Scrivere degli Uomini (I parte). Un limite di Tolkien?

Al solito, adopero un titolo un provocatorio per fare luce su una questione di cui lo stesso Tolkien pose le basi molti anni fa. Come è noto, il romanzo del Signore degli Anelli si conclude con la dipartita dei tre portatori degli anelli elfici dalla Terra di Mezzo che inaugura in forma simbolica il dominio degli Uomini nella Quarta Era. Dico simbolica perchè, in fondo, le altre razze non scompaiono – o almeno non subito -: su questo punto Tolkien stesso non offre molte indicazioni. Anche l’opera cinematografica di PJ mostra molto bene questo passaggio di consegne: il ruolo di guida che per tanti secoli avevano avuto gli Elfi e gli Istari, passa di mano ad Aragorn, nel suo nuovo ruolo di sovrano dei regni unificati di Gondor e Arnor.

Meno nota, invece, è la bozza di un romanzo che Tolkien iniziò a scrivere dopo aver terminato il Signore degli Anelli e che intitolò – provvisoriamente – New Shadow, ossia la Nuova Ombra. La trama è presto spiegata: l’autore immaginò che ai tempi di Eldarion, figlio di Aragorn, una nuova ombra – da cui il titolo – si fosse risvegliata nel regno di Gondor, colpendo soprattutto i ragazzi che tendevano a comportarsi come orchi. A dire il vero, un abbozzo abbastanza deludente, più una spy story che un racconto epico, che Tolkien marchiò piuttosto severamente con queste parole in una lettera datata 13 marzo 1964:

«Ho iniziato una storia che si svolge circa cento anni dopo la Caduta [di Mordor], ma si è rivelata sinistra e deprimente. Dato che abbiamo a che fare con uomini è inevitabile che si debba prendere in considerazione una delle caratteristiche più deprecabili della loro natura: il fatto che presto si stancano del bene. […] in epoche così antiche ci fu un fiorire di trame rivoluzionarie, incentrate su una religione satanica segreta; mentre i ragazzi di Gondor giocavano a travestirsi da orchi e andavano in giro a fare danni. Avrei potuto ricavarne un thriller con il complotto e la sua scoperta e la sua sconfitta – ma non ci sarebbe stato altro. Non ne valeva la pena».

Non c’è dubbio, dunque, che Tolkien non fosse soddisfatto della sua opera; chiunque in vita sua abbia provato a cimentarsi con la scrittura di un testo, d’altra parte, sa che ciò è inevitabile: non tutte le ciambelle riescono con il buco, tanto per usare una frase fatta. Quello che proverò a dimostrare in questo articolo, dunque, non è la necessità che Tolkien portasse a termine il lavoro indipendentemente dalla sua volontà: non sarebbe eticamente corretto. Confesso poi che, personalmente, trovo poco convincente l’idea dei ragazzacci-orchi, per cui non ho nulla da rimprovere all’autore per non aver terminato la scrittura di questo testo.

Ciò che voglio tentare di comprendere, invece, è la ragione per la quale Tolkien aveva un rapporto così difficile con le storie nelle quali gli Uomini sono assoluti protagonisti (o quasi). Se infatti consideriamo altri racconti che Tolkien iniziò a scrivere ma che non concluse, è possibile osservare che ve ne sono almeno altri due che hanno come “attori” i membri della razza umana. Uno è quello intitolato “Tal-Elmar” nel quale l’autore descriveva la colonizzazione della Terra di Mezzo da parte di Numenor, vista però da un’ottica diversa (ossia quella degli Uomini selvaggi), che fa luce sull’intenso sfruttamento cui furono sottoposti i boschi di Endor per costruire l’imponente flotta numenoreana. L’altro, invece, aveva come tema una sorta di viaggio nel tempo di alcuni uomini dei giorni nostri che si trovavano catapultati a Numenor (Tolkien aveva sostenuto che le ere della Terra di Mezzo corrispondevano a un antico passato della nostra Terra).

Per cercare di comprendere queste difficoltà, secondo me, bisogna partire da un dialogo intercorso fra Legolas e Gimli poco prima della partenza dell’esercito dell’Ovest alla volta del Morannon:

“Indubbiamente le migliori opere in pietra sono le più antiche e risalgono ai tempi della prima costruzione” – disse Gimli. “Ed è sempre così per tutte le cose che gli Uomini incominciano: una gelata in primavera, o la siccità in estate; ed essi non portano a compimento la loro promessa”. “Eppure è raro che i loro semi non germoglino”, disse Legolas. “Anche in mezzo alla polvere o al marcio, li si vede improvvisamente spuntare nei luoghi più imprevisti. Le azioni degli Uomini sopravvivranno alle nostre, Gimli”. “Riducendosi però dopo tutto a potenzialità fallite, suppongo”, disse il Nano. “A ciò gli Elfi non sanno rispondere”, disse Legolas. [Il Ritorno del Re, p. 173]

Trovo che questo brano sia significativo perché illustra una questione fondamentale dell’epica tolkieniana: un’ambiguità di sentimenti che Tolkien mostra nei confronti della razza umana. Intendiamoci: nelle sue opere gli eroi dei Secondogeniti non scarseggiano di certo e un loro elenco sarebbe lungo: pensiamo a Beren, Bard, Elendil, Turin, Aragorn, tanto per citare i primi che mi vengono in mente. Tuttavia, è difficilmente negabile come le parole di Gimli colgano nel segno: nei semi della grandezza umana è sempre nascosta la loro rovina. Simbolo di questo tragico destino è in fondo Isildur: egli sconfigge il più pericoloso nemico della sua gente e si trova però a dover cadere vittima del suo stesso potere. E non finisce qui, se si pensa che nel racconto che narra della sua morte a Campo Gaggiolo, Tolkien fa intuire che avrebbe voluto recarsi a Rivendell per chiedere consiglio a Elrondo sull’Anello. Un segno di pentimento della sua decisione di prenderlo con sè dopo la sconfitta di Sauron? Non lo sapremo mai, tuttavia una costante emerge da questi esempi: l’estrema fragilità degli uomini, sempre divisi tra Bene e Male, spesso oscillanti e incerti sulle scelte da prendere.

Tolkien ne aveva stima, certo (altrimenti, per fare un esempio, non avrebbe pensato a Turin come l’esecutore finale di Morgoth, in quella che avrebbe dovuto essere la battaglia finale del Mondo), ma dai suoi scritti traspare una diffidenza nei loro confronti che neppure i migliori eroi di quella razza sono riusciti a fargli passare. Sarà stata questa la ragione per cui non ha mai portato a termini i racconti menzionati in precedenza?

Chi è il Negromante?

Confesso che si tratta di un titolo provocatorio, naturalmente. La risposta, infatti, appare scontata, se non banale: il Negromante è uno dei tanti nomi che, nel corso delle Ere, sono stati adoperati per denominare Sauron, l’Oscuro Signore. Più precisamente, questo appellativo si riferisce alla sua forma spirituale durante buona parte della Terza Era, grosso modo dall’anno 1000 sino agli eventi narrati nell’Hobbit, millenovecento anni più tardi. In quel periodo Sauron si era rifugiato a Dol Guldur, una fortezza situata nel cuore della Grande Foresta della Terra di Mezzo, nel duplice obiettivo di riacciuffare tutti gli Anelli, (a partire dall’Unico), che ancora gli sfuggivano, e condurre una politica aggressiva nei confronti dei Popoli Liberi.

Questo piccolo riassunto della biografia di Sauron nella Terza Era è stato ripreso abbastanza fedelmente anche nella Trilogia cinematografica dell’Hobbit, anche se con alcuni cambiamenti, che però, in questa sede, ci interessano relativamente: ciò che conta è che l’equazione Negromante=Sauron è piuttosto palese sia nel Signore degli Anelli che nei film diretti da Peter Jackson.

Se però leggiamo lo Hobbit, la realtà appare un po’ diversa e, per certi versi sorprendente.

Il Negromante compare abbastanza presto nella narrazione: mentre Gandalf consegna la chiave di Erebor a Thorin, infatti, non può fare a meno di spiegargli come ne sia venuto in possesso. Viene così fuori la storia della sua missione nelle segrete di Dol Guldur – missione che, almeno nell’Hobbit, risulta particolarmente oscura e sulla quale lo stesso stregone è restio a fornire ulteriori dettagli – durante la quale un nano moribondo e ormai folle gli consegnò una chiave e una mappa, nella speranza che così facendo sarebbero potute arrivare nelle mani di suo figlio, ossia Thorin. La reazione dei nani è di puro orrore: il Negromante è conosciuto anche dai figli di Durin e la rabbia di Thorin, che apprende finalmente il destino ultimo del padre, dato per disperso tanti anni prima, è però subito messa a tacere da Gandalf, il quale, senza fornire ulteriori dettagli, lo dissuade dal muovere guerra contro il Negromante, perché sarebbe al di sopra della forza di tutti i Nani, anche se fossero riuniti da ogni angolo del vasto Mondo.

Del Negromante, in realtà a parte un breve accenno a metà dell’opera – quando Gandalf sconsiglia i nani dal prendere qualsiasi strada che attraversi Bosco Atro e che sia vicina alle nere torri di Dol Goldur – se ne riparla solo al termine della vicenda, quando Bilbo scopre i motivi che avevano spinto Gandalf ad abbandonare la compagnia di Thorin in un momento così cruciale, come l’attraversamento della grande foresta. Lo stregone, infatti, coadiuvato da un consiglio di maghi bianchi, aveva snidato il Negromante dalla sua tana, costringendolo a fuggire. Segue un breve scambio di battute tra Gandalf ed Elrond, nel quale entrambi si augurano di non avere notizie per un bel pezzo del Negromante, pur sapendo che questo è poco più di un auspicio. Fine. Del Negromante non si parlerà più; o meglio, nel Signore degli Anelli, verrà chiarito che Sauron e Negromante sono la stessa entità.

Meno noto, invece, è un passaggio dell’Hobbit, nel quale accennando brevemente alle origini del magico Anello che possiede la creatura chiamata Gollum, l’autore lascia cadere – quasi per caso – queste parole: «Ma chi sa in che modo Gollum era entrato in possesso di quel regalo, tanto tempo addietro, ai vecchi tempi in cui anelli come questo erano ancora diffusi nel mondo? Forse neanche il Signore che li dominava avrebbe potuto dirlo» [Hobbit, p. 101].

Emerge qui una figura che rappresenta un unicum nella storia della Terra di Mezzo: un artefice, quasi imperscrutabile, al di là del bene e del male, interessato solo alla sua Arte di forgiatore, che non è possibile identificare, in nessun modo con il Negromante. Quando ero un ragazzino – perdonate la digressione autobiografica – mi faceva venire in mente il mago maestro di Topolino nel celebre episodio dell'”Apprendista Stregone” del film d’animazione Fantasia: l’osservavo mentre, chino su un teschio (dettaglio abbastanza macabro, in verità) evocava una bellissima farfalla colorata, per poi disfarla. Ho sempre ritenuto che questo mago non fosse nè buono, nè cattivo: dava infatti l’impressione di essere solo interessato alla sua arte, senza porsi problemi etici di alcun genere.

Tornando alla questione principale, manca, infatti, una connessione chiave che sarà poi introdotta negli scritti successivi di Tolkien, e cioè che Sauron, nei panni del Negromante, aveva catturato Thrain per un motivo ben preciso, ossia quello di prendergli l’ultimo degli Anelli dei Nani che ancora sfuggivano al suo controllo. D’altra parte, l’Unico Anello, nell’Hobbit, non è associato a nessuna forma esplicita di malvagità, ed è questo un ulteriore elemento di sorpresa: l’unico riferimento che possiamo trovare in merito a un suo effetto collaterale pernicioso è l’irritazione che provoca alla pelle di Gollum, ma niente di più; l’aspetto orribile di Gollum e la ragione della sua lunga vita non sono messe in correlazione con l’Unico. In fondo, riflettendoci bene, i poteri dell’Anello sono quelli che potremmo definire di magia neutrale: rende invisibili, è vero, ma lo fa in modo indiscriminato, tant’è vero che Bilbo e Gollum, nonostante la diversità di carattere e di indole, ne sono “colpiti” allo stesso modo; permette all’hobbit di comprendere il linguaggio dei ragni, che sono creature malvagie, è vero, ma si può definire un atto deplorevole in sè conoscere la lingua nera? Certamente no, visto che anche Gandalf ed Elrond la conoscono e possono (all’occorrenza, certo, e con prudenza) adoperarla. Altri effetti “collaterali” dell’Anello non sono presentati nell’Hobbit: gli stessi Nani, quando Bilbo racconta loro del prezioso oggetto trovato nelle caverne delle Montagne Nebbiose, sono curiosi ed eccitati dalla notizia, ma nessuno di loro, neppure Balin suo grande amico, ritiene di dover mettere in guardia Bilbo dall’uso continuativo dell’Anello; nello stesso epilogo del romanzo, Tolkien si limita a precisare che Bilbo fece un uso appropriato dell’Anello, usandolo per sfuggire a parenti e visitatori antipatici.

Sauron, quanto meno sotto forma di Tevildo signore dei Gatti, era già presente nel mondo della Terra di Mezzo quando Tolkien scrisse il romanzo dell’Hobbit: sarebbe interessante, tuttavia, cercare di comprendere se all’origine del Signore degli Anelli – così come viene descritto nella storia di Bilbo – vi fosse un’entità malvagia (Sauron/Tevildo) o se questi fosse ancora slegato dal continuum della Terra di Mezzo allorché Tolkien scrisse lo Hobbit.

Suggerimenti di lettura:

Ritratti – Annatar, il Signore dei Doni

Dizionario dei personaggi de «Il Ciclo del Marinaio»

Akhallabeth – Scena V ed ultima. Il discorso di Sauron ai Numenoreani il giorno di Mezza Estate

Akhallabeth – Scena IV – Le tentazioni di Sauron

Da Numenor alla Terra di Mezzo: benvenuti, lettori de «Il Ciclo del Marinaio»!

Sauron: un antagonista svilito?

Sauron, il filosofo

Sauron, il politico

Il Ciclo del Marinaio

Indur, la Morte dell’Alba, il Quarto

Nato nella città di Korlan nel 1935 della Seconda Era, Ji Indur era l’erede di una ricca famiglia della repubblica di Koronande; possedette fin dall’adolescenza un carattere molto ambizioso, divenendo il più giovane governatore eletto in quella contrada. Allorché divenne un membro del consiglio di Koronande, egli promosse una politica volta a contrastare l’influenza di Numenor sulla sua patria; sotto il regno di Tar-Ciryatan, infatti, navi da guerra numenoreane erano per la prima volta apparse nelle acque della repubblica, destando notevole preoccupazione nell’animo del governatore.

L’influenza dei Numenoreani minò le basi sociali e politiche di Koronande, al punto tale che Indur temette per la stessa sopravvivenza del suo potere: reso timoroso da tale minaccia, con un colpo di stato, Indur sciolse l’assemblea nazionale e si proclamò re di Koronande. Tale soluzione politica non era tuttavia condivisa dalla maggior parte della gente di Korlan, ché essi erano fieri della loro libertà, né avrebbero permesso a Indur di estendere il suo potere: nei successivi ventitre anni, si verificarono una serie di guerre civili e ribellioni. L’intervento dei coloni Numenoreani di Tantarak, che mal tolleravano simili disordini, portò Indur ad appropriarsi nuovamente del suo regno, ma un’ultima sommossa popolare, comandata dal governatore di Korlan, una delle piazzeforti del nuovo regno, condusse il sovrano all’esilio e restaurò la repubblica.

Ji Indur fuggì nel Mumakan, sede di molti agenti di Sauron fin dal diciottesimo secolo della Seconda Era: ivi egli trovò ospitalità e la salvezza, ché era noto all’Oscuro Signore, il quale pensava di servirsi del re caduto per estendere il suo potere a Sud e gli offrì un nuovo trono.

Un’oscura alleanza fu siglata tra il giovane re e Sauron, e il Maia corrotto gli donò il quarto Anello degli Uomini nell’anno 2001: Ji Indur divenne uno schiavo dell’Oscuro Signore.

Il nuovo re del Mumakan mutò il suo nome in Ji Amaav II, affinché il popolo credesse che egli fosse davvero il discendente del precedente sovrano, il primo che avesse posato sul suo capo la corona ricavata dall’avorio del mumakil: il Nazgul regnò per milleduecentosessantadue anni, riuscendo a sottomettere la colonia numenoreana di Tantaruk, finché, con l’arrivo delle armate di Ar-Pharazon, egli dovette fuggire, rifu- giandosi nelle giungle dell’Harad.

Nei successivi anni, apprese dagli Haradrim le loro strategie di combattimento e ne divenne il sovrano. Durante l’assedio di Gondor, condusse i suoi eserciti in prima linea e pochi erano coloro che potevano osservare senza provare sgomento la corona del Re Mumakan; al termine della guerra, tuttavia, egli cadde nella Tenebra insieme al suo Oscuro Signore, quando costui fu privato del suo Anello.

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Suggerimenti di lettura:

I Nazgul

Er-Murazor, il Primo dei Nove

Khamul, il Secondo, l’Ombra dell’Oriente.

Dwar di Waw, il Terzo, il Signore dei Cani

Akhorahil, il Re Tempesta, il Quinto

Hoarmurath di Dir, il Re del Ghiaccio, il Sesto.

Adunaphel l’Incantatrice. La Settima

Ren il Folle, l’Ottavo

Uvatha, il Cavaliere, il Nono

Dwar di Waw, il Terzo, il Signore dei Cani

Dendra Dwar nacque nel 1949 della Seconda Era, nell’isola di Waw, figlio di un pescatore Wolim di nome Dendra Wim e di una lavandaia, Ombril, che morì dandolo alla luce. Dwar ebbe un’infanzia difficile, segnata dal dolore per la perdita della madre e dal duro lavoro che dovette praticare fin dall’età di sette anni: taciturno e malinconico, il giovane pescatore nutriva tuttavia una smisurata ambizione che crebbe con lui e ne determinò l’amaro destino; angusta gli sembrava la sua isola ed egli desiderava esplorare le coste della Terra di Mezzo che, nelle chiare albe d’Estate, erano visibili dalla barca ove egli lavorava.

L’isolamento di Waw dal continente di Endor terminò nel 1965, allorché i guerrieri del K’Prur di Hent sbarcarono nell’isola, saccheggiando Horn, la città natale di Dwar: le forze nemiche trucidarono selvaggiamente gli abitanti Wolim, bruciandone le case e i porti; Dwar, suo fratello Dwem e suo padre Wim trovarono rifugio nelle cave che si estendevano sotto le scogliere della costa occidentale. Wim, gravemente ferito durante la fuga da un giavellotto nemico, morì alcune settimane dopo: il giovane Dendra giurò sullo spirito del padre che avrebbe sterminato gli aggressori del loro popolo e si preparò al duro compito che tale giuramento obbligava a compiere.

Dendra navigò verso Nord, diretto alla terra di Wol, per apprendere le strategie di guerra delle tribù Wolim che ivi avevano dimora: Dwar sapeva che in tale contrada gli sarebbero state rivelate le conoscenze per allontanare il nemico dalla sua terra natia e prestò servizio nelle armate dei Wolim per molti anni.

In breve tempo Dwar acquisì grande fama presso quelle genti, ché era divenuto un guerriero feroce e implacabile: in qualità di esploratore delle armate di Wol, egli apprese le Arti della parola e del comando necessarie per addomesticare i feroci mastini da guerra che terrorizzavano i guerrieri di Hent, i cui corpi erano protetti da leggere armature in cuoio; tuttavia, sebbene Dwar fosse considerato dai suoi commilitoni un prode guerriero, egli ambiva ottenere conoscenze quali mai un Uomo della sua stirpe aveva appreso: nel 1974, Dendra divenne allievo di Embra Silil, un anziano sacerdote del culto di Morgoth e questi gli svelò le arcane Arti Oscure. A lungo il giovane mago si applicò in tali studi, dimostrando un talento quale pochi fra i Secondogeniti potevano vantare di possedere. Nel 1980, Dwar assunse la carica di Signore dei Cani e condusse un contingente delle sue truppe contro la cittadella di Alk Waw e la strappò al controllo dei guerrieri Hent: adoperando le sue Arti Oscure e le sue legioni di cani guerrieri, dopo un anno d’assedio, spezzò le linee dei suoi nemici.

Durante questi lunghi mesi, grazie all’azione combinata di duemila cani da combattimento e dei suoi Uomini, egli estese la sua influenza a tutta l’isola: ottenuta la vittoria, Dwar si proclamò Alto Custode dell’isola e rifiutò di riconoscere l’autorità del Consiglio degli Anziani.

Waw divenne nota come l’Isola dei Cani, governata dalle severe leggi emanate dal signore dei Wolim in persona; eppure, nonostante suo padre fosse stato vendicato, Dwar posò i suoi avidi occhi sulle terre circostanti, non pago di aver soddisfatto il suo giuramento, ché grande era divenuta la sua ambizione ed essa ora si misurava in virtù delle conquiste che egli presagiva ottenere: nel volgere di pochi anni, Wol, Brod, Cimonienor ed Hent caddero sotto il suo controllo e nel 1998, il potere di Dendra si era esteso in tutto l’estremo levante della Terra di Mezzo.

Il signore dei Cani, tuttavia, non era soddisfatto di quanto la sua brama di potere gli aveva consentito di acquisire e temeva la morte sopra ogni altra cosa, ché a essa ambiva sfuggire qualora fosse giunta l’ora: lesto allora afferrò l’offerta di immortalità che Sauron di Mordor gli offrì ed egli cadde sotto il dominio dell’Ombra, accettando il terzo degli Anelli degli Uomini nell’anno 2000.

Lentamente il suo sembiante fu consumato dalla malvagità dell’Anello e Dwar infine si mutò in uno spettro immortale, al servizio dell’Oscuro Signore di Mordor; pure egli poteva assumere forma fisica qualora lo desiderasse e in tale veste controllò l’operato del nipote Dendra II, il quale ora deteneva la carica di Alto Custode di Waw. Per duecentocinquanta anni, il terzo fra i Nazgul rimase all’ombra della torre di Alk Waw, finché non ebbe condotto le sue legioni nella terra di Mordor, ove servì il suo Oscuro Signore nei successivi secoli della Seconda Era.

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Er-Murazor, il Primo dei Nove

Khamul, il Secondo, l’Ombra dell’Oriente.

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Adunaphel l’Incantatrice. La Settima

Ren il Folle, l’Ottavo

Uvatha, il Cavaliere, il Nono

Khamul, il Secondo, l’Ombra dell’Oriente.

Il secondo dei Nove in potenza, aveva nome Komul I ed era nato nell’anno 1799 della Seconda Era nella città di Laeg-Goak, posta all’estremo Est della Terra di Mezzo: egli era il figlio più anziano di Hionvar Mul Tanul di Womaw, e aveva avuto come nutrice Dardarian, moglie di un principe degli Elfi Avari, la quale, in seguito, era divenuta la sua prima consigliera, fino alla sua ascesa al trono nell’anno 1849. L’influenza dell’ambiziosa Elfa fu molto forte nei confronti di Komul, tanto da spingerlo a desiderare sopra ogni altra ambizione l’immortalità; egli infatti, pur avendo sangue elfico nelle vene, non era della stirpe dei primogeniti, e la durata della sua esistenza, nonostante fosse maggiore rispetto a quella dei suoi sudditi, gli pareva ben poca cosa. Il regno di Womaw era il più potente fra coloro che si estendevano all’Est della Terra di Mezzo, e i suoi abitanti erano soggetti all’influenza degli Elfi Avari, dai quali avevano appreso le arti della parola e della lavorazione del legno: essi discendevano dai medesimi padri dei Numenoreani, e la loro ricchezza superava in splendore quella dei regni circostanti.

Komul I era affascinato dalla grandezza degli eredi degli Edain, e sotto il suo regno, l’influenza degli ambasciatori di Numenor aumentò, con grande disappunto del suo popolo, irritato dalla continua intromissione di questi nei loro affari. Sin da quando i Numenoreani avevano iniziato ad avere relazioni commerciali con il regno di Womaw, molte colonie erano state stabilite nei loro territori; durante il regno di Komul, tuttavia, gli Uomini dell’Ovest avevano preso a fortificare i loro possedimenti, ottenendo dal sovrano numerose concessioni, con l’unico risultato di esasperare il malcontento popolare. Dal 1944, la stabilità interna del reame fu minacciata dalle rivolte di molti fra i signori dei Womaw, che vennero meno alla fedeltà nei confronti del loro signore: Komul, disperato e impotente, si rivolse all’antica consigliere Dardarian, la quale lo sedusse con la sua bellezza e la promessa dell’immortalità; egli accettò, e strinse un’alleanza con il regno Avaro di Hekaneg; tale mossa politica gli permise, l’anno successivo, di ritirare le concessioni fatte ai Numenoreani, impedendo che il suo regno si disgregasse; tuttavia, la caduta dei Womaw era stata solo rimandata, ché Dardarian era una spia di Sauron di Mordor e aveva ricevuto da questi l’incarico di corrompere Komul. Nel 1999, l’Elfa consegnò nelle mani del re womaw l’artefatto che gli avrebbe concesso l’immortalità e l’infinita schiavitù sotto il giogo del Signore degli Anelli; la scomparsa di Komul, l’anno successivo, aprì una stagione di lotte sanguinose per il trono. Assassini e intrighi matrimoniali sconvolsero quella che un tempo era una pacifica nazione; infine, cinque anni dopo aver accettato l’Anello, Komul fu costretto ad abdicare al trono, in favore della fazione sostenuta dai Numenoreani, il cui esponente era suo cugino Aon. Nessuno comprese dove fosse fuggito Komul; si venne in seguito a sapere, tuttavia, che al termine di una lunga peregrinazione, raggiunse i cancelli di Barad-Dur nell’anno 2000 e ivi assunse la carica di scudiero dell’Oscuro Signore, mutando il suo nome in Khamul, secondo la lingua nera di Mordor. Il secondo fra i Nazgul rimase a Mordor fino al 3263, allorché il suo padrone fu tratto in catene a Numenor ed egli fuggì verso l’Est, nelle terre dei Chey, ove il suo influsso malefico corruppe tre grandi tribù, i cui guerrieri militarono nelle file di Mordor durante la guerra contro l’Ultima Alleanza.

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