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L’assedio di Minas Ithil (parte II). Un sogno premonitore

Continuo in questo articolo il racconto iniziato in questa sede L’assedio di Minas Ithil (parte I). Il ritorno di Sauron per narrarvi delle vicende che accompagnarono l’inizio della guerra fra Gondor e Sauron scoppiata un secolo dopo la distruzione di Numenor. Questa seconda parte si apre con un sogno premonitore, un topos, ossia un luogo comune nell’epica antica: basti pensare, ad esempio, al sogno di Agamennone, nel quale un dio gli suggerisce – ingannandolo – che il giorno seguente avrebbe colto una grande vittoria sui Troiani. Anche in questo caso la dimensione onirica avrà modo di influenzare le vicende future di Erfea e del popolo di Gondor, salvandolo, forse, dal suo annientamento…

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

«Nei giorni seguenti, si susseguirono numerosi consigli di guerra, ai quali parteciparono entrambi gli eredi di Elendil e i maggiori comandanti del regno; notizie giungevano dal Nord ed esse recavano letizia nei cuori degli Esuli, ché il nemico era in rotta ed aveva attraversato nuovamente il fiume Celudin, ritirandosi nelle remote steppe del Rhun: i saggi di Gondor non celavano la loro soddisfazione, ritenendo che il Nemico fosse stato battuto e costretto a fuggire per non far più ritorno alle terre degli Eothraim. Erfea, tuttavia, trascorreva silenti le sue giornate e il suo viso non condivideva la letizia dei consiglieri del sovrano, ma inquieto e pallido, mirava spesso le Ephel Duath, presagendo che il nemico giacesse ancora al di là degli insormontabili monti.

Lesti trascorrevano i giorni e il primo mese del nuovo anno si accingeva a terminare, allorché, una notte, il riposo del figlio di Gilnar venne turbato da una visione quale mai il sovrintendente di Gondor mirava da numerosi anni: a lungo egli si era dibattuto nella quiete della sua dimora, ché grida orribili a udirsi gli erano echeggiate nella mente; infine si era acquietato, come il marinaio che dopo la tempesta perigliosa trova riparo nel porto sicuro, ché il suo spirito si era librato oltre il Mare ed egli era giunto a Feneria, ora sommersa dalle acque. Ivi, una voce a lui cara, gli aveva sussurrato dolci parole nella mente: “Mio signore, è giunta l’ora della pugna! Impugna Sulring di Gondolin, ché colei che serve l’Oscuro Signore ha condotto le armate di Mordor presso la città di Minas Ithil ed essa cadrà, a meno che i tempi non mutino nuovamente e il volere di Eru Iluvatar non sia rivelato ai suoi figli.”

Lesto Erfea si scosse dal sonno inquieto e indossata l’armatura, cinse al suo fianco la nobile lama; recatosi nelle stalle di Osgiliath sellò Elrohir[1], il cui pelame spendeva luminoso finanche nella buia notte del novilunio, e cavalcò diretto verso la città di Isildur: penoso e solitario fu il suo viaggio e grande crebbe nel suo cuore la paura, ché temeva essere vano ogni avvertimento e atto di valore. A lungo cavalcò nella tenebra, spronando il figlio delle terre del nord affinché costui lo conducesse ove il suo animo desiderava recarsi; infine la vide, remota, eppure chiara, ergersi al di sopra dei banchi di nebbia che salivano dall’Anduin: grato fu allora il suo cuore ed egli volse, commosso, il pensiero a colei che gli aveva permesso di evitare una ignominiosa sconfitta. Stupefatte, le guardie del Cancello accorsero allorché egli diede ordine di destare dal suo sonno il sovrano: non dovette tuttavia attendere a lungo il figlio di Gilnar, ché Isildur lo ricevette nella sua dimora.

“Erfea, tarda è l’ora e l’alba è lungi dal giungere. Quale richiesta di mio fratello ti ha spinto ad abbandonare il tuo giaciglio per recarti a Minas Ithil? Una grande paura vedo impressa sul tuo volto, sebbene la notte sembri calma e il vento non abbia condotto alcuna nuova da est.”

Fosco in volto, Erfea si approssimò al grande braciere che splendeva, simile ad un fiore rosso, nel centro della notte, ché la gelida morsa di Narvinye l’aveva stretto a lungo tra i suoi artigli ed egli ne portava ancora le fresche cicatrici; parole sulle prime non pronunciò, ché erano ancora in lui stupore misto ad angoscia ed egli ignorava con quali parole avrebbe comunicato tale sventura al suo signore; infine, reputando il silenzio un male ben più grave delle paure che gli si agitavano nell’animo, parlò, ché il tempo era tiranno e insensibile alle sventure della prole di Eru Iluvatar.

“Una grande armata, comandata dal Nazgul Adunaphel[2], giunge ora dal passo di Cirith Ungol e tosto la città sarà circondata; questa notte, parole di ammonimento e saggezza hanno destato in me profonda preoccupazione e ora giungo da te perché come erede maggiore del Sovrano, prenda il comando di questa città e del regno: Sire Anarion ignora tali avvertimenti ed Osgiliath riposa, dolcemente cullata dal canto che sale dal Fiume. Minas Ithil, tuttavia, deve essere destata, ché in caso contrario i suoi ignari abitanti si recheranno alle aule di Mandos con le ferite ancora impresse sui volti e sui corpi.”

Solo il silenzio fu udito echeggiare nei vuoti e freddi corridoi della reggia, ché Isildur, profondamente turbato, parola non adoperava; infine, dopo aver a lungo sospirato, parlò a voce bassa: “Quali prove possiedi per sostenere tali parole? Può forse una visione indurci a confondere fantasia con realtà, speme con disperazione, passato con presente? Invero, Erfea, colui che chiamano il Morluin, mai il coraggio degli uomini è venuto meno a causa di simili profezie di sventura, ché esse confondono solo i cuori degli stolti e degli ignavi e mi rifiuto di credere che gli anni trascorsi nel lungo esilio abbiano corroso a tal punto la tua lungimiranza da renderti cieco e sordo dinanzi alla realtà presente”. Nulla rispose il sovrintendente di Gondor, ma sguainata la sua lama dal lucido fodero, la mostrò ad Isildur: “Se tale è il tuo pensiero, figlio di Elendil, non sarò io a dichiararlo mendace, ma la mia lama: essa infatti fu forgiata a Gondolin dai Noldor in esilio e si illumina di luce propria allorché i servi di Morgoth sono prossimi. Se dunque basi i tuoi giudizi solo su quanto i tuoi sensi percepiscono, ebbene non potrai ignorare tale avvertimento”.

Profondamente turbato, il signore di Minas Ithil abbassò l’orgoglioso sguardo a terra e, ispirato da giusta vergogna, parlò: “In nome del legame che ci vincola, ti chiedo di obliare le amare parole che hai udito pronunciare dalla mia favella: era il timore di udire una condanna a lungo temuta a parlare in me; tuttavia, essa è ora svanito, come bruma al mattino e più i nostri cuori dovranno disperare, sebbene è destino che mesi di tormenti debbano attenderci. L’ora del confronto è giunta: possa essere infausta per i servi del Nemico!”

Lesto l’erede di Elendil ordinò che i suoi scudieri fossero destati e si affettassero a rivestirlo, ché una grande collera covava ora nel suo sguardo ed egli aveva già cinto la sua lama; a lungo squillarono le campane, ché il pericolo si approssimava e più poteva essere ignorato: uomini corsero ad armarsi e grida furono udite riecheggiare nelle strade ancora avvolte dalla bruma della notte. I comandanti chiamavano i guerrieri a raccolta e le prime compagnie avevano preso posto dinanzi al Cancello; veloci reparti a cavallo furono spediti ad est e ad ovest, gli uni per comunicare tale minaccia ad Osgiliath, gli altri per scorgere le schiere del nemico. Erfea, tuttavia, non prese parte a tali preparativi, ché nel suo cuore un nuovo presagio era sorto ed egli era titubante a comunicarlo al suo sovrano; tale fu il suo comportamento che non sfuggì a Luiniell, Signora di Minas Ithil, la quale era in verità del suo lignaggio[3]: “Erfea, signore della mia schiatta e sovrintendente di Osgiliath, non vi è luce nei vostri occhi. Cosa temete dunque?”

Lenta fu allora la risposta di Erfea ed egli parlò a voce bassa, quasi temendo che orecchie indiscrete fossero occultate dalle ombre della notte: “Invero, mia signora, la presenza di un solo Nazgul potrebbero costituire minaccia sì grave da provocare tale turbamento nel mio sguardo e nella mia voce, né sarò io in grado di smentire tale affermazione; tuttavia, altri Poteri sono pronti a destarsi in tale ora oscura ed essi io temo, ché non solo Sauron servì l’Antico Nemico ed altri spiriti, ignoti alle genti libere, vagano ancora per le ampie distese desertiche della Terra di Mezzo, taluni sotto forme che gli sprovveduti troverebbero belle, altri ammantati di terrore e ombra: ricordi e presagi si agitano nel mio animo, né il fuoco della tua dimora potrebbe riscaldare il mio cuore in tale fredda ora”.

“Suvvia, Dunadan! Finanche in tale frangente, la speme non è scomparsa dal cuore degli uomini! Molte leghe i tuoi passi hanno coperto, da Osgiliath a Mordor, da Numenor all’Harad e sovente il pericolo è stato l’unico compagno durante le sofferte peregrinazioni che il tuo spirito ha dovuto affrontare; eppure, non fu forse Erfea Morluin colui che affermò esservi pericoli maggiori nella propria dimora che nelle Terre Selvagge?”

Sorrise il figlio di Gilnar, destando in Luiniell meraviglia e stupore, ché di rado il sovrintendente esprimeva in modo sì palese la sua letizia e vi erano pochi o punti motivi in quei giorni per nutrire nel proprio animo un simile sentimento; destatosi dal suo scranno, le prese allora la mano e baciatala, sorrise nuovamente: “Invero quanto affermi corrisponde a verità, che  in numerose occasioni la Morte mi è stata prossima e sempre nella mia casa”. Fece per andar via, eppure si voltò nuovamente e parlò ancora una volta: “Non credere che io abbia smarrito ogni speranza; sappi tuttavia che altrove risiede il tuo destino e che mai più farai ritorno a Minas Ithil, a meno che il Fato non muti nuovamente e ad altri sia data in sorta una grave responsabilità”. Lesto si inchinò Erfea e altre parole non trovò per salutare la sua Signora; costei, tuttavia, gli rimembrò quanto la casa di Amandil fosse grata al sovrintendente di Osgiliath, ché numerosi servigi le aveva procurato in quegli anni, fin da quando Numenor era caduta: silente, lo sguardo perso nel ricordo di eventi passati, Erfea la stette ad ascoltare, infine sospirò: “Non credere che tali eventi abbia obliato, ché io conosco essere veritiera ogni tua affermazione e tale sarebbe anche il parere di Amandil, se egli fosse qui; temo, tuttavia, che ad altri toccherà in sorte narrare tali vicende, ché molti fra coloro che ne furono protagonisti riposano ora nella calda coltre della sabbia dell’Oceano; dolce è il ricordo per chi ancora non ha obliato ed esso ha il sapore del nettare colto all’alba, tuttavia non lenisce le cicatrici di coloro che rimembrano Numenor e la sua gloria e non terrorizzerà il turpe animo dei nostri nemici.”

Lesto allora Erfea si inchinò a Luiniell e sguainata Sulring, la tenne nella destra, ché il suo baluginare potesse rischiarare le Tenebre che adesso occultavano la Città della Luna: lente trascorsero le ore della notte per chi vegliava, rapide per chi cercava riposo nella sua coltre fredda ed umida; vapori ed esalazioni si levarono da oriente, sì che il sole ne fu oltraggiato e più la sua luce illuminò gli stendardi di Gondor ed essi parvero morire nella fredda alba. Rapide, lacrime della notte scivolavano lungo i pendii delle mura e l’eco della loro malinconica melodia colmava di sgomento i cuori degli uomini ed essi non parlavano, ma tacevano, ascoltando, rapiti, i brevi singulti di qualche infante il cui sonno era stato turbato dallo stridere di armi e dall’ululare dei lupi.

Note

[1] “Cavallo della stella”: tale animale, donato dagli Eothraim ad Erfea, sebbene non avesse ricevuto la facoltà di parlare le favelle dei figli di Iluvatar, era tuttavia in grado di comprendere le lingue degli uomini e degli elfi, ché era discendente del possente destriero che Orome, il cacciatore dei Valar, aveva condotto con sé durante i suoi viaggi nella Terra di Mezzo nelle Ere che precedettero il sorgere del sole e della luna.

[2] Settimo fra i Nazgul, nota anche come l’Incantatrice.

[3] Le storie di quell’epoca non menzionano affatto quale fosse il legame di parentela tra Erfea e Luiniell; secondo alcuni storici di Gondor, ella era nipote del Principe dell’Hyarrostar per parte paterna, ma i pareri sono discordi e questa è solo una ipotesi.

Leggi anche:

L’assedio di Minas Ithil (parte I). Il ritorno di Sauron

Illustrazione – L’eroismo di Miriel

Care lettrici, cari lettori,
quest’oggi voglio presentarvi una nuova bellissima illustrazione di Anna Francesca, che rappresenta uno dei momenti forse più drammatici dei racconti de «Il Ciclo del Marinaio»: Erfea, battuto in duello da Eargon – uno dei capi della fazione di Numenoreani Neri che vuole prendere il potere sull’isola del Dono – e ormai prossimo ad essere ucciso, viene salvato dal coraggio di Miriel, che si frappone tra lui e il suo carnefice.
Per coloro che volessero leggere (o rileggere) integralmente la scena, suggerisco di cliccare su questo link: L’Infame Giuramento_VIII Parte (Il colpo di Stato di Eargon)

Per tutti gli altri, lascio qui una descrizione sintetica a corredo di questa bellissima illustrazione.

«Non so dire quanto tempo trascorse; infine, a causa della spossatezza che la ferita procurava alle mie carni, Eargon riuscì, con un abile colpo a disarmarmi; allora la rabbia si impadronì della sua mente ed egli perse totalmente ogni barlume di ragione, gridando oscure parole, incomprensibili ai più; alta levò la lama e funesto sarebbe stato il mio destino se Tar-Miriel, pallida nel volto, ma ferma nella sua volontà, non gli si fosse parata dinanzi, pronunciando parole di sfida:
“Tocca quest’Uomo e la tua lama dovrà macchiarsi di un doppio crimine!”; sì bella appariva la sovrana di Numenor, nonostante la ferita sul capo ottenebrasse la calda luce dei suoi capelli, che finanche il Numenoreano Nero arrestò la sua lama, colto dal dubbio e dal rimorso».

Eargon_Erfea_Miriel

L’assedio di Minas Ithil (parte I). Il ritorno di Sauron

Care lettrici, cari lettori, in questo articolo riprendo la narrazione dei racconti del Ciclo del Marinaio, che negli ultimi mesi sono stati un po’ tralasciati per fare spazio ad altri progetti figurativi. La serie di articoli che mi accingo a scrivere nelle prossime settimane riguarderà i primi eventi bellici che interessarono Gondor e Mordor circa un secolo dopo la Caduta di Numenor.
Non vi nasconderò che questi eventi costituirono per me una vera e propria sfida: dovetti superare il classico «blocco dello scrittore» per andare avanti nella trattazione della vita di Erfea, perché non riuscivo a capire come riprendere i fili della vita di un Uomo distrutto spiritualmente dalla morte di Miriel, la principessa numenoreana della quale era innamorato e dalla scomparsa di Elwen, la mezzelfa di Edhellond, della quale si erano perse le tracce. Impiegai qualche tempo per ritrovare il filo della matassa e decisi così da ripartire da un nuovo ruolo per Erfea, quello di Sovrintendente del nuovo regno di Arnor e Gondor – perché, ricordiamolo, fintantoché fu vivo Elendil, queste regioni erano considerate parte di un unico organismo statale – che ha in qualche modo ritrovato la forza di andare avanti perché preoccupato dal ritorno di Sauron.
Su questo argomento vorrei qui spendere qualche parola: per quanto possa sembrare strano, Numenoreani ed Elfi – salvo qualche rara eccezione, come vedremo – erano convinti che l’unico vantaggio derivato dalla distruzione di Numenore fosse stata quella del suo peggiore nemico, l’Oscuro Signore di Mordor. Gli eventi, tuttavia, presero una piega diversa: il corpo di Sauron era stato effettivamente distrutto durante la Caduta ed egli era ritornato sulle ali di un vento malvagio alla Terra di Mezzo, laddove, grazie ai poteri dell’Unico, aveva recuperato la sua forma fisica, seppure orribile a vedersi. Certo, aveva perso la capacità di assumere un aspetto bello a vedersi (Tolkien utilizza il termine «storpiato», riferendosi alla sua condizione dopo la Caduta), tuttavia, a dispetto delle speranze di tutti, era sopravvissuto. Ed era ansioso di ottenere vendetta sui suoi nemici: i Duneadain sopravvissuti alla Caduta e gli Elfi di Gil-Galad…

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«Centodieci anni erano trascorsi dalla caduta di Ar-Pharazon e dall’inabissamento di Numenor nei profondi flutti del Belagaer, allorché una nuova minaccia sorse per tutto l’Occidente ed essa mieté numerose vite, implacabile come il crudele vento del Nord che soffia gelido nei mesi di Hrive[1]. Gemiti e lamenti si levarono tosto nelle contrade di Endor, ché molti temevano l’oscura terra che si estendeva oltre gli Ephel Duath, le Montagne dell’Ombra: ivi, nella Terra Oscura, dimorava Sauron l’Aborrito, Signore degli Anelli e corruttore del cuore dei Secondogeniti.
A lungo i Saggi avevano creduto che il suo spirito giacesse ove il sembiante di costui era stato umiliato, allorché egli era stato scagliato nell’Abisso, ed erano soliti predicare che finanche il Maia corrotto avesse trovato la morte in tale sciagura. “No – tali erano le parole che costoro avevano ispirato in Elendil l’Alto, sovrano di Gondor e Arnor – nessuno sarebbe potuto sopravvivere all’ira di Eru Iluvatar ed ora il trono dell’Oscuro Signore giace negli abissi profondi, corroso dalla salsedine e dalla furia di Ulmo”; tuttavia non tutti fra i consiglieri del re erano dello stesso partito, ché ve n’era uno, il cui pensiero discordava da costoro e temeva la nequizia di Sauron. Erfea era il suo nome, ultimo signore di Minas Laure ora sommersa dai flutti, colui che chiamavano il Morluin perché in gioventù aveva abbattuto un drago di tal nome: bello era il suo portamento e nobile ogni suo atto, ché Manwe e Varda vegliavano su di lui ed egli era caro a Tulkas, il Paladino dei Valar; mai Erfea aveva dismesso la sorveglianza degli Ephel Duath, ché temeva nel suo cuore la minaccia di Mordor e sapeva che l’Ombra dei Nazgul non era scomparsa dalla Terra.
Silenti erano i giorni, né voce alcuna giungeva da oriente, tuttavia Erfea vagava inquieto, abbandonando sovente Osgiliath, di cui pure era stato nominato sovrintendente, per esplorare contrade selvagge ed ignote ai più; infine una notte di Narvinye[2], un messaggero a cavallo chiamò a gran voce i Signori di Gondor al cancello orientale di Osgiliath: tosto egli venne ricevuto e nuova inquietudine crebbe nel cuore di Erfea, ché l’ora era tarda e gravida di sventure. Lesto lo straniero si inchinò dinanzi ad Anarion, infine prese la parola: “Graziosissimo signore degli uomini, il mio nome è Aldor Roc-Thalion, signore degli Eotrahim, e giungo da voi latore, mio malgrado, di morte e distruzione, ché l’Ombra si è destata a levante ed ora leva la sua mano corruttrice fino alle terre della mia gente, nel Rhovanion”.
Grave scese il silenzio dopo che furono udite tali parole, ché il sovrano si avvide che nella sala le paure del suo sovrintendente si erano tramutate in realtà; infine egli invitò il suo ospite a disquisire sui motivi che l’avevano spinto così lontano dalla sua dimora, desideroso di apprendere cosa fosse accaduto e il messaggero, sebbene portasse in volto impressi i segni di una recente fatica, non fu parco di parole: “Due settimane sono trascorse dacché l’Ombra è scesa su di noi, disonorando le terre dei nostri padri e inaridendo la nostra letizia! Eravamo nei nostri accampamenti posti sulla riva occidentale del Celudin[3], allorché le vedette di guardia ci riferirono di aver scorto un’immensa moltitudine di carri marciare a poco meno di tre miglia da noi; lesti i nostri Thaeng[4] ordinarono che fosse allestita una spedizione per verificare quali intenzioni avessero tali uomini.
Molte ore trascorremmo nell’attesa gelida che ognuno portava nel suo cuore, invano lenita dai grandi bracieri che splendevano nella notte: al sorgere del sole, un uomo tornò all’accampamento; lesti i miei signori gli andarono incontro, ma la sorpresa che essi provarono in tale frangente non fu inferiore all’orrore che ne incupì i volti. La vita aveva infatti abbandonato il corpo mutilato del cavaliere e la sua testa era stata orrendamente sfigurata con il marchio della Lancia Nera in campo giallo: la rabbia si impadronì dei nostri animi, allorché scorgemmo tale marchio, perché esso era opera dei Logath[5] e degli Asdragh[6], antichi nemici del nostro popolo; eppure esso non era il solo infame marchio che deturpava il volto dell’uomo. Vi era infatti un simbolo quale nessuno fra noi aveva scorto fino a quel momento: un occhio rosso circondato da lingue di ghiaccio. A lungo ponderammo su quale significato potesse avere per noi tale disegno: giunse il mattino ed esso non portò consiglio, bensì la morte; udimmo infatti un lungo stridio e i nostri cuori furono avvolti dalla gelida morsa della paura, ché nessun animale della steppa e nessun uccello del cielo emette versi simili, impregnati di oscurità. Rapido giunse allora in risposta il suono di molti olifanti e vedemmo piombare sui nostri accampamenti migliaia di carri; lesti i nostri guerrieri corsero ad armarsi, eppure ogni resistenza fu vana, ché la confusione regnava nelle nostre menti e il terrore pareva dilagare ovunque: io fui uno degli ultimi ad abbandonare i nostri campi prima di rifugiarci ad est, ove il mio popolo ancora si oppone all’invasore”. S’interruppe per un attimo, infine parlò nuovamente, ma una profonda angoscia era scesa sul suo volto e le sue parole parvero echeggiare da antri oscuri: “Fu allora che lo vidi: innanzi a me vi era un essere simile in apparenza ad un uomo, eppure differente! Un re sembrava essere, ché una corona forgiata nell’acciaio ne adornava il capo, mentre un mantello regale gli scendeva lungo le spalle; tuttavia le luci delle capanne in fiamme non illuminavano alcun viso ed egli sembrava farsi beffa delle frecce che i nostri arcieri inutilmente scagliavano contro di lui: una grande tenebra lo accompagnava e la sua stessa gente fuggiva dinnanzi al suo cospetto. Mai i cavalieri Eothraim avevano veduto una potenza simile all’opera: buia fu la notte, eppure il giorno non recò sollievo nei nostri cuori, ché le armate del nemico incalzavano la nostra ritirata, impedendoci ogni fuga verso sud; numerosi Orchi si erano aggiunti agli Asdragh e agli altri popoli dell’Est ed essi conducevano un grande stendardo innanzi a loro, adornato da un marchio simile a quello che aveva deturpato le spoglie dell’esploratore.
Molte leghe percorse il mio popolo e alfine giunse nei pressi di un lago, nelle cui acque cristalline si specchiava una roccia imponente: qui l’avanguardia del nemico fu costretta ad arretrare ed essi si ritirarono verso Sud, ove riorganizzarono le loro file e si spartirono il bottino accumulato nei giorni precedenti. Io fui inviato presso le genti di Gondor, perché corre voce qui viva un possente capitano, il cui nome è noto presso il mio popolo: Erfea Morluin è chiamato e grato sarebbe il mio cuore se le fatiche del mio viaggio fossero alleviate dalla sua presenza in tale consesso”.

“La tua cerca è giunta al termine, cavaliere del Rhovanion! Io sono Erfea Morluin, figlio di Gilnar di Numenor, sovrintendente di Gondor e a te dico di non crucciarti, ché nessuna delle armi forgiate nelle vostre fucine è in grado di ferire Hoarmurath di Dìr[7], sesto in possanza fra coloro che servirono in vita l’Oscuro Signore di Mordor ed ora perseverano nella schiavitù che contrassero con costui allorché accettarono, bramosi dell’immortalità, gli Anelli del Potere degli uomini”. Indi Erfea si levò dallo scranno e i suoi capelli, ancora neri, sebbene egli fosse ormai anziano, furono illuminati dalle luci della sala: “Codesto atto infame d’aggressione è un monito per tutti i popoli liberi di Endor. Sauron, l’Oscuro Signore di Mordor è tornato e reclama il suo dominio perduto”. Gravi divennero i visi dei presenti, tuttavia solo Anarion espresse apertamente il suo parere: “Se quanto tu affermi corrisponde al vero, Erfea Morluin, perché il signore di Mordor esita ancora nell’attaccare i nostri possedimenti? Forte è l’odio che egli nutre per noi, ché se davvero il suo nero spirito è tornato sulle ali di un vento malefico, ebbene, le sue spie gli avranno riferito che non tutte le genti di Numenor perirono nella Caduta e che i Fedeli perdurarono alla sciagura che colpì tempo addietro l’Isola del Dono”. Perplessi e inquieti, i consiglieri del sovrano osservarono Erfea e nei loro occhi palesava il dubbio; lesto tuttavia il sovrintendente rispose: “Mio signore, Sauron non è uno sciocco; gli Eothraim sono stati per le sue armate niente altro che una prova per verificare il loro stato di preparazione e l’efficienza dei propri comandanti; tuttavia, non tarderà a lungo l’attacco al nostro regno, ché forte è nell’animo dell’Oscuro Sire il desiderio di vendetta ed egli non ha obliato né il vostro nome, né quello della vostra stirpe”.
Anarion sospirò, infine, levatosi anch’egli dal proprio scranno, si approssimò al suo comandante: “Cosa vuoi che faccia? – gli sussurrò a voce bassa, ché grande era scesa nel suo cuore la paura ed egli nutriva fiducia nel giudizio di Erfea – non vi sono uomini a sufficienza per sorvegliare l’intero confine di Mordor e il pericolo potrebbe giungere dai regni a meridione dell’Anduin come da quelli posti sulla sua riva orientale”. Tetro in volto, così Erfea rispose al suo sovrano: “Mio sire, convoca Isildur a Osgiliath, perché pesante grava sul mio cuore una minaccia”.
Silenzioso stette Anarion per qualche istante, infine congedò l’ambasciatore degli Eothraim con queste parole: “Le storie tramandateci dai nostri padri narrano che la gente di Haladin non proseguì il suo viaggio verso Occidente, ma che preferì stabilirsi nei territori che il vostro popolo ha difeso sì strenuamente; siamo dunque fratelli e il nostro aiuto non verrà meno in questa ora del bisogno. Invieremo un corpo di cavalleria a Nord: temo tuttavia che altrove risieda una minaccia ancor più grave e che le difese di Gondor non possano essere private di troppi uomini”.
Grato chinò il capo l’ambasciatore, infine parlò: “Sia fatta la volontà dei Signori della Terra del Sud; possano i rinforzi non tardare a lungo, ché la mano del Nemico si protende su contrade sulle quali mai era calata la Tenebra”».

Note

[1] “Inverno” nella favella degli elfi Noldor

[2] “Gennaio” nella favella degli Elfi Noldor

[3] Questo fiume scorre a ponente dei Colli Ferrosi e sfocia nel mare interno di Rhun

[4] I “Thaeng” erano i capitani delle tribù che costituivano la federazione degli Eothraim; ogni dieci anni, essi eleggevano un uomo fra loro che avrebbe dovuto rappresentarli innanzi agli altri popoli della Terra di Mezzo e a costui veniva dato il titolo di “Alto Thaeng”: durante gli anni che opposero gli Alleati alle armate di Mordor, tale incarico fu ricoperto da Aldor Roc-Thalion.

[5] I Logath erano una confederazione di popoli dell’estremo Est, servi di Sauron e discendenti degli Orientali che avevano militato nelle schiere di Morgoth durante la Prima Era; le storie di quell’epoca narrano che essi fossero prevalentemente cacciatori e domatori di bestie, ché le loro terre erano incolte e perennemente battute dal vento. Nel terzo millennio della Seconda Era, subirono l’influenza dei Signori della Guerra Hoarmurath e Khamul e costituirono le avanguardie degli eserciti di Mordor fino alla distruzione di Barad-Dur.

[6] Sotto tale nome erano comprese numerose tribù stanziate presso le coste orientali del Rhun; feroci e rudi d’aspetto, costoro praticavano l’agricoltura, seppure in forma rudimentale e veneravano i Demoni della Natura e le rappresentazioni degli Antenati; superstiziosi e bellicosi, essi militarono nelle schiere di Sauron per tutto il corso della Seconda Era.

[7] Sesto fra i Nazgul; si veda Hoarmurath di Dir, il Re del Ghiaccio, il Sesto.

Gli anni dell’assedio di Gondor. Una cronologia

E finalmente vennero gli anni dell’Assedio di Gondor! In questo articolo troverete una dettagliata cronologia degli eventi che condussero le Armate di Mordor a minacciare – e in alcuni casi a conquistare – non solo il Regno di Gondor, ma anche altri territori che si opponevano alla tirannia di Sauron e dei suoi alleati. L’ispirazione mi è stata suggerita dalle pagine che Tolkien, con cura certosina, dedicò alla descrizione degli eventi che si succedettero nei mesi degli anni 3018 e del 3019 della Terza Era.

Prima di lasciavi alla lettura di questo articolo, voglio fare una premessa doverosa: molti degli eventi descritti sommariamente – come prevede, del resto, la forma letteraria di una cronologia – potrebbero costituire ottimi spunti per tanti racconti inediti che, tuttavia, per il momento sono destinati a restare pensieri e non ancora parole su carta…vedremo cosa riserverà il futuro, per il momento non mi resta che augurarvi buona lettura e restare in attesa dei vostri commenti!

Anno 3429 della Seconda Era

4 Gennaio: Sauron ordina al nazgul Hoarmurath di attaccare gli Eothraim, cavalieri del Rhovanion.

14 Gennaio: gli Eothraim sono sconfitti sul fiume Celudin ad opera dei Carrieri e dalle armate di uomini ed orchi di Hoarmurath.

1 Febbraio: Sauron ordina al nazgul Adunaphel di attaccare la città di Minas Ithil.

13 Febbraio: Erfea convince Isildur – nel frattempo rifugiatosi a Osgiliath con la sua famiglia – ad abbandonare la città ormai in fiamme e di trovare rifugio a Nord, per avvisare Elendil del pericolo che incombe sui Popoli Liberi; durante la notte, a bordo di un piccolo vascello, Isildur abbandona la città.

18 Febbraio: Anarion decide di evacuare la città di Minas Ithil, per evitare di essere preso alle spalle dalle truppe che potrebbero giungere da Nord; lo stesso giorno, Sauron  ordina ai nazgul Akhorahil e Indur di attaccare con le loro flotte Pelargir.

27 Febbraio: Gli orchi di Adunaphel espugnano la città di Minas Ithil e bruciano l’Albero Bianco; duemila soldati di Gondor si sacrificano per ritardare la loro avanzata. Anarion, colpito da un orco alla testa, resta in coma per alcuni mesi, impossibilitato ad agire; Erfea, in qualità di Sovrintendente del reame, assume il comando delle armate di Gondor.

7 Marzo: Le postazioni dei Dunedain nell’Ithilien cadono nelle mani del nemico o sono abbandonate.

28 Marzo: Sauron ordina al nazgul Dwar di attaccare le genti di Lorien e gli uomini del Bosco Verde il Grande.

6 Aprile: Gli elfi di Lorien e gli uomini dei boschi ottengono una vittoria sulle legioni di Dwar ed esse vengono respinte oltre il Guado di Carrock.

20 Aprile: Sessantamila orchi di Adunaphel giungono dinanzi alle mura di Osgiliath e iniziano l’assedio.

4 Maggio: Le forze di Adunaphel sono messe in fuga e si ritirano nella fortezza di Minas Ithil.

18 Maggio: Pelargir è incendiata, ma le flotte degli elfi di Edhellond e di Gondor distruggono le navi di Umbar.

26 Maggio: Isildur giunge a Mithlond ed avverte Gil-Galad del pericolo che corre il Regno del Sud.

31 Maggio: Erfea si incammina lungo il sentiero che conduce a Nord e ad Angrenost (Isengard) viene riunito un consiglio di tutti i rappresentanti dei Popoli Liberi della Terra di Mezzo per decidere quale strategia adottare contro le genti di Mordor.

3 Giugno: Erfea giunge ad Angrenost, ove ritrova i Signori degli Eldar, Bòr, suo figlio Groin e Aldor Roc-Thalion, signore dei cavalli del Rhovanion.

10 Giugno: Fine del concilio e nascita dell’Alleanza tra Uomini, Elfi e Nani per distruggere la minaccia di Sauron.

Luglio-Agosto-Settembre: Si succedono scontri di piccola entità nel Rhovanion e nell’Ithilien, senza tuttavia che il confine tra Gondor e Mordor subisca mutamenti di rilievo.

7 Ottobre: Sauron ordina ai Nazgul Ren e a Uvatha di attraversare il confine tra Gondor e l’Harad; essi sono tuttavia fermati dai discendenti di Bòr l’orientale e devono arretrare.

20 Ottobre: Mentre i sovrani dei Popoli Liberi iniziano a radunare le proprie armate, Ar-Thoron, Signore delle aquile di Manwe, comunica ad Erfea che il Re di Morgul è intento a radunare un immenso esercito nella città di Minas Ithil.

Anno 3430 della Seconda Era

2 Marzo: Sauron rinnova i suoi attacchi ad ovest, a sud e a nord: i superstiti del Rhovanion e del popolo di Bòr trovano rifugio entro i confini del regno di Gondor.

18 Marzo: Erfea, temendo la minaccia di Mordor, invia Ar-Thoron, Re delle Grandi Aquile, presso i suoi alleati, affinché rechino ad Osgiliath rinforzi.

30 Marzo: Le prime forze dell’Allenza giungono ad Osgiliath: esse sono rappresentati dai guerrieri di Edhellond, sotto il comando di Edheldin.

14 Aprile: Le superstiti genti del Rhovanion e dei Boschi, condotte da Aldor Roc-Thalion, prestano soccorso alla città dei Re.

16 Aprile: Le schiere degli eredi di Bor prestano giuramento al Sovrintendente di Gondor.

17 Aprile: I nani della stirpe di Bòr e Groin offrono i loro servigi al capitano di Osgiliath.

20 Aprile: La cavalleria di Imladris, comandata da Glorfindel, raggiunge la città dei Dunedain.

23 Aprile: Le donne guerriere del Rast Vorn, discendenti delle Amazzoni del popolo di Haleth, comandate da Ariel l’Impavida, giungono al cancello di Osgiliath.

1 Maggio: Attraverso il Palantir, Isildur ordina ad Erfea di chiamare le genti dei Monti Bianche, ma esse tradiscono l’alleanza con Gondor e l’erede di Elendil le maledice.

12 Maggio: Il Monte Fato emette una quantità di polveri e di ceneri tale che il cielo sopra Osgiliath ne viene oscurato.

19 Maggio: Il Capitano Nero conduce il suo esercito, forte di centomila creature delle tenebre e di cinquantamila uomini in direzione di Osgiliath, mentre Sauron ordina a Khamul di condurre, attraverso il Cancello Nero, l’Armata di Nurn alla capitale di Gondor.

27 Maggio: Il Signore dei Nazgul arresta il suo enorme esercito sulla riva destra dell’Anduin; la fortezza di Cair Andros è rasa al suolo dalle armate di Khamul e l’isola è occupata dalle schiere di Mordor.

3 Giugno: I Nazgul riuniscono le loro schiere dinanzi alle mura di Osgiliath: la città è circondata da duecentomila nemici e può contare solo su meno di un quarto di soldati per contrastare la loro azione.

4 Giugno: Inizia l’assedio di Osgiliath; Erfea decide di evacuare la popolazione civile e ordina che sia condotta nella fortezza di Minas Anor, mentre le sue schiere e quelle degli alleati difendono il Fiume, le mura e il fossato.

22 Agosto: Dopo mesi d’assedio, un terzo dei difensori è morto e meno della metà dei superstiti è ancora in grado di brandire un’arma.

28 Agosto: I Nazgul ricevono l’ordine da parte di Sauron di far avanzare tutte le linee; i troll di caverna conducono dinanzi alla città le possenti macchine d’assedio necessarie per distruggere il cancello.

1 Settembre: La Grande Alluvione: le macchine di Mordor si impantano nel fango e le schiere del Signore degli Anelli sono costrette a ritirarsi.

Anno 3431 della Seconda Era

26 Marzo: Le forze di Elendil composte da quindicimila soldati, si incontrano con quelle di Gil-Galad, forti di ventimila unità, sul colle di Amon Sul e si dirigono verso Imaldris.

31 Marzo: Il Re degli Stregoni convoca i grandi draghi di Morgoth, affinché lo aiutino ad abbattere il possente muro di laen bianco che difende la città.

4 Aprile: Riprende l’assedio ad Osgiliath: le grandi macchine d’assedio vengono fatte avanzare fino al fossato, ove iniziano a crivellare di colpi la città.

14 Aprile: Molti edifici di Osgiliath sono in fiamme; Erfea, nonostante le insistenze di Glorfindel ed Aldor, non ordina a diecimila cavalieri di prendere alle spalle il nemico per distruggerne i trabucchi e gli arieti, dal momento che il guado di Cair Andros è in mano alle armate di Khamul.

21 Aprile: Tre possenti draghi alati appaiono dinanzi alle mura di Osgiliath: grande atto eroico di Ariel, che sacrifica la propria vita per distruggere Ando-Anca, il più potente tra i Vermi Alati; il suo enorme corpo, precipitando in basso, distrugge le macchine d’assedio forgiate a Mordor; l’esercito nemico, atterrito, si dà alla fuga e l’assedio subisce una pausa.

1 Maggio: Sauron viene a conoscenza dei piani dell’Alleanza, e temendo un attacco al Cancello di Mordor da parte delle armate di Elendil e Gil-Galad, ordina al Re Stregone di inviare a nord alcuni reparti di Mumakil, Sudroni, Carrieri e Haradrim, convinto ormai che l’assedio a Gondor sia prossimo a concludersi.

5 Maggio: Il Capitano Nero ordina alle truppe di stanza a Cair Andros di evacuare l’isola per sostenere l’attacco a Osgiliath.

9 Maggio: Alle due del mattino il grande drago del ghiaccio Bairanax apre una breccia nelle mura di Osgiliath, mentre il soffio gelido di Angurth crea una spessa coltre di ghiaccio nel fossato, permettendo alle truppe di Mordor di entrare in città. Nel disperato tentativo di evitare la sconfitta ormai imminente, Erfea affronta a singola tenzone il Signore dei Nazgul e lo sconfigge. Il sovrintendente di Gondor affida il comando della città ai suoi alleati, e venuto a conoscenza che il guado di Cair Andros è scoperto, attraversa il fiume e conduce la cavalleria alle spalle del nemico.

10 Maggio: Mentre Osgiliath orientale è occupata, Aldor, Glorfindel e Bòr difendono il ponte che conduce ai quartieri occidentali e a Minas Anor.

11 Maggio: Aldor uccide Bairanax e gli orchi fuggono innanzi a lui. Alle sei del mattino, l’olifante di Erfea echeggia per le pianure dell’Ithilien e l’esercito di Mordor è colto di sorpresa; Anarion, tornato cosciente, guida i fanti di Gondor contro le legioni del Nemico: i soldati del Regno del Sud, galvanizzati dall’improvvisa apparizione del loro sovrano sconfiggono l’esercito di Mordor.

15 Maggio: Il nemico è in rotta e si rintana tra le mura di Minas Ithil.

20 Giugno: Tutto l’Ithilien viene liberato dalla lordura dei servi di Mordor.

31 Agosto: Ha inizio l’assedio di Minas Ithil condotto dalle forze dell’Alleanza.

26 Settembre: Per mezzo delle macchine d’assedio progettate da Groin, la città della luna è presa.

OttobreDicembre: Si susseguono scontri nella provincia del Calhenardon fra le forze di Dwar e quelle di Anarion, le quali alla fine trionfano.

Anno 3432 della Seconda Era

Gennaio: Agenti di Gondor informano Erfea che Sauron durante l’inverno ha radunato nuove truppe a Mordor e temono perciò che sia imminente un nuovo assedio alla città di Osgiliath. Sauron ordina agli orchi di Gundaband di attaccare Khazad-Dum.

17 Gennaio: Le truppe degli orchi subiscono una grave sconfitta nei pressi del Mirolago e si disperdono; alcuni guerrieri trovano rifugio nelle caverne nei Monti Nebbiosi e ivi si rintanano in attese che giungano nuovi ordini da parte di Sauron.

Marzo: Le forze dell’Alleanza attraversano l’Alto Passo ed entrano nel Rhovanion, ove attendono le armate dei Nani di Khazad-Dum, degli elfi di Lorien e di Bosco Verde il Grande.

4 Aprile: Khamul e Dwar attaccano Gil-Galad ed Elendil, ma essi sono presi alla retroguardia dagli eserciti di Lorien e vengono sconfitti.

15 Aprile: Ar-Thoron comunica ad Erfea che una nuova razza di orchi è stata avvistata compiere delle scorrerie: sono gli Orchi Neri di Modor.

24 Aprile: Sauron tenta di impadronirsi nuovamente di Cair Andros, ma le truppe di Dwar sono respinte.

1 Maggio: Le forze dell’Alleanza raggiungono il Calhenardon ove soggiorneranno per i successivi sei mesi.

28 Maggio: Una grossa avanguardia di Orchi Neri attacca Minas Ithil, ma sono trucidati dai soldati di Gondor.

6 Giugno: Sauron ordina ad Hoarmurath, Uvatha e Ren di condurre i Carrieri e gli Esterling alla riva sinistra dell’Anduin per attaccare sul fianco le forze dell’Alleanza.

22 Giugno: Le schiere dell’Ovest sono sbaragliate, ma esse si rifugiano nella fortezza di Angrenost, ove gli uomini di Sauron, privi di macchine d’assedio, non possono raggiungerli.

21 Luglio: Adunaphel, Akhorahil ed Indur muovono dal sud con ingenti forze e si dirigono verso Osgiliath; ad esse si aggiungono diecimila Orchi Neri provenienti da Mordor.

1 Agosto: La città di Osgiliath è nuovamente circondata: Erfea e Glorfindel spediscono messaggeri ad Elendil e a Gil-Galad, affinché inviino rinforzi consistenti.

23 Agosto: Gli Ent di Fangorn giungono nell’Ithilien e distruggono le armate degli orchi.

28 Agosto: La Notte delle Termiti: entrate negli accampamenti dei Carrieri, distruggono gli archi e i finimenti dei cavalli: l’armata di Hormurath è in rotta.

1 Settembre: I Nazgul si ritirano da Osgiliath.

7 Settembre: Agli eserciti dell’Alleanza si uniscono anche i nani delle stirpi di Belegost e di Ruurik.

12 Settembre: Le avanguardie delle forze di Gil-Galad ed Elendil giungono a Minas Anor.

3 Ottobre: I fanti dell’Alleanza giungono al cancello occidentale di Osgiliath.

8 Ottobre: Il Capitano Nero prende il comando delle forze del Signore degli Anelli innanzi al Cancello Nero.

Novembre 3432Febbraio 3434: Mesi di inattività, in cui entrambi gli schieramenti addestrano nuovi soldati all’interno delle proprie roccaforti.

Anno 3434 della Seconda Era

3 Marzo: Le schiere dell’Alleanza, forti di centomila unità, affrontano nella piana della Dagorlad, dinanzi al Cancello Nero, 400.000 guerrieri di Mordor.

La caduta di Numenor

Questo brano chiude, idealmente, la tragedia che ho trascritto negli interventi precedenti. Non si tratta di un testo inedito; al contrario, esso era stato già presentato in questo articolo: Erfea dinanzi alle porte di Khazad-Dum, perdendo, tuttavia, la sua drammaticità, a causa della sua collocazione all’interno di una storia che si svolgeva in un contesto molto differente, ossia negli antri profondi di Khazad-Dum. Per questa ragione, prima di riprendere la trattazione dell’assedio di Gondor – che, a ben vedere, non costituisce altro che il prossimo tassello della Storia della Terra di Mezzo nel corso della Seconda Era – ho deciso di riproporre questo brano. Mi piacerebbe, in un futuro spero non troppo lontano, presentare un’illustrazione inedita nella quale, in una sorta di collegamento telepatico fra Erfea e la sua amata e mai troppo rimpianta Miriel, il principe di Numenor possa condividere con lei lo sgomento e la tristezza di chi si accingeva a pagare in prima persona e a carissimo prezzo la scelleratezza dei suoi atti.

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

«Poche miglia avevano percorso i compagni, allorché il mondo fu mutato, ché Manwe Sulimo revocò il suo volere dal mondo e Eru Iluvatar scagliò nell’Abisso l’isola di Numenor con i suoi forzieri traboccanti di gioielli. Come è narrato altrove, nessuno, ad eccezione di coloro che veneravano gli Ainu o di coloro che erano fuggiti altrove anzitempo, fu salvato dal cataclisma e lo stesso Sauron, il cui potere vantava essere superiore a quello di Manwe, fu scagliato nel profondo dell’Oceano. Un greve silenzio cadde sui nebbiosi colli degli Emyl Gortayd[1], disturbato solo dal profondo eco di una collera impetuosa; pochi sono i racconti sopravvissuti alla caduta di Numenor, eppure nessuno scritto potrebbe rendere lo sbigottimento e l’angoscia che presero gli esseri della Terra di Mezzo: finanche le feroci belve delle remote giungle del sud si rintanarono nelle loro tane inaccessibili, desiderose di sfuggire la violenza della collera di Eru Iluvatar. È stato detto che perfino i servi di Sauron, acquietati nelle tetre fortificazioni di Mordor abbiano volto lo sguardo l’un l’altro, in preda a grande paura e sgomento; finanche i servi degli Anelli, gli Ulairi, la cui perfidia e malizia erano note presso tutte le genti della Terra di Mezzo, paventarono che fosse giunta sulle ali della tempesta la collera dei signori del Vespro, ed ebbero tema del giudizio dei Vala, fuggendo in luoghi oscuri e privi di speranza.

Una Tenebra senza nome ricoprì l’intero creato, né gli astri del cielo furono visibili, finanche agli acuti sguardi degli Eldar, finché essa non scomparve; grave divenne allora il peso del dolore sui cuori degli orgogliosi numenoreani ed essi compresero alfine quanto la follia del loro signore avesse condotto i loro destini alla follia: eppure, nessuno di loro scampò al giusto castigo, ché trovarono la morte ad attenderli in qualunque pertugio essi si rifugiassero per sfuggire l’ira di Iluvatar. Turbati in volto, i nani esitarono e più non proseguirono, osservando sgomenti quanto accadeva intorno a loro: tetre divennero allora le loro espressioni ed essi non parlavano né osavano respirare, temendo di disturbare la collera del possente Iluvatar. Presto tuttavia gli uccelli presero nuovamente a cantare nelle fronde delle selve e l’aria non fu più satura dell’ira dell’Uno; allora essi sospirarono e volsero il proprio sguardo al Dunadan: egli sedeva su una roccia che il tempo aveva reso simile ad un enorme scranno, e, silente, non pronunciava parola. Perso e vuoto era il suo sguardo, eppure lacrime amare non turbavano il suo viso, ché sebbene fosse grande il suo dolore, nel suo cuore Numenor era svanita anni prima ed essa non era più la sua terra.

Trascorsi alcuni istanti in profonda meditazione, egli si levò dallo scranno, e lasciato cadere il prezioso elmo, rivolse le labbra ad occaso, pronunciando tristi parole di commiato: “Miriel, Tye-mela[2]”; sebbene i nani avessero ascoltato ogni parola, solo Naug Thalion comprese quale doloroso significato esse esprimessero e chinò lo sguardo a terra, colmo di dolore. Lungo tempo trascorse in doloroso silenzio, infine Erfea parlò nuovamente, ché egli aveva compreso quanto era accaduto e non temeva doverlo rivelare ai suoi compagni: “Una nuova era del mondo è prossima ad iniziare, ché Endor è mutata e più sarà visibile Aman agli occhi dei mortali.” Stupefatti allora i nani gli strinsero attorno, ponendogli numerose domande, ma il Dunadan non seppe placare tutti i loro dubbi “ché – si giustificò – non è il mio animo la fonte che ispira tali parole” ed altro non volle aggiungere».

Note

[1] Tale regione collinare, nota anche come la Terra dei Tumuli, si estendeva ad ovest della città di Brea: durante la Prima Era del mondo, numerosi Edain provenienti dall’estremo oriente, avevano eretto numerose costruzioni e fortificazioni sui suoi colli ed ivi avevano riposo i gloriosi corpi dei guerrieri periti durante la Battaglia dell’Ira.

[2] “Miriel, ti amo” nella favella degli Eldar.

 

Ritratti – Ar-Pharazon il Dorato

Care lettrici, cari lettori,

quest’oggi vi presento una nuova illustrazione della bravissima Anna Francesca che raffigura l’ultimo re di Numenor, Ar-Pharazon il Dorato.

Mi piace accompagnare questo ritratto con le parole che segnarono l’inizio della sua ascesa al trono, come ho avuto modo di narrare ne «Il Racconto dell’Ombra e della Spada».

Aspetto i vostri commenti, al prossimo articolo!

«Nessuno oserà opporsi alla nostra ascesa al trono, dici? Suppongo che tu intenda affermare che tutti siano così sciocchi da aver dimenticato che un solo signore fra noi siederà sul marmoreo scranno del palazzo reale di Armenelos; e a meno che un morbo improvviso mi privi della capacità di intelletto, intendo proclamare per me tale diritto».

«L’Ombra e la Spada».

Ar-pharazon

Ritratti – Celebrian

Quest’oggi voglio presentarvi il ritratto – opera della formidabile Anna Francesca – di una delle più belle dame elfiche, Celebrian, figlia di Galadriel e Celeborn, moglie di Elrond e madre dei gemelli Elrohir ed Elladan, nonché di Arwen dama del Vespro. Nel corso della Seconda Era strinse una forte amicizia con Erfea che durò sino alla morte del principe numenoreano.

Mi piace ricordarla con questo brano, che ben ne tratteggia la bellezza e la grazia.

«Vellutato era il passo della dama ed ella calzava morbidi stivali di bianca pelle; allorché, intimoriti da tale bellezza, le alte guardie, eredi della maestà dei figli degli uomini, osavano levare lo sguardo, non pronunziavano parola alcuna, ancorché il nobile portamento della Signora ne consigliasse l’uso; ma quale suono poteva levarsi dalla bocca dei Secondogeniti dinanzi a cotanta bellezza, sicché non fosse parso impudico e sgradevole da udirsi? Gli Uomini che avessero avuto l’ardire di ammirare i suoi limpidi occhi, avrebbero scorto la maestà di Ulmo agitarsi in essi e lo stupore ne avrebbe invaso l’animo, ché non vi era dama mortale il cui sembiante fosse così vivido e splendente. Una Signora fra i Noldor ella era, giunta in codesta contrada per discutere dei grandi eventi che erano accaduti in quegli anni, sì lontani dai nostri giorni: grande era la sua lungimiranza ed i popoli abbisognavano del consiglio della figlia di Celeborn del Doriath e di Galadriel del Lorien; Celebrian era il suo dolce nome ed ella appariva simile a Varda, la sposa di Manwe»

 

Il Racconto del Marinaio e dell’Infame Giuramento.

celebrian

Akhallabeth – Scena V ed ultima. Il discorso di Sauron ai Numenoreani il giorno di Mezza Estate

Con questo articolo concludo la narrazione della Tragedia della Caduta (o Akhallabeth in adunaico, la lingua madre dei Numenoreani). Con i prossimi articoli ricomincerò la trattazione delle gesta di Erfea all’indomani della costituzione dei Regni in Esilio (Arnor e Gondor) nella Terra di Mezzo e avrò occasione di presentare qualche nuovo ritratto.

Buona lettura, aspetto i vostri commenti.

(È il giorno di Mezza Estate: a Numenor si celebra la consueta festa in onore di Eru Iluvatar, ma l’atmosfera è inquieta; nubi neri si sono posate sul Menalterma. A tratti la terra trema. Alla sesta ora dopo il sorgere del sole, si assiste alla processione di tutti i nobili numenoreani: in testa vi sono Ar-Pharazon e Ar-Zimpharel, seguiti da Elendil, Isildur e Anarion; chiude la fila Sauron, che fa la sua apparizione vestito di un abito nero con intarsi dorati)

Araldo: (con il braccio rivolto all’ingresso dal quale entreranno tutti i nobili numenoreani) Mirate, figli di Numenor, Sua Maestà Ar-Pharazon il Dorato!
(molti applausi dalla folla)

Araldo: Sua Maestà, Principessa Reale di Numenor, Ar-Zimpharel, figlia di Tar-Palantir!
(molti applausi della folla)

Araldo: I Principi di Andunie, Elendil l’Alto ed i suoi giovani figli Isildur ed Anarion!
(pochi applausi da parte della folla)

Araldo: Signori di Numenor, dame e cavalieri, ascoltate adesso le parole del Sovrintendente, Sauron il Magnifico.

(breve stacco, infine Sauron fa scivolare la propria cappa e rivela a tutti la sua identità)

Sauron: Contro la mia volontà fui condotto qui, uomini dell’Ovesturia, eppure mai intesi sfidare le gloriose armate del Re degli Uomini. A voi, uomini di Numenor, sovrani della Terra di Mezzo, dico questo: mai vi fu, fin dagli albori del tempo, stirpe sì gloriosa e degna di essere chiamata Signora fra tutte, come quella che ora solca in lungo e in largo gli oceani sconfinati.

Primo Cittadino: Lode al nome di Sauron e al nome di Numenor!

Secondo Cittadino: Silenzio, lasciate che parli! Ohè, silenzio, dunque!

Sauron: Le Leggi che avete fino ad oggi onorato, i Valar e gli Elfi hanno ordinato che fosero gli uomini a seguire, senza tuttavia mai svelarne la ragione; ebbene, folli si sono rivelati i loro oscuri disegni, ché nulla di quanto complottano mi è ignoto.

Terzo Cittadino: Di quale complotto parla costui? Chi trama alle spalle della potenza di Numenor?

Primo Cittadino: Gli Infidi Valar tramano la rovina di Numenor! Chi sono dunque costoro perché noi dovremmo loro obbedienza?

Sauron: Al principio di questa Era, Eonwe, l’araldo dei Valar, vi proibì l’accesso a Valinor; sempre avete temuto tale ordine, e mai la vostra obbedienza è venuta meno. Qualcuno tra voi potrebbe forse affermare che l’uomo giusto è timoroso degli dei e ne osserva le immortali leggi; tuttavia, se davvero vi sia tra voi chi parli in siffatto modo, sappia che non è degno di appartenere a tale gloriosa stirpe.

Secondo Cittadino: Cosa dice costui? Invero, segreto ed oscuro mi sembra il significato delle sue parole ed io non comprendo cosa celi il suo pensiero.

Terzo Cittadino: A me, invece, ogni cosa sembra chiara: armiamoci e ribelliamoci agli infidi Valar, signori di ogni inganno e sopruso!

Sauron: Non è forse vero che essi vi domandarono ausilio e venerazione quando ne ebbero bisogno? Eppure, uomini di Numenor, con quali ricompense furono riscattate le vostre lacrime e i vostri morti? Doni furono assegnati ed invero di grande valore (rivolge uno sguardo sarcastico a Isildur), eppure nulla che vi permettesse di condividere la più grande ricchezza sì gelosamente custodita dai Valar. Io vi dico che il dono della morte altro non è che un vile inganno per mezzo del quale siete stati privati della vostra volontà e del vostro futuro.

Elendil (a bassa voce): Codesta è pura follia…

Isildur (a bassa voce): Per buona sorte dello Stregone, siamo stati privati delle nostre armi allorché la processione ha avuto inizio.

Anarion (a bassa voce): Mirate Ar-Zimpharel, sembra che la vita sia fuggita dal suo corpo.

Sauron: I Valar disposero i loro precetti per gli stolti, eppure chi fra voi oggi si riterrebbe tale? A voi, Signori della Terra di Mezzo, dico questo: gli uomini gloriosi e potenti afferrano quanto è a loro gradito seguendo percorsi che ai deboli sono preclusi.

Primo Cittadino: Infida è la parola dei Valar, e schiavi di essa sono gli uomini che ne seguono gli intenti.

Secondo Cittadino: Chi sei tu, dunque, perché debba costì parlare? Quale sentiero le nostre esistenze dovrebbero percorrere?

Ar-Pharazon: Non abbiate timore di alcuna mala sorte, Numenoreani! Un tempo prelevammo Sauron, perché egli si prostasse innanzi alla nostra maestà e rendesse omaggio alla stirpe del sovrano, ed ora egli offre a tutti noi un reame degno della potenza delle nostre schiere. Cos’è una vita se non adempiere ad una missione? E non è forse la nostra quella di elevarci al di sopra dei comuni mortali e reclamare quanto è nostro di diritto? Mirate Sauron, non è egli forse prostrato innanzi a me?

(Sauron s’inchina al re: gioia e tripudio dalla folla)

Primo Cittadino: Il Signore di Mordor si inchina al volere di Ar-Pharazon; egli si è redento, ed ora non vi sono più rivali in grado di contrastare il nostro dominio.

Sauron: Numenoreani, invero nessuno popolo oserà sfidare il vostro volere, tuttavia io vi metto in guardia, ché molti dei vostri congiunti tramano all’ombra delle loro fortezze (sguardo di Sauron rivolto a Elendil, Isildur e Anarion).

Terzo Cittadino: Chi sono questi traditori? Bruciamo le loro dimore ed incendiamone le navi!

Sauron (levando con un atto imperioso la mano): Il mio signore, Melkor, con l’inganno fu esiliato nel nulla, il medesimo che i Valar sussurrarono nelle orecchie dei vostri padri; essi lo combatterono e lo sconfissero, tuttavia egli non nutre alcun rancore verso di voi, ché ben comprende come le vostre menti siano state guidate sino ad oggi da sciocchi consigli e insani ammonimenti. A lungo vagai per questa Terra di Mezzo, affinché potessero fiorire i semi di Melkor ed ora mi accorgo quale meraviglioso verziere di delizie e incanti ricolmo sia sorto nella vostra isola.

(Le aquile di Manwe appaiono ad occidente: il terrore si impadronisce della folla)

Secondo Cittadino: I Messaggeri di Manwe sono su di noi!

Primo Cittadino: La collera di Manwe spira da Nord!

(Sauron, colpito da un fulmine, resta integro ed estrae la sua spada)

Sauron: Finanche le Grandi Aquile sono incapaci di procurarmi offesa! D’ora innanzi, la legge che seguirete sarà dettata dal vostro volere, ché i grandi uomini nulla devono temere!

(Tutti i Numenoreani, eccetto i Fedeli, si prostrano ai piedi di Sauron)

Terzo Cittadino: Alle armi! Alle armi! La conquista di Valinor è prossima, Numenoreani!

(Fine della Tragedia)

Leggi anche:

Akhallabeth – Scena IV – Le tentazioni di Sauron

Akhallabeth – Scena III, parte II: Il dialogo tra Ar-Zimpharel ed Elendil

L’Akallabeth: il monologo di Miriel (III Atto)

L’Akallabeth: la corruzione di Pharazon (II Atto)

 

Akhallabeth – Scena IV – Le tentazioni di Sauron

Benritrovati, care lettrici e cari lettori. Proseguo la narrazione della Caduta raccontando in questo articolo il tentativo, da parte di Sauron, di corrompere Isildur, il figlio maggiore di Elendil, il quale, per ironia del destino, sarà proprio quello che gli darà il colpo di grazia alla fine della Seconda Era…

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

(Isildur e Anarion sono sull’uscio della sala del trono, scuri in volto; improvvisamente, una figura si avvicina loro: è Sauron)

Sauron: Vi saluto, giovani principi di Numenor! Onore e gloria alla vostra stirpe! La fortuna mi assiste, ché questo oggi nutrivo nel mio cuore un profondo desiderio di discorrere con l’erede maggiore di Elendil.

(Isildur, fatto cenno ad Anarion di lasciarlo solo, osserva per qualche istante la figura di Sauron in silenzio)

Sauron: Ebbene, Isildur, ti chiedi forse perché abbia chiesto un colloquio riservato con te? Non negarlo, ché molto scorgo dei tuoi pensieri e l’eco delle numerose azioni da te compiute è giunto alle mie orecchie.

Isildur: I dubbi e i timori sono compagni dell’uomo fin dalla sua nascita; essi non sono necessariamente nostri nemici, ché solo i folli agiscono senza che il loro pensiero non si soffermi sulle azioni che si accingono a compiere. Quale uomo, può, a priori, conoscere il destino che l’attende? Finanche noi Numenoreani, pur scorgendo molte immagini di quello che ancora deve avvenire, non abbiamo la facoltà di poter risolvere i nostri dubbi, se prima non accettiamo la fallacità delle nostre azioni. Solo dubitando è possibile ricercare la verità.

Sauron: Le tue parole, giovane Numenoreano, sono figlie di questi tempi oscuri, privi ormai di valore e prigionieri della disperazione e della sofferenza. Se tu fossi un uomo da poco, ecco che sarebbe sciocco contestare quanto il tuo cuore ti suggerisce, eppure sappi questo: i grandi signori prendono sempre quello che appartiene loro, adoperando a tal fine strade che ad altri sono precluse.

Isildur (con tono freddo): Eru Iluvatar ha creato i suoi figli perché seguissero ciascuno la strada tracciata dalle loro stesse azioni. Il libero arbitrio rende i nostri spiriti liberi: solo questo dobbiamo temere, l’impossibilità della scelta, non i fantasimi agitati da coloro che vorrebbero privarcene.

Sauron (con tono di voce premuroso e mellifluo): Sei saggio e risoluto, figlio di Elendil, ma il tuo cuore non conosce ancora tutte le paure che i Secondogeniti temono. Quando la morte, il dolore della perdita ti saranno prossimi, credi che il tuo animo rimarrà immune da tali incubi?

Isildur: La morte non è una punizione, bensì un dono. Quale uomo potrebbe, infatti, sopportare a lungo il peso degli anni trascorsi? Come una quercia, logorata dalle fatiche e dal gelo di numerosi inverni, egli infine si abbatterebbe nella più cupa disperazione, desideroso solo della morte. Nessun uomo resisterebbe a lungo privato della propria fine. Sappi dunque questo: l’immortalità è un dono che mai accetterei.

Sauron (parlando con tono beffardo): Ben m’avvedo come la lezione impartita dai servi dei Valar non sia andata smarrita! Dal momento che Isildur sembra esserne cosciente, devo forse ritenere che il più giovane capitano dei Numenoreani teme la gloria e la ricchezza che gli offro?

Isildur: Qualunque ricchezza tu possa offrirmi, solo uno stolto potrebbe accettarla. È alquanto pericoloso ottenere il potere senza capire dove esso sia in grado di condurti. Onore e gloria, dici? Entrambi sono insignificanti, posti di fronte al dono più grande che Eru ha dato ai suoi figli.

Sauron: Sappi, Isildur, della casata di Elendil, che nessun dono è più grande di un’ambizione soddisfatta. Io scorgo innanzi a me tutti i desideri più oscuri che il tuo cuore nutre, pensieri che la tua mente tenta invano di occultare; questi e molti altri segreti io conosco, perché forte è il mio potere.

Isildur (con tono sicuro e alto): Sauron di Mordor, servo di Morgoth, la tua distorta visione dell’Umanità non può intaccare il mio animo. Sei invero uno spirito conoscitori di occulti e infausti poteri; eppure, la tua capacità di giudizio si basa solo sul desiderio di potere e l’arroganza che il tuo dannato spirito nutre. Una schiavitù eterna: questo è il dono che mi hai proposto. Stregone, il dono più grande, che esso solo rende possibile le nostre esistenze, è il dono della scelta. Né tu, né il tuo oscuro mentore potete offrirmi una simile ricompensa!

Sauron (con voce irata e terribile ad udirsi): Sei un pazzo e un folle, Numenoreano. Sappi che il Re del Mondo ti maledice fino alla fine dei tuoi giorni. Terribile sarà la tua morte! In virtù dei poteri concessimi da sua maestà, Ar-Pharazon il Grande, bandisco te e la tua famiglia dal Consiglio dello Scettro. Comando e voglio!

Isildur (afferrando Sauron per le spalle): No! Maledetto!

(alcune guardie armate piombono su Isildur e ne bloccano mani e piedi)

Isildur (con tono di sfida): La tua volontà è tirannica, eppure la conoscenza del futuro è preclusa a me, quanto a te: i tuoi oscuri sortilegi non possono rivelarti nulla sul destino del mondo, ma solamente costringere coloro che ne sono artefici a realizzare il loro avvenire secondo il tuo desiderio; tuttavia, bada, che i miei giorni su questa terra si riveleranno più lunghi dei tuoi!

(Isildur viene condotto fuori dalle guardie e Sauron esce dal palazzo reale. Breve stacco)

Scena IV, Parte II: Il dialogo tra Elendil ed Anarion

(dopo essere uscito dalla stanze private di Ar-Zimpharel, Elendil raggiunge Anarion nel giardino della reggia di Armenelos)

Elendil: Dov’è tuo fratello? Gravi nubi di sventura si addensano sulla nostra patria ed abbisogno del suo consiglio.

Anarion: Salute a te, padre mio! Di Isildur non ho più notizie dacché egli fu avvicinato da Sauron; a lungo ascolai le lori voci provenire dall’interno del palazzo, infine tutto fu silenzio, interrotto solo dall’eco dello sciobardare delle navi nel porto.

Elendil (scuro in volto e con tono grave): Codeste notizie non risultano gradevoli alle mie orecchie, ché Sauron è un corruttore di cuori ed egli non tarderà a reclamare quanto il suo animo ambisce ottenere.

Anarion: Padre mio, non ti nascondo che le tue paure sono anche le mie, ché molte sono le cose da temere in questi giorni oscuri e la mente del sovrano ormai vacilla; tema che egli abbia ceduto al Signore di Mordor e se tale ipotesi fosse vera, allora la nostra gente avrebbe invero molto da temere.

Elendil: I Fedeli devono essere avvertiti di quanto sta accadendo a corte; questa notte, terrò un concilio ad Andunie, lì ove gli occhi di Ar-Pharazon e di Sauron non si volgono da molti anni, e discuteremo sul da farsi.

Anarion: Davvero bizzari paiono i destini dei mortali! Siamo nella nostra dimora, e ivi dobbiamo temere il nemico! Se tale si configura il corso degli eventi, non oso immaginare quali terribili conseguenze dovremo patire nei prossimi anni.

Elendil: No, figlio mio, questa situazione è figlia della follia degli Uomini. Noi siamo come costruttori: possiamo edificare mura e torri elevate, pari a quelle di Valinor, ma non impossiamo impedire che la pazzia prenda il sopravvento sulla ragione, portando il Nemico dove mai sarebbe giunto altrimenti.

(Isildur fa la sua apparazione, scuro in volto e con la spada sguainata)

Isildur: Dobbiamo abbandonare la reggia all’istante. Il nemico è in cerca degli eredi di Amandil e Sauron ha ottenuto l’incarico presso il re che un tempo apparteneva di diritto ai nostri padri.

(Elendil, Isildur e Anarion abbandonano la scena; stacco).

Akhallabeth – Scena III, parte II: Il dialogo tra Ar-Zimpharel ed Elendil

Care lettrici, cari lettori, in questo articolo proseguo la narrazione della tragedia della Caduta, l’Akhallabeth in lingua adunaica: in questa scena, Ar-Zimpharel (o Miriel, se preferite i nomi elfici), ha un lungo colloquio con Elendil nel quale potrete trovare echi di quello avvenuto, nel Ciclo del Marinaio, fra Erfea e Miriel: per effettuare il confronto, vi invito a leggere questo articolo One last time… e ad ascoltare, come sottofondo, l’omonimo brano dei Dream Theater (ve l’ho detto che prima o poi scriverò qualcosa sul legame tra la musica e il Ciclo del Marinaio, ma, come disse qualcuno, «non è questo il giorno»)

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

(Ar-Zimpharel, dopo il suo monologo avvenuto nella camera da letto, rientra nella sala del trono, accompagnata da una sua damigella).

Ar-Zimpharel: Mia buona Finduilas ti consegno tale missiva, affinché giunga nelle mani del mio parente Elendil; una volta che l’abbia letta in tua presenza, pregalo di giungere ad Armenelos quanto prima.

Finduilas: Ogni vostra richiesta è per me un comando, mia signora.

(Finduilas esce dopo essersi inchinata e lascia Ar-Zimpharel da sola: ella estrae allora un pugnale dalla sua cintura e ne accarezza l’affilata lama, mentre un’espressione disperata le si dipinge sul volto)

Finduilas: Mia signora, Elendil ed i suoi figli chiedono udienza.

(Ar-Zimpharel, non vista dalla sua dama di compagnia, nasconde lesta il pugnale tra le pieghe della sua veste e congedata Finduilas, si accinge a ricevere i suoi cugini)

Elendil (dopo aver chinato il capo): Ci hai fatto chiamare, graziosa e nobile cugina? Ben mi avvedo come il tuo viso sia adesso divenuto più pallido della neve che ricopre la vetta del Menalterma: quali dispiaceri ti angustiano, signora di Numenor?

Ar-Zimpharel: Miei nobili cugini, gravi eventi richiedono questo oggi la vostra presenza a corte; Sauron si è impossessato del cuore del sovrano e io temo per la vita di tutti noi.

Isildur (scuro in volto e con la mano sull’elsa della spada): Dov’è egli ora? Troppo a lungo ho tollerato che i suoi passi riecheggiassero nei corridoi della dimora dei miei avi, troppo a lungo mi sono limitato ad ascoltare e tacere, ma è giunta l’ora in cui questa follia cessi.

Elendil (posando una mano sulla spalla del figlio primogenito per tranquillizzarlo): Non possiamo contrastare l’autorità del signore di Mordor in queste sale, perché siamo solo in tre ed egli, mentre il sovrano dormiva, ha condotto a Numenor rinnegati e mercenari privi di scrupolo provenienti dalle contrade della Terra di Mezo. Cosa faresti, figlio, qualora fossi circondato e incapace di difenderti? Periresti senza aver difeso il tuo popolo dall’aggressore.

Anarion: Sagge parole le tue, padre; se gli eredi di Amandil, nostro avo, dovessero oggi cadere, il potere di Sauron calerebbe su tutta l’isola.

Isildur: Quanto dovrò ancora attendere, dunque, prima che sia fatta giustizia? Vieni meco Anarion, ché le spie del Nemico sono ovunque e questi corridoi hanno orecchie per ascoltare e voci per sussurrare.

(dopo aver rivolto un breve inchino alla regina, i due figli di Elendil escono per montare la guardia alla porta, lasciando soli il Signore di Andunie e Ar-Zimpharel)

Elendil: Una parte della verità mi hai rivelato, tuttavia, Miriel, figlia di Tar-Palantir, non dubito che altre preoccupazioni serbi nel tuo cuore, ché di rado mi è parso il tuo sembiante sì pallido come oggi.

Ar-Zimpharel (sorpresa in volto): Avevo obliato questo nome! Molti dolorosi anni sono trascorsi dacché esso fu pronunciato l’ultima volta e non credevo possibile che qualcuno lo rammentasse ancora. Tuttavia, se Elendil di Andunie l’ha adoperato, un preciso movente l’ha spinto a fare ciò.

Elendil (triste in volto): Letale è il veleno che l’Avversario ha sparso in quelli che una volta erano verdi prati e sorgenti cristalline, ed essi ora marciscono, avvizziti ed infettati; tuttavia, con rabbia percepisco quanto dolore alberghi nel tuo cuore, regina di Numenor.

Ar-Zimpharel (ridendo in modo sarcastico): Regina? Su cosa eserciterei il mio dominio, Elendil? La dignità, l’onore, l’amore, tutto quanto avevo di prezioso mi è stato sottratto con l’inganno; persino il più povero pescatore della costa gode di migliore fortuna. Regina? Direi piuttosto prigioniera delle medesime debolezze che un tempo frenarono la mia volontà ed oggi mi impediscono di commettere atti di valore (così dicendo, Ar-Zimpharel estrae un pugnale da una piega della lunga veste e se lo avvicina al petto).

Elendil (pallido in volto): Non confondere viltà con coraggio, mia Signora! Forse vi è ancora speranza, finché i Valar reggeranno le sorti del mondo.

Ar-Zimpharel (con il volto irato): Ciechi sono i tuoi occhi e sterile la tua fede! Chi impugna adesso corona e scettro? Non è forse Ar-Pharazon, che la mia debole mano fermò dall’ottenere giusta condanna? Dov’è dunque la speranza di cui parli, Elendil figlio di Amandil?

Elendil: Mente angosciata può partorire incubi aberranti; nulla però ti obbliga a prendervi parte. Qualunque sia il tuo parere in questa faccenda, Miriel, resti ancora una donna e non già una schiava.

(Elendil e Ar-Zimpharel si abbracciano e l’oscurità cala sulla scena).