno fu mostrato ad Erfea, ed egli con gioia lo strinse nella sua forte mano. Lucido al tatto era e minuscole figure di avorio ne increspavano la solida superficie: vi erano ritratti Vingilot, il vascello di Earendil, che ogni notte solca il cielo di Endor, e la flotta dell’armata dei Valar in viaggio verso il Beleriand.

“Questo cimelio appartiene al tesoro della mia famiglia: Aegnor, un fabbro di Ost-in-Edhil lo scolpì, molti anni addietro, ché il ricordo della battaglia d’Ira non andasse smarrito. Esso reca incise rune di grande potere e molto gli orchi lo temono, ché tale corno fu reciso dal corpo di Ancalangon il Nero, abbattuto da Earendil in singolare tenzone; allorché le sue note riecheggeranno vivide, il timore atterrerà i tuoi nemici e nuova forza fluirà nel tuo animo e in quello dei tuoi compagni.”

Lieto divenne allora il volo di Erfea, sì che pareva avvolto da nuova luce: “Echeggia il corno dei Valar e gli amici accorrono: Auta i lòme! La notte sta per finire! Non era forse questo il grido di battaglia di Fingon, re degli Elfi, quando il mondo era ancora giovane e chiara splendeva la luce di Aman? Possa suonare nuovamente tale olifante ed atterrire gli schiavi di Mordor! Memoria imperitura conserverò di questa ora, ché, sebbene sia destino che i nostri percorsi dovranno nuovamente intersecarsi, molto tempo trascorrerà fino ad allora. Addio signore degli Eldar! Possa la tua grazia proteggere il tuo popolo e mai la tua saggezza venire meno; molto è stato perduto, eppure è un grande onore serbare il ricordo di Imladris e di quanto le sue mura proteggono.”

“Addio, discendente di Ciryatur[1], ammiraglio di Numenor! Possa quel giorno non tardare troppo! Qui io ti attenderò: che la benedizione dei Valar e di colui che è Uno proteggano i tuoi passi!”

Tale fu l’ultimo saluto tra Erfea ed Elrond ed invero trascorsero molti anni prima che i due si incontrassero nuovamente; tuttavia, poiché altrove[2] si narra di codeste storie, qui non se ne serba memoria. Il Dunadan era prossimo ad attraversare il guado del Bruinen[3], allorché gli sovvenne di non aver salutato dama Galadriel, la più antica e possente tra le donne elfiche; ratto tornò sui suoi passi, eppure non giunse mai dinanzi ai cancelli di Imladris, ché una dolce voce lo chiamò a sé: “Non angustiarti, Erfea, e non ritardare oltre la tua partenza; Galadriel ti nomina Amico degli Elfi, ed è questo il suo dono d’addio. A lungo soggiornerò sotto le chiome argentate di Lorien[4], finché il mio tempo non sarà giunto ed io abbandonerò questi lidi mortali; a te, Dunadan, dico che se la speme non dovesse morire del tutto, allora ella ti sarà accanto quando giungerà la fine.”

Profondamente grato, così le disse addio Erfea, figlio di Gilnar: “Signora degli Eldar, il mio cuore mi dice che questo non sarà il nostro ultimo incontro, ché in questi stessi giardini, quando giungerà nuovamente l’ora, discorreremo nuovamente. Addio, fino a quel momento.”

“Dunadan, sovente i sentieri degli Eldar incrociano quelli degli Edain, sebbene questo accada per ragioni che i Noldor non comprendono appieno. Eppure, se è vero che Earendil è erede di entrambe le stirpi, allora è probabile che i nostri destini siano più intrecciati di quanto sembri. Namarie[5], Amico degli Elfi. Elen sìla lùmenn’omentielvo. Una stella brilla sull’ora del nostro incontro.”

Preso commiato da dama Galadriel, Erfea attraversò rapidamente il guado di Bruinen, dirigendosi verso Brea nell’Eredior, ridente cittadina posta all’incrocio di due grandi strade numenoreane; celere fu il suo viaggio, ché egli era nel pieno delle sue forze e forte era divenuta nel suo cuore la nostalgia di Numenor. Numerose leghe egli percorse, finché non ebbe raggiunto la contrada di Forlindon, ove regnava Erenion, figlio di Fingon, che il suo popolo chiamava Gil-Galad: ivi si recavano i Caliquendi[6], per oltrepassare i confini del mondo mortale e giungere in tal modo a Tol-Eressea, creata dagli dei per quanti, tra coloro che abbandonarono Aman, fossero stati colpiti dalla Prima Profezia di Mandos[7], ma desiderassero altresì abbandonare le terre mortali.

Mithlond, i Porti Grigi, era la capitale del regno di Gil-Galad, l’ultimo Alto Re elfico ad oriente del Belagaer; tuttavia egli viveva nelle aule a nord del golfo di Lhun, mentre il suo capitano Cirdan il Sindar era signore delle navi e dei porti: anziano, eppure vigoroso, egli era saggio tra gli elfi e temuto da Sauron, ché secoli prima egli era stato respinto dal Lindon. In tale terra di splendore non ancora offuscato, simile ad un giardino nel mese di maggio, giunse Erfea Morluin e tre settimane erano trascorse da quando aveva dato addio alla dimora di Elrond di Imladris: lieti lo accolsero gli elfi ed egli non ne fu stupito, ché ben sapeva quanto i Dunedan fossero amati nel regno di Gil-Galad.

Numerosi porti i Numenoreani avevano edificato fin dal loro arrivo nella Terra di Mezzo, tuttavia Erfea non osava avvicinarsi ai loro minacciosi bastioni, ché tutti, ad eccezione di Pelargir nel Sud, erano caduti nelle corrotte mani dei servi di Ar-Pharazon, uomini avidi di scienza malefica e adoratori di Sauron e di Morgoth: costoro avevano l’ordine di trucidare il principe dell’Hyarrostar, qualora fosse ritornato in un dominio di Numenor, per portarne le spoglie al sovrano Ar-Pharazon, avversario di Erfea fin dai tempi in cui Tar-Palantir impugnava lo scettro.

Ai servi di Sauron, tuttavia, era negato l’accesso al regno di Gil-Galad, ed Erfea fu grato a Cirdan allorché questi gli donò un piccolo vascello ad un solo albero.

“Galadriel mi ha annunziato che questo oggi un Dunadan sarebbe giunto da me per imbarcarsi diretto a Numenor, ché una grande missione l’attende in tale contrada. Di rado i Sindar concedono le loro navi agli stranieri, ma io non ho obliato quanto facesti per la mia gente molti anni fa; concedimi dunque di annullare il debito che ho contratto presso di te.”

Rapido Erfea gli si inchinò, infine rispose: “Nessun debito hai mai avuto presso di me, ché le genti libere devono contrastare i servi del Vala caduto ovunque essi si annidino; in codesta occasione agii seguendo il mio credo, ed esso non è oggi mutato. A te, Cirdan, dico che questa sarà la mia ultima navigazione verso ponente, ché nuove frontiere si apriranno e il vecchio mondo cadrà: possano gli Ainur essere clementi, quando sarà giunta l’ora.”

Erano ormai calate le tenebre, quando Erfea veleggiò, la prua rivolta verso occidente; monotono fu il suo viaggio ed egli non scorse alcuna nave numenoreana, circostanza, questa, che lo sorprese non poco: una crescente inquietudine soffocava il suo petto, ché non v’era nulla per miglia e miglia.

Calmo era il mare e l’acqua opaca, sì che il creato sembrava attendere un evento terribile e mortale. Quindici giorni erano trascorsi da quando Erfea aveva abbandonato le coste di Endor, allorché la fitta nebbia che aleggiava il suo capo si dipanò, mostrando Numenor in tutto il suo splendore: colmo di gioia fu il cuore del Dunadan, ed egli levò una preghiera di ringraziamento a Manwe per aver diretto i venti nella direzione a lui favorevole. Tosto, però, la sua gioia si mutò in stupore e poi in sgomento, ché gli apparve, imponente e minacciosa, l’intera flotta numenoreana. Nel porto di Romenna[8], ove il figlio di Gilnar si accingeva a sbarcare, erano ormeggiate le navi che da lungi depredavano e saccheggiavano la Terra di Mezzo, cancellando ovunque la memoria di quanto i Numenoreani avevano compiuto per saggezza e non già spinti da odio e rancore. Imponenti, come torri lignee e d’acciaio, parvero i vascelli di Ar-Pharazon ad Erfea, ché pure aveva appreso la superba maestria degli uomini del mare nel fabbricare grandi imbarcazioni; sgomento parve il figlio di Gilnar, ché non comprendeva per quale motivo l’intera flotta del re giacesse in un unico luogo; tuttavia, allorché comprese, ritto sul suo vascello elfico, egli non poté che reclinare il capo e versare lacrime amare. A lungo pianse Erfea Morluin, ché manifesta gli era divenuta la follia degli uomini della sua patria e più non avrebbe potuto ignorarla; arrogante e vanitosa, Numenor si specchiava nella sua flotta, emblema della sua volontà di dominio sul creato. Come il contadino che mostra orgoglioso il suo campo ben curato, ignorando il deserto che si estende alle su spalle, così Elenna rendeva gloria a sé stessa e ai suoi figli, nutrendosi avida della propria potenza.

Triste spettacolo fu quello, eppure non fu il peggiore tra quanti Erfea ebbe modo di osservare nell’isola: silenzio non si udiva più, finanche negli antichi luoghi di culto, ma canti e urla echeggiavano ovunque; eppure non erano suoni gioiosi, ma risa crudeli, rese ancor più fragorose dall’inquietante silenzio che pareva aleggiare al di là dell’isola stessa. Numerosi uomini giravano pesantemente armati, come se una grande guerra fosse imminente; pallidi erano i loro visi e parola non proferivano, ché essi erano schiavi e non più uomini liberi: Erfea ne fu stupito, ché fin dagli albori del regno mai si erano vedute scene simili; eppure anche questa era opera di Sauron l’Aborrito, ché egli aveva ormai corrotto i cuori dei Numenoreani e molti tra loro avevano preso ad adorare Morgoth e i suoi oscuri poteri. Le menti degli uomini tosto si erano volte al male, sicché Numenor si ergeva come una novella Mordor e il Signore Oscuro ne era divenuto l’infido padrone. Ignote erano ad Erfea simili vicende, sebbene egli avesse appreso a Pelargir[9] racconti sulla spedizione di Ar-Pharazon nella Terra di Mezzo per umiliare Sauron, il quale era infine giunto a Numenor prigioniero; né il capitano dei Dunedan era a conoscenza di quanto in seguito era accaduto, ché Sauron da vassallo era divenuto consigliere, riducendo il sovrano ad un fantasma da pervertire secondo la sua oscura volontà: Ar-Pharazon aveva accettato senza esitazione alcuna, ché il Maia caduto sovente gli aveva ripetuto i grandi uomini prendono con la forza quanto desiderano.

A lungo vagò Erfea, occultato alla sguardo vigile dei servi del re, ma non già a quelli di Sauron, ché questi sapeva il suo avversario essere sull’isola; allora grande divenne la sua ira e chiamò a sé i suoi schiavi più potenti, gli Ulairi[10]: rapidi, gli spettri dell’Anello, si mossero alla ricerca del Dunadan, ché il suo nome era loro noto ed essi a lungo avevano covato odio contro di lui nei loro cuori; infine Khamul l’Esterling[11], il secondo dei Nazgul, ne avvertì la presenza e rapido corse da Sauron per comunicargli quanto aveva visto. Lieto divenne allora il signore di Mordor, ché il suo nemico gli si presentava inerme alla sua mercé, straniero nella sua terra natia; tuttavia, nel medesimo istante in cui il Nazgul aveva scorto Erfea tra la folla, a sua volta il figlio di Gilnar era divenuto conscio della sua presenza: manifeste gli apparvero allora le sue intenzioni, ché egli molto aveva appreso sugli Ulairi, sin da quando si era infiltrato nella loro grande fortezza nell’Estremo Harad, scoprendone nomi ed identità. Consapevole di essere stato individuato, Erfea comprese quale malvagità avesse allungato il suo bieco artiglio su Numenor, ché non aveva obliato quanto odio provasse Sauron nei confronti dei Numenoreani, fin dai lontani giorni dell’assedio ad Eregion e della successiva sconfitta che le sue armate avevano ricevuto per mano delle armate di Elenna.

Rapido divenne allora il passo del ramingo, ed egli si diresse verso Armenelos, ché ivi si trovava il luogo ove avrebbe dovuto compiere la sua missione; sul suo cuore gravava fitta la tenebra di Numenor e Sauron gli opponeva la sua forte volontà, desideroso come era di fiaccarne le forze, ché cadesse nella trappola da lui sapientemente tesa: nota gli era la missione di Erfea, ché grande era il suo potere in quell’ora oscura e solo alcuni fra i signori degli Eldar sarebbero stati in grado di occultare la propria mente dinanzi allo sguardo del più possente tra i servi di Morgoth.

Giunto innanzi al santuario del Menalterma[12], Erfea comprese che un grande potere era all’opera, lo stesso che adesso gli negava l’accesso alla sala dell’Albero Bianco; allora il Morluin suonò nel corno di Earendil e le sue paure svanirono, calpestate da note squillanti. A lungo echeggiò il corno, ed il suo suono fu udito in molte contrade di Numenor: nuove speranze suscitò nei cuori dei Fedeli, ché essi compresero come la Tenebra fosse di passaggio e non dominasse incontrastata, mentre i servi di Sauron chinarono il capo dubbiosi. A più riprese il corno di Erfea squillò nella notte; molte luci si accesero nelle case e la gente uscì per strada, mentre voci si levavo confuse; allora crollò la volontà di Sauron, ché non aveva obliato l’umiliazione inflittagli dai Valar nella Guerra d’Ira ed ecco il corno ricavato dal dragone Ancalangon il Nero spaccava le catene forgiate dalle sue turpi mani; convocati a sé i suoi servi egli abbandonò il luogo sacro ove si annidava, consentendo ad Erfea di entrarvi.

Molti fra gli abitanti di Numenor si destarono quella notte, ché sogni di ogni sorta disturbarono i loro sonni: mai visione fu però sì curiosa come quella che scosse il riposo di Ar-Zimraphel, sovrana dell’isola. Ella sognò di essere nel Luogo del Silenzio, ove mancava da molti anni, eppure non era questo che la sorprese, quanto la presenza di un uomo, il cui nome aveva obliato, accanto a sé: alto si ergeva vicino al santuario, e pur non pronunciando parola alcuna, le parve che la chiamasse a sé innumerevoli volte, prima che giungesse l’alba. Turbata si levò Ar-Zimraphel, ché non capiva quale significato avesse il sogno; infine stanca di attendere ancora, si recò nei pressi del Menalterma, soppesando lentamente ogni passo su un sentiero che ben pochi ormai osavano percorrere. Giunta sulla sommità del monte, si accorse con meraviglia di essere stata preceduta, ché un uomo aveva preso posto su uno degli alti scranni in pietra che il tempo impietoso aveva ormai corroso; sedutagli al fianco, la donna meditò in silenzio per alcuni istanti, infine ormai certa dell’identità dell’uomo, pronunziò lentamente queste parole: “Mai avrei creduto di rivederti in questo luogo, lo stesso che vide il nostro ultimo incontro. Il tempo ha forse offuscato i miei occhi, tuttavia non ho obliato né il tuo nome né il tuo aspetto.”

“Chi può dire perché tutto questo accada?” replicò l’uomo. “A lungo ho vagato, in regioni disabitate e pericolose, ove mai parola viene sussurrata, eppure nessuna contrada è ora ricolma dell’oscuro fetore di Sauron quanto Numenor. Non ti nascondo, figlia di Tar-Palantir, che il mio cuore ora sanguina; poca speranza nutro nella guarigione di questa terra e ancor meno della sua gente.”

“Mio signore – rispose Ar-Zimraphel – questa notte ho udito un corno chiamarmi a lungo, prima che il sole sorgesse: adesso riconosco in te l’uomo che l’impugnava con forza e disperazione.”

“Disperazione? – le fece eco il ramingo – Disperazione, regina di Numenor? Quale azione condotta in tempi oscuri non condurrebbe alla follia? Se il mio animo non dispera, è perché i miei occhi hanno veduto la luce di Aman e ad essa vogliono far ritorno.” Così grande parve l’ira di Erfea, che Ar-Zimraphel dovette chinare lo sguardo, profondamente turbata; tosto tuttavia la voce dell’uomo parve venire meno e la sua luce oscurarsi, ché rapido il suo risentimento decresceva. Silenzio seguì, mentre la regina e lo straniero evitavano l’uno lo sguardo dell’altra; infine non potendo tollerare ulteriormente quanto accadeva, egli prese nuovamente la parola: “Se ti ho recato offesa, domando scusa, ché non era mia intenzione rattristare il tuo animo già provato dall’oscurità di questi giorni.” Sospirò per alcuni istanti, infine le parlò ancora: “Non mi domandi per quale ragione Erfea Morluin sia ritornato nella sua patria, conscio del bando che grava sul suo capo?”

Sorrise Ar-Zimraphel, allorché gli rispose: “Invero, voci mi sono giunte da Endor, dai bianchi porti degli Eldar; quanto la mia mente ha a lungo ignorato, non lo può il mio cuore, ché la verità esso ha appreso.” Rise, ma il suono che echeggiò per la vallata contrastava palesemente con l’espressione che le si era dipinta sul volto: “Non temere, Erfea Morluin! Non provo alcuna rabbia. Se tale è la tua scelta, possa condurti ad un felice avvenire.” Infine si fece seria, e più non sorrise: “Cosa cerchi figlio di Gilnar? Numenor non è più la tua patria, dunque allontanati in fretta dalle sue coste; qualora tu non seguissi il mio avvertimento, ecco che Ar-Pharazon porrebbe fine alla tua esistenza. Va dunque, e che la fortuna non ti volti le spalle, lasciandoti cieco ed inerme.”

Tali furono le parole che adoperò Ar-Zimraphel, sovrana di Numenor, ed ella si apprestava ad abbandonare la recondita valle, allorché Erfea la chiamo dolcemente: “Non ho obliato il tuo nome, Miriel figlia di Palantir, né il tuo grazioso sembiante. Se incauti sono stati i miei passi in questi giorni, tuttavia essi mi hanno condotto ove il mio cuore desiderava giungere.” Immobile, Miriel ascoltò la voce del paladino, infine si voltò e per un attimo ad Erfea parve che l’antica luce brillasse nuovamente nei suoi occhi: “Molto tempo è trascorso da quando le mie orecchie ascoltavano sussurrare questo nome nelle dolci veglie dell’Estate, ché esso è morto anni fa. Tuttavia se Erfea Morluin l’ha pronunciato, un preciso movente l’ha spinto a fare ciò.”

Annuì triste il figlio di Gilnar: “Letale è il veleno che l’Avversario ha sparso in quelli che una volta erano verdi prati e sorgenti cristalline, ed essi ora marciscono, avvizziti ed infettati; tuttavia, con rabbia percepisco quanto dolore alberghi nel tuo cuore, regina di Numenor.”

Rise allora Miriel, e mai suono fu più grottesco e orribile ad udirsi: “Regina? Su cosa eserciterei il mio dominio, Erfea? La dignità, l’onore, l’amore, tutto quanto avevo di prezioso mi è stato sottratto con l’inganno; persino il più povero tra i pescatori della costa gode di miglior fortuna. Una volta mi dicesti che la buona vigna offre un vino senza pari, eppure essa è stata deturpata molti anni fa! Lacrime di sangue e non nettare dolce sprizzano dalle sue ferite! Regina? Direi piuttosto prigioniera delle medesime debolezze che allora frenarono la mia volontà ed oggi mi impediscono di commettere atti di valore.”

Pallido divenne il volto di Erfea, ché aveva compreso a cosa alludesse: “Non confondere coraggio con viltà, mia signora! Forse vi è ancora speranza, finché gli Ainur reggono le sorti del nostro mondo.”

Avvampò d’ira Miriel e grave squillò la sua voce: “Ciechi sono i tuoi occhi e sterile la tua fede! Chi impugna adesso corona e scettro? Non è forse Ar-Pharazon, che la mia debole mano fermò dall’ottenere giusta condanna? Non vi è più speranza alla quale possa aggrapparmi, come naufrago nel fortunale.” Silenzio regnò per alcuni istanti, infine Erfea levatosi e presale dolcemente la mano, così la confortò: “Mente angosciata può partorire incubi aberranti; nulla però ti obbliga a prendervi parte. Qualunque sia il tuo parere su questa faccenda, Miriel, resti ancora una donna e non già una schiava.”

Gravi erano state le parole di Erfea Morluin, ed egli si attendeva dura replica; grande fu il suo stupore, tuttavia, allorché la signora di Numenor gli si accostò, sussurrando tristi parole: “Da lungi la mia mente vacilla, sebbene lontano da me sia l’acredine verso i Valar che ossessiona mio marito; non è a te che imputo la responsabilità per quanto è accaduto, ché un altro cammino avrei potuto percorrere se non avessi dubitato delle tue parole. Sebbene la mia speme nei Valar sia smarrita, tuttavia non è nella mia volontà contrastare l’azione di quanti ancora scorgono i loro disegni; essi sono però alquanto oscuri e la mia vista è offuscata, ché gravi nubi si addensano.”

Altro non disse Miriel e, abbandonato il Luogo Del Silenzio, discese lungo il sentiero che conduceva ad Armenelos, sede dei re; più Erfea Morluin la vide, ché i tempi erano ormai mutati e l’erba avvizziva sotto i suoi piedi: turbato la guardò allontanarsi, figura silenziosa sotto il sole nascente, i suoi biondi capelli svanire come bruma al mattino. “Namarie” le sussurrò Erfea, incurante di non essere udito e infine si mosse, ché l’ora era tarda e il suo compito lungi dal concludersi».

Note

[1] Ammiraglio di Numenor e signore dell’Hyarrostar, sconfisse nell’anno 1700 della Seconda Era le armate di Sauron al termine della guerra che seguì la forgiatura dell’Unico.

[2] Si veda “Il racconto del marinaio e del Re Stregone”.

[3] Tale corso d’acqua segnava il confine tra le terre di Elrond e le distese desertiche dell’Eriador.

[4] Contrada boscosa posta alla confluenza dei fiumi Celebrant e Anduin, governata durante la seconda era dall’elfo Sindar Amdìr: dopo la sua morte nella battaglia della Dagorlad, il reame fu governato dal figlio, Amroth, il quale tuttavia disparve in mare; essendo venuta a conoscenza di tale avvenimento, Galadriel e suo marito Celeborn fecero ritorno a Lorien, ove gli elfi accettarono di buon grado la loro potestà.

[5] “Addio” nella favella dei Noldor.

[6] Gli Eldar che avevano visto la luce dei Due Alberi ed i loro discendenti nati nella Terra di Mezzo.

[7] Mandos, Vala e Signore del Destino profetizzò che nessuno degli Eldar che avevano seguito Feanor, avrebbe fatto ritorno ad Aman; tali parole non furono mai obliate dagli Eldar in esilio ed essi erano soliti narrare della loro triste sorte riferendosi alla “Prima profezia di Mandos”. La Seconda profezia di Mandos concerne la fine del mondo e il fato ultimo dei figli di Eru, tuttavia essa non è mai stata divulgata apertamente e ben pochi, perfino tra i Signori degli Eldar, ve ne fanno cenno.

[8] Porto orientale di Numenor, situato presso la città di Armenelos.

[9] Città fondata nella tarda Seconda Era dai Numenoreani fedeli all’alleanza con gli elfi e i Valar alla foce del fiume Anduin.

[10] I Fantasmi dell’Anello, noti nella favella di Mordor come Nazgul.

[11] Tale termine indica coloro che tra i Secondogeniti si stabilirono ad est del Rhovanion: in senso improprio è talora adoperato per indicare quanti fra i servi umani di Morgoth scamparono all’ira dei Valar nella battaglia che rovesciò Thangodrim e fuggirono nelle regioni Orientali della Terra di Mezzo, ove preservarono il loro odio verso gli Eldar e gli Edain.

[12] Monte di origine vulcanica, sulla cui sommità era stato eretto un tempio dedicato a Manwe Sùlimo.

Cronologia della vita di Erfea e dei racconti del Ciclo del Marinaio

Come mi ha fatto giustamente notare uno dei miei lettori, non è semplice orientarsi all’intervento delle molteplici avventure vissute da Erfea e dagli altri protagonisti del «Ciclo del Marinaio» senza avere la possibilità di consultare una chiara e approfondita cronologia degli eventi principali della sua lunga vita e, più in generale, della tarda parte finale della Seconda Era, epoca nella quale sono ambientate le vicissitudini del principe di Numenor.
Pur disponendo della stesura di una cronologia già da diverso tempo, fino ad oggi ho nutrito delle riserve intorno a una sua pubblicazione, perché, inevitabilmente, essa avrebbe comportato l’anticipazione di qualche evento al quale, fino a questo momento, non avevo ancora fatto cenno: arrivati a questo punto, tuttavia, alla luce di una maggiore articolazione delle avventure di Erfea presente attualmente all’interno del mio blog, sento l’esigenza di non dover ulteriormente procrastinare la pubblicazione di uno strumento che spero possa rivelarsi utile per orientarsi all’interno degli eventi principali che si succedettero nel corso della Seconda Era e poter così apprezzare ulteriormente le vicende del paladino di Numenor e degli altri personaggi dei miei racconti. Invito vivamente i miei lettori a utilizzare le cronologie presentate nel Silmarillion e nel Signore degli Anelli per poter ricavare ulteriori informazioni sugli eventi della Seconda Era. Un’utile lettura, infine, può rivelarsi anche quella delle biografie dei sovrani numenoreani, contenute nel volume «Racconti incompiuti», anche questo scritto da Tolkien. Vi ricordo che potrete trovare le informazioni essenziali sui personaggi de «Il Ciclo del Marinaio» anche nel Dizionario dei personaggi de «Il Ciclo del Marinaio».
Buona lettura, aspetto le vostre osservazioni!

IL CALCOLO DEGLI ANNI DELLA SECONDA E DELLA TERZA ERA DALLA NASCITA ALLA MORTE DI ERFEA

3112 Seconda Era (poi abbreviata in S.E.): Erfea, figlio di Gilnar principe dell’Hyarrostar e di Nimrilien, del lignaggio di Andunie, nasce a Minas Laure.

3117 S. E.: Miriel, figlia di Palantir, principe ereditario al trono di Numenor e di Silwen sua sposa, nasce ad Armenelos.

3132 S. E.: Erfea incontra per la prima volta Miriel, principessa di Numenor.

3136 S.E.: Erfea affronta il drago Morluin e diviene noto alle stirpi della Terra di Mezzo come Erfea Morluin.

3140 S. E.: Erfea parla con Sauron nel Palantir; morte di Silwen, moglie di Palantir.

3144-46 S. E.: Erfea compie il primo viaggio nella Terra di Mezzo, ove instaura rapporti di amicizia con i Signori degli Eldar e conosce Tom Bombadil e sua moglie dama Baccador. Prima di far ritorno a Numenor, Erfea riceve dalle mani di Gil-Galad la spada Sulring, forgiata dai fabbri elfici di Gondolin nei giorni precedenti alla sua caduta.

3146 S. E.: Erfea ritorna a Numenor, ove viene nominato cavaliere. Nello stesso anno il principe Arthol, supportato da una fazione di Numenoreani ribelli, attenta alla vita di Palantir e della figlia Miriel: la congiura viene scoperta anche grazie alle rivelazioni di Erfea, e i congiurati sono condannati a morte dal principe Akhorahil perché non rivelino le identità dei reali mandanti del tentato omicidio e del colpo di Stato che ne avrebbe fatto seguito.

3146-3253 S. E.: Erfea torna nella Terra di Mezzo, ove serve Gil-Galad, l’ultimo degli Alti Re elfici ad est del Mare; si reca nel Rhovanion, ove conosce Imracar Folcwine, signore degli Eothraim.

3168 S. E.: A Khazad-Dum nasce Groin, figlio di Bòr, signore del popolo di Durin.

3170 S.E.: Erfea si avventura fino all’estremo Harad, ove entra nella grande fortezza dei Nazgul, scoprendone le reali identità.

3183 S. E.: A Edhellond nasce Ewen la Mezzelfa, figlia di un marinaio numenoreano e di una Noldo.

3254 S. E.: Erfea ritorna a Numenor, ove succede al padre, ormai anziano, nella carica di consigliere del sovrano Tar-Palantir.

3255 S. E.: Scoppia la seconda guerra civile a Numenor: battaglia di Tharbad, ove Erfea infligge una dura sconfitta al Capitano della fazione fedele a Pharazon l’usurpatore. Al termine dell’anno, Ar-Pharazon diviene il venticinquesimo sovrano di Elenna e prende in sposa sua cugina Miriel, contro la sua volontà e le leggi del regno.

3256 S. E.: Morte di Gilnar e Nimrilien: Erfea diviene l’ultimo dei signori dell’Hyarrostar.

3260 S. E.: L’infame giuramento: tutti capitani di Numenor, eccetto ventuno, tra cui Erfea ed Amandil, giurano lealtà ad Ar-Pharazon.

3261 S. E.: Erfea fa naufragio alle foci dell’Anduin e giunge alla città di Edhellond, ove conosce Elwen la mezzelfa: nello stesso anno Ar-Pharazon sbarca ad Umbar per sottomettere Sauron.

3270 S. E.: Erfea abbandona Edhellond; il principe di Numenor ritorna ad Imladris, ove conosce Celebrian e ritrova Elrond e Galadriel. Nello stesso anno giunge a Numenor, ove incontra per l’ultima volta Miriel; fuggito ai Nazgul, Erfea si stabilisce ad Osgiliath.

3277 S. E.: Erfea sconfigge il Capitano Nero a Edhellond e si riappacifica con Elwen.

32783320 S. E.: Erfea viaggia per tutta la Terra di Mezzo, giungendo fino all’estremo Nord, al Forochel, e ad Umbar, ove scopre che il reale padrone del porto è divenuto Sauron, che esercita il suo potere attraverso il Nazgul Adunaphel.

3320 S. E.: Con la caduta di Numenor (3319 S.E.), si costituiscono i regni in esilio di Arnor e Gondor: Erfea è nominato sovrintendente del re Anarion ad Osgiliath.

3429 S. E.: Le armate di Adunaphel attaccano Minas Ithil che viene in seguito conquistata, mentre la popolazione civile trova rifugio a Osgiliath: Erfea e Anarion difendono la città. Nello stesso anno si tiene il Consiglio di Orthanc che pone le premesse per la nascita di un’alleanza fra Elfi, Uomini e Nani allo scopo di contrastare l’ascesa di Sauron (Ultima Alleanza).

3433 S. E.: La battaglia della Dagorlad, cui Erfea partecipa; morte di Bòr (Naug Thalion)

3441 S. E.: Isildur si impadronisce dell’Anello Sovrano e Sauron fugge all’est.

2 Terza Era: disastro ai campi Iridati: Isildur e la sua gente vengono massacrati.

8 Terza Era: Erfea muore ad Osgiliath, dopo aver rivisto per l’ultima volta i suoi amici Elrond e Celebrian, ai quali consegna le sue memorie.

Ordine di lettura dei racconti del Ciclo del Marinaio

Mi sono reso conto che anche un’indicazione in merito all’ordine di lettura dei racconti del Ciclo del Marinaio può essere di grande utilità per i lettori.

Di seguito, dunque, troverete l’elenco dei racconti così come andrebbero letti in senso cronologico (e non secondo l’ordine in cui sono stati scritti). Il mio suggerimento, dunque, è quello di leggere i vari racconti, partendo dal menù a tendina presente nella parte destra del blog e scegliendo l’ordine di successione qui di seguito presentato.

Se vi saranno delle integrazioni, sarà mia premura modificare questa pagina.

Buona lettura!

Racconti:

1) Il Marinaio e il Messere di Endore;
2) Il Marinaio e il Drago;
3) Il Marinaio e le Palantiri;
4) Il Marinaio e la Principessa;
5) L’Ombra e la Spada;
6) Il Marinaio e l’infame Giuramento;
7) Il Marinaio e la Mezzelfa;
8) Il Marinaio e l’Albero Bianco;
9) La Rosa e l’Arpa;
10) Il Marinaio e il Nanosterro;
11) Il Marinaio e il Re Stregone;
12) Il Concilio di Orthanc;
13) Il Marinaio e la Grande Battaglia.

Appendici:
1) Cronologia della biografia di Erfea;
2) Gli anni del grande assedio a Gondor;
3) Le storie dei Nazgul;
4) Le stirpi dei Nani;
5) Le armate di Mordor.

 

Ritorno a Rivendell: l’incontro con Celebrian

Abbiamo lasciato Erfea deluso ed amareggiato per non essere riuscito a ricongiungersi con Elwen alla fine del racconto narrato in Il nemico del mio nemico…è mio nemico. Dopo lungo peregrinare, Erfea prende la decisione di far ritorno alla casa di Elrond, a Imladris; è stato già ospite del più sapiente mezzelfo della Terra di Mezzo quando, da ragazzo, prese la decisione di far rotta verso le sponde del Lindon, per conoscere meglio gli efi e la loro cultura. Nella bella valle di Gran Burrone Erfea è alla ricerca di un consiglio che possa mettere pace nel suo animo tormentato…e lo troverà stringendo amicizia con uno dei personaggi meno noti del Signore degli Anelli: Celebrian, moglie di Elrond e madre dei gemelli Elladan ed Elrohir e di dama Arwen.

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

«Tenebrosi divennero i giorni di Numenor, l’isola del dono, al termine della Seconda Era della Terra di Mezzo, ché sedeva sul trono marmoreo Ar-Pharazon il Dorato, mentre i Fedeli fuggivano da Andunie, timorosi della follia e della crudeltà del sovrano.

Anni amari erano trascorsi, tra cupi silenzi e dolorosi rimpianti, ché gli uomini di Endor stentavano ad opporre resistenza agli eserciti che gli Ulairi, gli schiavi dell’Anello, comandavano in battaglia. Molte genti fuggivano ad occidente, ché ivi correva voce si compiessero splendide geste per opera di coloro che si opponevano al nero nemico di Mordor, ora sbaragliandone le sue schiere in battaglia, ora sventandone le subdole azioni che costui perpetuava a danno dei Popoli Liberi.

Negli Ered-Luin, aveva dimora Gil-Galad, l’ultimo degli Alti re elfici ad est del Grande Mare: saggio e lungimirante era il suo pensiero e molte genti lo temevano e lo onoravano, ed egli era il massimo avversario di Sauron di Mordor; finanche il Re-Stregone avrebbe avuto tema di affrontare il figlio di Fingon, ché numerosi erano i suoi poteri e forte il suo spirito, temprato dalle innumerevoli avversità che egli aveva affrontato e vinto nel corso della sua lunga esistenza. Numerosi uomini d’arme si riunirono sotto il suo vessillo, ed il suo regno non conobbe mai le pene dell’occupazione e la schiavitù per mano degli schiavi dell’Oscuro Signore.

L’araldo di Gil-Galad era Elrond il Pheredil[1], figlio di Earendil, il custode del Silmaril e sentinella dei cieli di Endor: grande era la sua saggezza e bello il portamento, ché in lui brillava la luce della stirpe materna, giunta da Valinor in epoche remote di cui pochi adesso si rammentano, ché l’antica stirpe è svanita quasi del tutto e i litorali più non echeggiano del lamentoso canto del gabbiano.

Nei giorni in cui si svolse tale storia, Elrond dimorava nel Rivendell; ivi aveva edificato un palazzo, chiamato Imladris nella lingua elfica, bastione a guardia degli orrori di Mordor: numerosi Eldar erano all’opera in quella valle, nascosti alla nequizia di Sauron e dei suoi schiavi, ed essi sovente accorrevano in aiuto di coloro che sfuggivano la morte o la schiavitù, fossero questi consanguinei o di altre stirpi.

In breve tempo, il nome e la sapienza di Elrond si diffusero in tutta Endor, destando, ovunque gli insegnamenti dei Valar non fossero stati obliati letizia e speranza; eppure il potere del nemico era invero possente e lungo il suo braccio, ché molte vite furono spezzate in quei giorni ormai obliati e il destino del mondo si apprestava a mutare nuovamente, nel lento declino di un’era ormai giunta al termine. Fu in quegli anni che Imladris divenne un rifugio per coloro che fuggivano l’Ombra dell’Est, ed Elrond applicò la sua arte di guarigione innumerevoli volte, ché i veleni diffusi da Sauron avvizzivano il fragile cuore degli uomini, così come la neve in Sùlimo[2] soffoca i virgulti benedetti da Yavanna[3]; tuttavia, mai il Pheredil disperò, in preda a confusione e timore, ché la sua mente non era stata deturpata dalla favella del Nemico e la sua arte lo preservò dalle fatiche e dagli affanni, finché la sua opera non fu compiuta ed egli abbandonò le sponde mortali per recarsi al di là del mare, sancendo in tal modo l’inizio dell’era del dominio degli uomini.

Nell’epoca precedente, tuttavia, forti brillavano i raggi del sole e della luna e negli Eldar l’amore per Endor non era ancora svanito: grandi opere essi compivano ed i Dunedain di Numenor in quei giorni tristi furono sempre al loro fianco. Grande fama aveva tra essi Erfea Morluin, della casata degli Hyarrostar, ed il suo nome era noto sia al Nemico, sia a quanti lo contrastavano. Un durevole legame d’amicizia aveva stretto Elrond con questi, fin da quando Erfea era stato condotto nella Terra di Mezzo dal padre Gilnar, affinché conoscesse ed amasse i Priminati; tosto il giovane Dunadan era stato affascinato dalle arti degli Eldar, ed Elrond aveva compreso quale sarebbe stato l’avvenire di Erfea, ché questi avrebbe acquisito grande fama presso i Popoli Liberi, qualora Sauron si fosse levato nuovamente. Numerose giornate il signore di Gran Burrone trascorse con il giovane Numenoreano, e molto apprese costui delle possenti arti e della scienza degli elfi, sicché in breve tempo si dimostrò esperto di tradizione.

Numerosi anni erano trascorsi dal loro ultimo incontro, tuttavia Elrond presagiva che il capitano di Numenor sarebbe nuovamente giunto alla propria soglia, ché nel mondo la Tenebra si infittiva e dolore e tormento laceravano l’animo di Erfea Morluin; accadde dunque che una notte di Viresse[4], un uomo stanco chiamasse al cancello il sire di Imladris, domandando ospitalità per la notte.

“Mio signore – tali furono le parole che il ramingo pronunziò dinanzi al figlio di Earendil – concedimi di trascorrere qualche ora di riposo nella tua sala, ché il mio corpo vacilla e sulle mie spalle grave pesa la stanchezza.”

“Viandante proveniente da remote regioni, deponi il tuo fardello nella mia dimora, ché l’oscurità rapida cala, e i sentieri si smarriscono nella bruna menzognera. Può un uomo o un elfo percorrere il suo cammino in simili condizioni?”

“Chiedo perdono, grazioso signore, eppure sovente la mente è infida quanto la nebbia vespertina. Pesante è il mio cuore, ché domande attendono risposte smarrite molto tempo addietro.”

“Non turbarti, Ramingo! Lieto sia il tuo cuore, ché questa notte nulla lo turberà. Dormi, e che sia il tuo un sonno benedetto da Elbereth.”.

Inchinatosi profondamente, il viandante fu condotto nella sua dimora, ove tosto cadde preda di un sonno profondo.

La mattina seguente, destatosi al primo sorgere del sole, quando la rosea alba indora le cime lontane di freddi colori, l’uomo si recò nel grande parco che circondava la sala ove aveva trascorso la notte: ivi, egli udì parole frammiste a risa; inquieto, si incamminò allora lungo il sentiero, lasciandosi guidare dall’eco, che ora distinto, ora remoto, gli giungeva.

Il ramingo attraversò graziosi ponti sospesi tra le cristalline e ridenti acque di ignoti torrenti, costeggiò alte siepi e ammirò statue imponenti i cui artisti dimorano ora nelle lontane Terre Imperiture; giunto infine nei pressi di un laghetto egli arrestò i propri passi ché il sole era ormai sorto per reclamare il suo dominio sulla terra mentre le cerulee acque erano increspate da una brezza marina recante con sé la dolce essenza della lontana Elenna. Commosso, il viandante lasciò scivolare via la sua profonda cappa, rivelando una capigliatura corvina e un viso logorato dalla rabbia e dal dolore, figli di quei tempi ormai obliati: a lungo ispirò profondamente, quasi volesse assaporare l’Oceano che, lungi da Imladris, lo invocava alla sua dimora.

“Cosa cercate mortale? Mai vi avevo veduto prima d’ora in tale luogo.” Ratto si voltò Erfea, ed il suo sorriso si deformò in una smorfia incredula, ché davanti a sé aveva una dama elfica avvolta in uno scuro manto, nel cui volto, occultato da un pesante velo, sfavillanti occhi adamantini lo osservavano severi, eppure curiosi. A lungo il ramingo ne sostenne lo sguardo, infine turbato le rivolse la parola: “Credevo di aver ascoltato parole frammiste a canti, ma la mia mente vacilla, ché invero mi era parso di ascoltare il dolce canto di una dama a voi affine.”

“Offuscata è forse la vostra vista, tuttavia, le vostre parole hanno destato in me grande curiosità. Il sole è sorto da poco, e immagino che voi non abbiate ancora desinato. Suvvia! Concedete a Celebrian di Imladris, figlia di sire Celeborn e dama Galadriel, di porre ammenda all’offesa che vi ho recato poc’anzi.” Rise allora e parve che l’intera vallata echeggiasse della letizia che tale suono esprimeva. Tosto lo straniero le si inginocchiò e presale dolcemente la mano la baciò, pronunciando tali parole: “Sono io, mia cortese dama, a domandarvi perdono, ché da lungo tempo conosco i signori degli Eldar, e benedetti sono i loro nomi presso la mia stirpe. Ben m’avvedo adesso quanto simile ai loro visi sia il vostro, tuttavia sovente il desiderio confonde presente con passato, realtà con finzione.”.

A lungo lo osservò Celebrian, infine volto lo sguardo ad occidente, sospirò: “Chi può dire quali siano i destini degli Edain e degli Eldar? Remoti sono ormai i tempi dei due Alberi di Valinor, pure il mio cuore mi dice che non è lontano il giorno in cui le due stirpi si incontreranno nuovamente e allora questa era della Terra di Mezzo giungerà al termine.”

Sospirando nuovamente, si rivolse ancora al suo interlocutore scuotendo il capo: “Mio signore, il vostro arrivo mi era noto da molti giorni, eppure i miei occhi non sono stati pronti nel riconoscervi, Erfea, della casata degli Hyarrostar, colui che chiamano il Morluin nelle contrade di Endor. Non siete forse voi il pellegrino che è giunto questa notte, chiedendo ospitalità a sire Elrond? La vostra vicenda mi è nota, paladino di Numenor, ché possente è la lungimiranza degli Eldar ed amore nutre ancora il loro cuore per la dimora che scelsero in tempi remoti.”

“Ebbene, Celebrian di Imladris, sappiate che numerosi soli e lune ho scorto vagando in terre straniere, ché dubbi e timori oscuravano il mio animo, e molte risposte questo attende. A lungo ho cercato la bella dimora di Elrond, ma il mio cammino è stato ostacolato dagli inganni del nemico, vigile all’interno della sua oscura torre.” Lentamente annuì Celebrian, infine si mosse leggiadra, come una brezza primaverile proveniente dalle Terre Imperiture al di là dell’Oceano; Erfea la seguì ed ella lo condusse attraverso acque e luce, foglie e vento, finche non prese posto su di un altro scranno, invitando con grazia il Dunedan a sederle accanto: questi non tardò a chiederle per quale motivo lo avesse condotto in quel luogo ameno. Lieta in volto così gli rispose l’erede di Celeborn: “Sii paziente, Erfea figlio di Gilnar, ché l’ora da te sì desiderata è infine giunta.”

Breve fu l’attesa, ché d’un tratto due alte figure percorsero il sentiero che conduceva agli alti scranni di pietra: con interesse le esaminò Erfea, eppure le loro fattezze erano celate da un manto grigio e da una cappa di seta bianca che copriva i loro volti. Ignote erano al Dunadan le loro identità, e queste sulle prime non pronunciarono alcuna battuta; tuttavia una grande maestà splendeva come aura sui loro corpi, sì che Erfea a lungo tacque meravigliato.

Infine, Celebrian si levò dallo scranno, e fatto un piccolo ma grazioso inchino rivolto alle due figure, così parlò: “Ecco il capitano di Numenor, Erfea figlio di Gilnar della casata degli Hyarrostar, colui che chiamano il Morluin; egli è qui, ché grande è il suo disio di discorrere con i signori dei Noldor.”.

Lentamente risposero i due esseri: “Grande è invero il dolore che affligge questo uomo, tuttavia gli Eldar sono giunti al crepuscolo e più non si occupano di quanto accade in queste contrade.”

Lesta fu la risposta di Erfea: “Eppure, vi è tra gli Elfi colui che discende da stirpe immortale e mortale. Non è egli forse Elrond di Imladris, signore di questa dimora ove noi ora discorriamo? Se fosse qui, si ricorderebbe di me, ché quanto afferma dama Celebrian corrisponde al vero: il figlio di Earendil mi conobbe tempo addietro, tuttavia non dubito che saprebbe riconoscermi anche adesso.”

Facendo scivolare via la cappa, la figura più alta sorrise mentre tali parole pronunziava: “Non sbagli, figlio di Numenor, che Elrond non ha obliato l’antica alleanza con gli Edain, stretta all’epoca delle guerre contro Morgoth, né il ricordo di Erfea è stato cancellato; le fatiche non gravavano ancora sul tuo capo, quando giovane giungesti a me anni addietro: sappi però che le tue fatiche sono lungi dall’essere terminate, ché l’Oscurità si infittisce e la Terra di Mezzo si consuma nel suo inesorabile logorio. Eppure, finanche in questa ora buia, la speme non è ancora svanita, ché i signori degli Eldar non sono inattivi, e le loro mani leniscono le sofferenze che Sauron, l’Oscuro Signore di Mordor arreca a coloro che gli oppongono resistenza”.

“Ahimè, questi giorni oscuri inaridiranno la speme nel cuore di molti uomini – interloquì l’altra figura – già odo il clangore delle armi e le urla dei guerrieri turbare la pace di Endor; simile ad una pestilenza, così l’ombra di Sauron prospera e si diffonde. Tuttavia, vedo innanzi a me un Dunadan della stirpe di Elenna, capitano dei Fedeli, e il mio cuore si rallegra, ché fin quando la tua stirpe prospererà, allora Galadriel di Eregion canterà lieta nei giardini di Lorien. Suvvia Erfea! L’antica stirpe non è del tutto svanita; sebbene essa viva il suo crepuscolo, è ancora lontano il dì della dipartita dell’ultimo vascello per Valinor. Fino a quel momento, possa regnare la concordia fra le nostre stirpi, ché essa possa essere tramandata a quanti verranno dopo di noi.”

Erfea, inchinatosi profondamente dinanzi ai signori degli Eldar, così parlò: “Mai ho disperato di perdere la speme, ché essa anima il cuore di quanti vagano, raminghi obliati e senza nome, cacciando ovunque i servi di Sauron; eppure il mio spirito è tormentato ché esso anela tornare alla sua terra natia. Quale sarà la mia scelta? Io chiedo ai signori degli Eldar qui presenti, di dissipare i miei dubbi.”

A lungo tacquero i tre elfi, infine Celebrian prese la parola: “Ignoro quale ragione ti spinga a ritornare a Numenor, eppure ben m’avvedo che è tuo desiderio far vela verso la dimora dei tuoi padri. Gli Eldar non sono soliti dare consigli, perché questi sovente si rivelano infidi e oscuri da comprendere; tuttavia, poiché sei stato tu a domandarlo, dirò quanto ho in serbo nel mio animo.” Tacque qualche minuto, infine parlò nuovamente: “Il tempo di Numenor è prossimo a terminare; non vi è alcun ragione che ti costringa a recarti nell’isola del Dono. Sii cauto, Erfea Morluin, ché un grande male è all’opera nella tua patria e io temo per la tua vita: al di là del Belagaer vi è solo morte; piuttosto fa vela ove al tuo animo è stata inflitta offesa, ché il mio cuore mi dice che rivedrai ancora di Elwen di Edhellond prima che questa era finisca.” Tali furono le parole che Celebrian adoperò; eppure mentre parlava, il suo sguardo cadeva sovente sul volto di Elrond e ad Erfea parve che una lieta luce brillasse nei suoi occhi.

Il sire di Imladris attese qualche istante, infine si pronunciò: “Quanto Celebrian sostiene, corrisponde a verità; io, tuttavia, non dirò se il suo consiglio sia buono o meno. Se il tuo cuore anela le bianche spiagge di Elenna, è forse destino che tu debba compiere un’altra impresa in tale contrada, prima che il suo tempo giunga a conclusione. Oscuri sono i disegni dei Valar, e tra i Primogeniti, finanche i Noldor vi possono leggere ben poco.” Così parlò il figlio di Earendil, tuttavia cos’altro il suo cuore presagisse non è stato tramandato.

Per ultima, infine, dama Galadriel prese la parola, ed invero il suo consiglio si dimostrò prezioso: “Udito hai dunque i pareri di due tra i signori dei Noldor. Ascolta adesso quello che ti dirò, ché molto temo Sauron e la sua perfidia. Ad Elenna il tuo sentiero ti conduce, che tu lo voglia o meno. Non ignorare gli avvertimenti di Elrond e Celebrian, ché grande è loro saggezza e lungimiranza; tuttavia, ivi, un ultimo compito ti attende. Non è solo la sopravvivenza dei lidi che ami ad essere in pericolo, Erfea figlio di Gilnar, ma anche la stirpe a te consanguinea. Affrettati, dunque, ché i tempi sono ormai maturi e la guerra è prossima: doloroso sarà il tuo peregrinare e molto soffrirai, eppure il mio cuore mi dice che ivi troverai la risposta ai dubbi che affliggono il tuo spirito.”

Dopo aver meditato per qualche istante, così Erfea rispose: “Se tali sono i vostri pareri in questa faccenda, la mia decisione è tosto presa; mi recherò ad Elenna, ché molta nostalgia il mo cuore nutre per Minas Laure[4] e Armenelos la bella.” Tali furono le sue parole, ed egli quel giorno non volle aggiungere altro.

Il mattino seguente, mentre Erfea affilava la sua lama, Sulring[5] di Gondolin, Celebrian gli rivolse la parola: “Mio signore, oscuro è il tuo volto e silente la tua voce. So cosa temi, tuttavia non è in mio potere alleviare il tuo dolore; eppure, non desidero che tu abbandoni la dimora di Elrond, senza che io ti abbia fatto dono di quanto desideri.”

Inchinatosi profondamente, così le rispose Erfea: “Mia signora, nessun dono o ricompensa potrebbe lenire il mio dolore; tuttavia, è stata per me gioia senza pari aver mirato il volto di dama Celebrian, prima che i giorni si ottenebrino nuovamente.”

Graziosamente rise la figlia di Celeborn: “Ben m’avvedo quanto la tua gentile favella non sia inferiore a nessun’altra tra quelle possedute dai figli di Eru, fossero finanche gli eredi di Feanor! Tuttavia il mio dono, sebbene non possa renderti quanto il tuo cuore brama di possedere, ti sarà di conforto allorché grande sarà il suo rimpianto.”

Così dicendo, Celebrian estrasse dal suo manto un piccolo specchio, incastonato in una cornice di mithril e laen azzurro, e lo consegnò al capitano di Numenor: “Tale è il suo potere, per cui la tua malinconia sarà sanata; tale artefatto mi fu donato da Celembrimbor, prima che l’Eregion fosse devastato e io l’ho custodito fino ad oggi; temo tuttavia che a me non sia più utile, ché quanto desidero è a me prossimo, pur essendo il suo destino ancora disgiunto dal mio.”

Commosso, Erfea le baciò la mano, infine prese la parola: “Gentile e graziosa dama, il tuo dono sarà per me simbolo dell’amicizia che lega le nostre stirpi. Possa questa alleanza perdurare anche quando i tempi saranno mutati.”

“Va’ adesso, figlio di Numenor! Lunga e impervia è la tua strada, eppure ti dico che ci vedremo ancora una volta.”

Ammutolito dalla grazia e dalla bellezza che splendevano in Celebrian, Erfea non trovò altre parole per ringraziarla e breve fu il suo commiato: “Che i Valar abbiano cura di te e che realizzino il tuo disio. Ardua è l’attesa, tuttavia la Primavera di Arda non è terminata e nuovi virgulti fioriranno prima che giunga l’Estate.”

Triste fu il commiato da Imladris, ché ad Erfea parvero che fossero trascorsi numerosi inverni da quando aveva varcato l’ingresso della dimora di Elrond ed ora era restio ad abbandonarla, sebbene la volontà di recarsi a Numenor non venisse meno.

Note

[1] Pheredil (Mezzelfo, in Quenya) indicava chiunque avesse avuto genitori appartenenti ad entrambe le stirpi figlie di Eru: al termine della Prima Era, i Valar imposero ai mezzelfi un’ardua scelta, che obbligava loro a privilegiare la vita immortale degli elfi oppure il dono che Eru aveva offerto agli uomini, la morte. Elrond scelse di appartenere alla stirpe della madre, mentre suo fratello Elros scelse la mortalità e divenne il primo sovrano di Numenor.

[2] “Marzo” in Sindarin.

[2] Valar e signora della Terra, chiamata sovente Kementari (“apportatrice di frutti” in Quenya)

[3] “Aprile” in Sindarin

[4] Minas Laure era la capitale della contrada dell’Hyarrostar e città natale di Erfea Morluin.

[5] Sulring , (“Vento di ghiaccio” nella lingua Sindarin), fu consegnata ad Erfea dalle mani di Gil-Galad, l’Alto Re dei Noldor in esilio, allorché il Dunedan ebbe compiuto ventuno anni: essa era stata forgiata a Gondolin da Galdor, fabbro del re e custode della porte; come molte lame elfiche della Prima Era, il suo filo riluceva allorché vi erano degli orchi od altri servitori di Morgoth nelle vicinanze.

Raminghi del Nord: declino o ripresa nella Quarta Era?

Nell’attesa di riprendere in mano il destino di Erfea dopo la scomparsa di Elwen, mi piace approfondire una questione legata ai suoi lontani discendenti, i Raminghi del Nord, gli eredi dello scomparso reame di Arnor. L’ispirazione per questo articolo mi è venuta dalla lettura, qualche giorno fa, di un quesito lanciato su una delle pagine Facebook dedicate al Signore degli Anelli, nel quale si chiedeva agli appassionati delle opere tolkieniane cosa potrebbe essere accaduto ai Dunedain del Nord dopo la restaurazione del regno di Arnor ad opera del re Elessar. La questione è molto interessante, non solo perché ci proietta inevitabilmente verso la Quarta Era e il dominio degli Uomini sulla Terra di Mezzo, ma soprattutto perché richiede un’analisi a metà tra il metodo di ricerca qualitativo e quello quantitativo per cercare di comprendere quale possa essere il futuro dei congiunti di Aragorn.

Cominciamo dalle promesse: nell’anno 3429 della Seconda Era, Elendil, Isildur e Anarion, accompagnati dai loro congiunti Fedeli, fuggono verso la Terra di Mezzo, per paura di finire invischiati nella follia scatenata da Ar-Pharazon per conquistare Aman, la terra dei Valar e ottenere così la vita eterna. I conti del sovrano, tuttavia, si rivelano tragicamente sbagliati e la sua impresa si conclude nel modo peggiore che si sarebbe potuto immaginare: la sua flotta viene distrutta e Numenor inabissata nelle profondità dell’Oceano. Destino diverso tocca ad Ar-Pharazon e agli uomini che con lui si erano accampati nelle Terre Beate: vengono seppelliti sotto una valanga di pietre e condannati a restare nelle Caverne dell’Oblio, dove sarebbero stati risvegliati solo al termine della Storia. Un racconto che, inevitabilmente, non può richiamare alla mente altre leggende simili, come quella che vorrebbe l’imperatore Federico I Barbarossa immerso in un sonno millennario all’interno di una grotta in Asia Minore (Anatolia) da dove si dovrebbe svegliare quando sarà giunta l’Ora. Per tacere, poi, delle più note vicende arturiane….

Ad eccezione del seguito di Ar-Pharazon, comunque, Tolkien sostiene che sopravvissero alla Caduta solo tre gruppi di Numenoreani: oltre ai già citati membri della spedizione comandata dalla famiglia di Elendil, l’autore menziona i Numenoreani che già da tempo vivevano nelle colonie che i loro avi avevano fondato nella Terra di Mezzo, come Pelargir e Annuminas. Nell’estremo Sud, infine, continuarono a sopravvivere le colonie dei Numenoreani Neri, gente che si era trasferita a vivere nella Terra di Mezzo per venerare Sauron perché erano avidi della conoscenza della sua Magia Oscura.

Fatta questa doverosa premessa storica, la prima domanda che dovremmo porci riguarda la demografia della società numenoreana: quanti abitanti vivevano a Numenor prima della sua Caduta? Per rispondere a questa domanda, è utile ricordare come nel volume «War of the Jewels» (non ancora tradotto in italiano) si accenni alla quasi estinzione degli Edain al termine della Prima Era: secondo Tolkien, probabilmente solo 10.000 tra uomini e donne erano sopravvissuti alla Guerra d’Ira. La maggior parte di loro, in seguito, fece vela verso la loro nuova patria, anche se un certo numero di Edain è probabile che possa essere rimasto nella Terra di Mezzo. Questi ultimi rappresentanti dei Secondogeniti, grazie alle arti degli Eldar e alla lunga pace che ne seguì, si moltiplicarono in fretta, fino a raggiungere una popolazione che deve essere stata ragguardevole, numericamente parlando. Non sappiamo, tuttavia, quanti fossero i Numenoreani: il bellissimo e ricco volume Atlante della Terra di Mezzo, scritto da Karen W. Fonstad, sostiene che l’Isola dell’Ovest fosse 40 volte più grande di Big Island, nelle Hawaii. Facendo due rapidi conti – e ipotizzando che i Numenoreani fossero più o meno al nostro stesso livello di scienza medica, come sembra suggerire Tolkien quando ricorda le loro arti di guarigioni al termine dell’Assedio di Gondor, definendole in grado di curare qualunque male umano, eccetto la vecchiaia – potremmo ipotizzare che a Numenor vivessero almeno 6,4 milioni di persone. Una cifra importante – data dalla moltiplicazione dell’attuale popolazione di Big Island per l’estensione di Numenor rapportata alle sue dimensioni – se paragonata a quella di altri regni tolkieniani: piccola, al contrario, se paragonata all’effettiva importanza che Numenor ricopriva nei meccanismi di potere della Seconda Era.

Quanti di questi Numenoreani potrebbero essere sopravvissuti alla Caduta? È molto difficile ipotizzare una risposta in merita: molto dipenderebbe dall’effettiva capacità di carico delle navi che furono usate da Elendil e dai suoi figli per sfuggire al disastro. Immaginando che fossero simili ai grandi galeoni di epoca moderna, potremmo azzardare un paragone con la Mayflower, la nave che nel 1620 salpò alla volta degli odierni Stati Uniti d’America: essa era in grado di portare circa 130 persone (compresi i membri dell’equipaggio). Se ipotizziamo come base di partenza 130-150 uomini per nave, allora le nove imbarcazioni numenoreane potrebbero aver salvato circa 1170-1350 Dunedain: un po’ troppo pochi, in effetti, per fondare due regni, Arnor e Gondor, nella Terra di Mezzo. Dobbiamo allora supporre che essi furono accolti da una fiorente comunità di esuli numenoreani (cui apparteneva anche Erfea, tanto per restare in tema); tuttavia Tolkien, pur ammettendo che negli anni precedenti alla Caduta molti Numenoreani avevano preferito stabilirsi nella Terra di Mezzo, non offre alcuna cifra utile per quantificare il loro numero. Possediamo, tuttavia, due indizi indiretti per cercare di avere un’idea, almeno sommaria, della popolazione dei Regni in Esilio: al termine dei colloqui imbastiti per decidere quale strategia adottare contro Sauron, infatti, Imrahil di Dol Amroth ricorda i bei tempi andati di Gondor, paragonando la piccola schiera raccolta dai Capitani dell’Ovest all’avanguardia dell’esercito di Gondor nel suo glorioso passato. Considerato che Aragorn aveva raccolto circa 7500 uomini (ma tra questi andrebbero considerati anche i Rohirrim), dovremmo immaginare che l’esercito di Gondor ai tempi del suo apogeo fosse costituito da un minimo di 21.000 uomini (se accettiamo che un terzo di loro combattessero all’avanguardia) ad un massimo di 28.000 (se invece optiamo per un rapporto retroguardia/corpo centrale dell’esercito di 1 a 2). Indubbiamente un numero di tutto rispetto; tuttavia, se confrontato con quello di altri eserciti medievali o di età moderna, appare sensibilmente piccolo (per esempio, l’armata francese alla battaglia di Azincourt nel 1415 contava tra i 36.000 e i 50.000 uomini; ancora, l’esercito della sola città Atene alla battaglia di Maratona del 490 a.C. annoverava almeno 10.000 uomini). Questo dato potrebbe gettare luce sulla popolazione globale di Gondor: considerato che mancano esempi di leva obbligatoria nei romanzi di Tolkien, e dato perciò per assunto che l’esercito del regno del Sud fosse costituito solo da professionisti, potremmo immaginare che la sua popolazione fosse compresa tra i 300.000 abitanti (un soldato per ogni dieci abitanti), fino ad un massimo di 1.500.000 (un soldato per ogni cinquanta abitanti). Un dato, quest’ultimo, che confermerebbe la bassa densità demografica del regno di Gondor, considerato che alla sua massima espansione territoriale, la sua superficie era pari a circa 700.000 miglia quadrate. A complicare la questione, inoltre, bisogna considerare che Imrahil avrebbe potuto fare riferimento all’esercito di Gondor in un altro momento storico di grande sviluppo del Regno del Sud, quale, per esempio, quello connesso con la dinastia dei Re Navigatori fra il IX e il XII secolo della Terza Era…

Nel regno di Arnor, la cui estensione non superò mai le 250.000 miglia quadrate di superficie, la situazione avrebbe potuto essere anche peggiore, sotto un punto di vista demografico: nel racconto dedicato al disastro dei Campi Iridati, presente nel volume «Racconti incompiuti», Tolkien sostiene che la perdita dei 200 uomini che componevano la guardia del corpo di Isildur arrecò un grave colpo alla stabilità del regno di Arnor, la cui popolazione risultò sempre inferiore rispetto a quella del suo gemello meridionale.
È questo un concetto che spiega molto bene Elrond, durante il consiglio con i rappresentanti dei Popoli Liberi: «A nord, dopo la guerra e la catastrofe di Campo Gaggiolo, gli Uomini dell’Ovesturia erano scemati, e la città di Annuminas vicino al Lago Evendim cadde in rovina; e gli eredi di Valandil si trasferirono a Fornost sulle alte Lande del Nord, ed anche lì ora tutto è desolazione. […] Il popolo di Arnor infatti si estinse, e i suoi nemici lo divorarono, e la loro signoria scomparve, lasciando soltanto tumuli verdi sulle colline erbose» (SdA, p. 199).
Potremmo quindi azzardare un paragone con la storia greca e più precisamente con Sparta, il cui sovrano, in epoca classica, era protetto da una guardia del corpo di 300 uomini (i famosi protagonisti dell’omonimo film del 2007). Oltre a questi soldati, Sparta poteva mettere in campo circa 10.000 soldati: quindi, utilizzando l’ipotesi precedente, potremmo stabilire in circa 100.000 unità la popolazione del regno di Arnor (soglia minima) e 500.000 (soglia massima). Si comprende bene, perché, dunque, con la tripartizione del regno del Nord avvenuta nell’anno 861 della Terza Era, Arthedain, Cardolan e Rhudaur, le nuove entità statali succedutesi allo scomparso regno di Arnor, fossero divenute facili prede del Re degli Stregoni di Angmar (il capitano dei Nazgul).

E giungiamo così, dopo questa lunga premessa (che spero i miei lettori mi perdoneranno) alla scomparsa dell’Arthedain – ultimo dei regni dei Dunedain nel Nord – nell’anno 1974 della Terza Era: Tolkien scrive chiaramente che, nonostante la distruzione, avvenuta nel corso dell’anno successivo, della potenza di Angmar, resa possibile grazie alla collaborazione fra forze di Gondor, degli elfi del Lindon e dei supersititi dell’Arthedain, non fu possibile più restaurare alcun organismo statale al Nord. Una delle maggiori cause a favore di questa scelta potrebbe essere stata la drastica riduzione della sua popolazione, che non riuscì più a riprendersi dalle distruzioni e dai lutti della guerra, nonostante la linea regale fosse sopravvissuta: i pochi sopravvissuti alla caduta dell’Arthedain divennero noti come i Raminghi, probabilmente perché persero i connotati tipici di una civiltà urbana a favore di un maggior nomadismo. Un destino invero infelice per gli eredi di un popolo che, stando a quanto riferì Ghan-Buri-Ghan a Theoden, utilizzavano tanta di quella pietra per le loro costruzione da far credere che fosse il loro alimento preferito!

Quanti Dunedain sopravvissero a Nord? È molto difficile dare una risposta a questa domanda: nel dialogo che segue fra Gandalf e Frodo dopo il risveglio di questi nella casa di Elrond, lo stregone non sembra essere molto fiducioso nelle capacità di recupero dei discendenti di Numenor, perlomeno di quelli stabilitisi al Nord: «La stirpe dei Re venuti dall’altra sponda del Mare è quasi estinta. È probabile che questa Guerra dell’Anello sia la loro ultima avventura» (SdA, p. 181) Nel corso del romanzo, alla vigilia della grande guerra contro Sauron, Aragorn viene soccorso dalla Compagnia Grigia; Halbarad, portavoce della Compagnia, così si esprime in merito alla sua formazione: «Ho trenta Uomini con me […] Tutti coloro che riuscii a radunare in fretta; ma anche i fratelli Elladan ed Elrohir fanno parte del gruppo» (SdA, p. 589).

Queste indicazioni, se pur scarne, possono aiutarci ad abbozzare una tesi, per quanto essa possa sembrare semplice, quasi rudimentale: è possibile, infatti, che la Grigia Compagnia fosse costituita dai Dunedain che abitavano o comunque agivano nei pressi di Gran Burrone; questa ipotesi si regge sulla compartecipazione dei figli di Elrond alla Compagnia. Se questi Raminghi, infatti, fossero giunti a Rohan da altre regioni del regno scomparso di Arnor avrebbero probabilmente impiegato molto più tempo ad arrivare; senza considerare che, con ogni probabilità, fu Galadriel a comunicare ad Elrond la necessità che i superstiti del popolo di Numenor si radunassero per aiutare Aragorn nella sua missione. Per inciso, questa circostanza ci permette di approfondire un’interessante questione: come facevano Galadriel ed Elrond a comunicare a distanza? Sembra possibile che essi potessero parlare telepaticamente, come sembra sia avvenuto, per esempio, al termine della Guerra dell’Anello, quando, durante le notti, essi erano soliti chiacchierare con Gandalf senza però pronunciare parola.

Tornando alla questione demografica dei Raminghi, ad ogni modo, il numero di trenta uomini sembra molto esiguo: le parole di Halbarad, comunque, sembrano alludere alla presenza di altri Raminghi sparsi nelle regioni dell’ex regno di Arnor, ma non ci dicono altro. Nei «Racconti Incompiuti» si accenna, in una delle tante versioni scritte da Tolkien della caccia all’Anello tentata dai Nazgul, ad uno scontro che sarebbe accaduto tra i Raminghi e i Cavalieri Neri per impedire agli Spettri dell’Anello di entrare nella Contea. Dalla scarna narrazione delineata dall’autore si può intuire che vi fossero almeno una decina di Raminghi: ma anche volendo considerare quest’altro piccolo gruppo, saremmo ancora a 40 uomini. Immaginando che per ogni uomo in assetto di guerra vi fossero almeno una donna, un/a bimbo/a e un anziano, potremmo arrivare a 120 persone. Stando al racconto che narra Gandalf ad Omorzo, al ritorno a Brea dopo la caduta di Sauron, i Raminghi abitavano ancora fra le rovine di Fornost: dobbiamo quindi considerare una loro presenza anche in quella che era stata un tempo la capitale dell’Arthedain. Con uno sforzo ulteriore di speculazione, quindi, potremmo immaginare che vi fossero almeno 100 Raminghi, ed avere una popolazione pari a circa 400 individui, simile a quella che attualmente abita un piccolo paese in Italia.

Decisamente troppo pochi per rifondare un Regno.

Se questa teoria fosse vera, giustificherebbe i timori di Gandalf in merito alla possibile estinzione dei Dunedain, in caso avesse vinto Sauron, alla fine della Guerra dell’Anello. Anche arrivando a ipotizzare 1000 abitanti sparsi nelle regioni che un tempo appartenevano ad Arnor, resterebbe un numero troppo basso di abitanti per poter ricolonizzare quelle terre. Concludo questo lungo articolo ipotizzando che la ripresa di Arnor avvenne solo grazie all’emigrazione massiccia di Uomini dalle regioni meridionali della Terra di Mezzo: si può supporre che i Dunedain superstiti fossero stati integrati nella nuova società del regno, magari assumendo cariche di primo piano a livello politico e finendo così per costituire la «nuova» nobiltà del rifondato Regno del Nord.