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Sauron, il politico

In numerosi commenti dei miei lettori pubblicati nelle ultime settimane si è accennato al poco spazio concesso da Tolkien a Sauron, non tanto inteso come «motore primo» delle vicende del suo «legendarium» (basti pensare che proprio all’Oscuro Signore è dedicato il titolo del suo più famoso romanzo, «Il Signore degli Anelli»), quanto come personaggio agente in primo piano, allo scopo di mettere in piena luce la sua intelligenza, la sua abilità oratoria e, naturalmente, la sua lucida malvagità. Ho perciò deciso di dedicare alcuni articoli alla trattazione della sua figura – in attesa di riprendere l’analisi sul potere dei Grandi Anelli – che siano in grado di offrire nuovi elementi utili a ricostruire e approfondire l’immagine di Sauron. Questo primo articolo sarà dedicato alla figura dell’Oscuro Signore all’epoca in cui, nei panni di Annatar, sedusse Ar-Pharazon e la maggior parte dei Numenoreani, spingendoli all’adorazione di Morgoth e portando tale popolo alla sua distruzione. Buona lettura!

«Isolato da quanti gli procedevano accanto, un’imponente figura si ergeva alla sinistra del signore di Elenna, avvolta in vesti scure ricamate in oro: a lungo Erfea l’osservò, infine, con un fremito d’orrore, comprese che le fattezze umane di cui la figura si ammantava, invisibili sotto l’oscura cappa, altro non erano che una larva entro la quale lo spirito di Sauron prendeva vita; grande fu la paura del Dunadan, allorché comprese l’identità di Gorthauron l’Aborrito, e i suoi occhi si chiusero, nauseati da quello spettacolo di morte. Infine, con un grande sforzo di volontà, guardò nuovamente, e fu come se l’aura di Sauron fosse stata dissolta dalla brezza marina; allora il principe rimembrò le antiche tradizioni e con sollievo comprese la sua vita e la sua anima essere al sicuro fin quando non avesse abbandonato il Meneltarma, consacrato fin dagli albori di Numenor a Manwe.

In basso, i tamburi presero nuovamente a rullare, occultati alla vista del ramingo, e le trombe squillarono; non era tuttavia una melodia piacevole a udirsi, ché nessuna eco risuonava dai colli e minacciose nubi si approssimavano da settentrione: tutto tacque, infine, allorché Sauron levò la mano, svelando il proprio volto alla folla trepidante: “Un nuovo giorno sorge, eppure già ascolto i suoi rantoli spegnersi nella frescura della notte. In catene fui condotto qui, tuttavia mai intesi sfidare le gloriose armate del Re degli Uomini”. Tacque un attimo, mentre alcune esclamazioni della folla rompevano il silenzio. Infine parlò nuovamente, e coloro che erano presenti furono soggiogati dalla sua volontà: “Molte leggi hanno tramandato i vostri padri, inique per gli uni, gloriose per altri: simili a insetti nocivi hanno tormentato la vostra esistenza, eppure nessuno di voi ne ha mai compreso l’oscura e infida origine. A voi, Uomini di Numenor, sovrani di Endor, dico questo: mai vi fu, fin dagli albori del tempo, stirpe sì gloriosa e degna di essere chiamata signora tra tutte, come quella che ora solca in lungo e largo gli oceani sconfinati”. Numerose esclamazioni di gioia ed entusiasmo eruppero spontanee, eppure l’Oscuro Signore non ne fu spiaciuto, ma seguitò a parlare: “Le leggi che fino a oggi avete onorato o disprezzato, i Valar e gli Eldar hanno ordinato che fossero gli Uomini a seguire, senza tuttavia mai svelarne la ragione; ebbene, folli si sono rivelati i loro progetti, ché nulla di quanto complottano mi è ignoto. Eru Iluvatar creò Ea e ne dispose la forma a suo piacimento, seguendo il proprio volere: otto fra gli Ainur ne seguirono la volontà e ne ressero le sorti, gli stessi che affidarono Numenor alla vostra gente”.

Fredda era divenuta ora l’aria e lampi minacciosi saettavano a Nord e a Est e Sauron proseguì: “Fu in tale occasione che il Bando dei Valar fu emanato e il loro araldo Eonwe vi proibì l’accesso alle Terre Imperiture; sempre avete temuto tale ordine, e mai la vostra obbedienza è venuta meno. Qualcuno tra voi potrebbe forse affermare che l’Uomo giusto è timoroso degli dei, ne osserva le divine leggi; tuttavia, se davvero vi è tra voi chi parla in sì modo, sappia che non è egli degno di appartenere a tale gloriosa stirpe”. Mormorii increduli si levarono tra la folla, ché non tutti i Numenoreani presenti avevano in odio i guardiani del Vespro, né ambivano sfidarne l’ira; tuttavia il seme della follia era stato gettato fra di loro ed esso ratto si impadronì del cuore degli Uomini. Simile alla tenebra del plenilunio, così le parole di Sauron ottenebrarono le menti degli Uomini, ed ecco essi levarono le armi e scossero gli scudi, soggiogati dalla rovina e dalla perdizione.

Sauron attese che il silenzio calasse nuovamente, infine parlò per la terza volta e le sue parole furono udite in tutto il regno: “Non è forse vero che essi vi domandarono ausilio e venerazione quando ne ebbero bisogno? Eppure, Uomini di Numenor, con quali ricompense furono riscattate le vostre lacrime e i vostri morti? Doni furono assegnati e invero di grande valore, eppure nulla che vi permettesse di condividere la più grande ricchezza sì gelosamente custodita dai Valar! Messaggeri essi hanno inviato ai vostri padri, per placarne la giusta collera, eppure io vi dico che il dono di Eru altro non è che un vile inganno, per mezzo del quale siete stati privati della vostra volontà e del vostro futuro. Giardini ricolmi di frutti abbelliscono la vostra isola e torri adamantine sfidano rabbiose il vasto cielo, eppure sappiate che essi non sono altro che una miserevole copia di quanto si erge al di là del mare a ponente. I Valar disposero i loro precetti per gli stolti, eppure chi fra voi oggi si riterrebbe tale? A voi, signori della Terra, dico questo: gli Uomini gloriosi e potenti afferrano quanto è a loro gradito. Non è con la negazione delle leggi dei vostri padri o con il loro rifiuto, che la gloria nutrirà del suo nettare inebriante i vostri cuori: solo obliando le vili parole degli dei, trionferete su quanti si oppongono al vostro dominio”.

Grandi manifestazioni di giubilo si levarono dalla folla festante e più di uno si volse al proprio vicino sussurrando parole dettate dal rancore: “Infida è la parola dei Valar e schiavi di essa sono gli Uomini che ne seguono gli intenti”. Tuttavia, vi fu chi espresse perplessità e timore; l’Oscuro Signore, ebbe sentore di ciò, allorché un Uomo fra la folla gli parlò: “Chi sei tu dunque, perché debba così parlare? Quale sentiero le nostre menti dovrebbero percorrere?”

Allora silenzio si fece in tutta la contrada, e molti osservarono dubbiosi il sovrano; questi attese, finché la gente non si fu acquietata, infine riprese la parola: “Non abbiate timore di alcuna mala sorte, Numenoreani! Un tempo catturammo Sauron, perché egli si prostrasse innanzi alla nostra maestà e rendesse omaggio alla stirpe del sovrano, e ora egli offre a tutti noi un reame degno della potenza delle nostre schiere. Cos’è una vita, se non adempiere a una missione? E non è forse la nostra quella di elevarci al di sopra dei comuni mortali e reclamare quanto è nostro di diritto? Mirate Sauron, non è egli forse prostrato innanzi a me?” e dicendo questo si voltò affinché tutti quanti potessero costatare la veridicità delle sue parole. Grande fu lo stupore tra la folla e molti levarono grida di giubilo: “il signore di Mordor si inchina al volere di Ar-Pharazon: egli si è redento, e ora non vi sono più rivali in grado di contrastare il nostro dominio!” Possenti si levarono voci trionfanti e gli uomini corsero ad armarsi, convinti che l’ora del trionfo fosse giunta: squilli echeggiarono lungo il crinale del colle, e già le navi si apprestavano a salpare, allorché Sauron levò il lungo braccio: “Numenoreani, invero nessun popolo oserà sfidare il vostro volere, tuttavia io vi metto in guardia, ché molti dei vostri congiunti tramano nell’ombra delle loro fortezze”, e a Erfea parve che il Signore degli Anelli volgesse lo sguardo verso di lui. L’Oscuro Maia parlò ancora: “Il mio signore, Melkor, con l’inganno fu esiliato nel nulla, ché gli dei non vollero rivelare alcunché dei loro arcani segreti ai re della Seconda Stirpe. I vostri padri lo combatterono e lo sconfissero, tuttavia egli non nutre alcun rancore verso di voi, ché ben comprende come le vostre menti siano state guidate sino a oggi da sciocchi consigli e insani ammonimenti. A lungo vagai per questa Terra di Mezzo, affinché potessero fiorire i semi di Melkor e ora mi accorgo quale meraviglioso verziere di delizie e incanti ricolmo sia sorto nella vostra isola”.

Minaccioso si fece il clamore della folla ed Erfea fece fatica a distinguere la voce di Sauron fra le tante che adesso si levavano; d’un tratto però, giunto dal Nord, si abbatté sulla folla un fortunale, e questo ai Fedeli parve come un chiaro ammonimento, perché mai in tali giorni si erano abbattute tempeste su Elenna: pioggia scrosciante cadde al suolo, mentre il fiero vento lacerava le vele e il sartiame delle navi. Il panico si impadronì degli abitanti e la loro paura crebbe ancora, ché giunsero le grandi aquile di Manwe in formazione serrata, puntando dritte alla cima del Meneltarma, ove Sauron assisteva imperturbabile a quanto accadeva sotto il suo sguardo. “I messaggeri di Manwe sono su di noi – gemette il popolo affranto – la sua collera spira furente dal Forastar!” Fulmini saettavano ovunque e molti Numenoreani fuggirono atterriti, disperdendosi nei vicoli e negli edifici; non scappò però l’Oscuro Signore, il quale attese che la tempesta si placasse; saette dal cielo caddero presso di lui, tuttavia egli non parve dolersi del fuoco che ora ardeva sulle sue vesti. Infine, disprezzando apertamente il volere di Manwe, egli levò al cielo una lunga spada nera ed ecco, fiamme ne percorsero la superficie: timorosa la folla lo osservò, eppure non era dipinta meraviglia nei loro sguardi, ché non pochi fra loro, maghi i cui sortilegi sono andati smarriti, erano in grado di evocare il fuoco per mezzo di arcane parole; presto, tuttavia, lo sgomento si impadronì dei loro cuori, allorché un fulmine si abbatté su Sauron con tale violenza, che il suo trono in pietra ne fu annientato. Eppure, meraviglia! Egli era incolume e levava lo sguardo al monte, invitando i sacri messaggeri degli dei a lacerare la sua carne; questi però, non furono irretiti dalle sue bestemmie, nonostante comprendessero il Linguaggio Nero, e si limitarono a scuotere le loro penne fradice.

“Finanche le Grandi Aquile sono incapaci di procurarmi offesa!” esultò Sauron, raggiante in viso. D’ora innanzi la legge che seguirete sarà dettata dal vostro volere ché i grandi Uomini nulla devono temere!” Allora il popolo gli si prostrò tremante, e il suo stesso sovrano si inchinò dinanzi all’oscura figura, adorandolo come un dio, ché tale lo vedevano e la potenza di Morgoth era in lui; nulla compresero, tuttavia, di quanto accadeva, né si domandarono per quale motivo le grandi aquile si fossero recate in tale luogo. Ar-Thoron, infatti, non era giunto per pronunciare condanna contro Sauron, come essi avevano creduto in principio, ché questi era stato maledetto fin dalla sua ribellione a Eru Iluvatar, bensì contro i Numenoreani, rei di aver accolta la Tenebra presso i loro spiriti; eppure, nessuno si pose simili questioni, ché i loro animi erano ricolmi di odio e rancore, illudendosi che l’immortalità fosse prossima.

Gravi lutti derivarono dagli infausti eventi di quel giorno, e quanto accadde non fu che il principio, ché altre malvagità escogitò Sauron e la Tenebra cadde definitivamente su Numenor».

 

Il Ciclo del Marinaio, pp. 179-184.

Unico Anello: Istruzioni per l’uso (parte II)

Riprendo il discorso iniziato nel precedente articolo per affrontare la questione dei poteri dell’Unico Anello e degli altri Grandi Anelli. In questa seconda parte mi soffermerò sulle informazioni presenti nei primi capitoli dell’opera del «Signore degli Anelli».

Sono trascorsi circa 60 anni dal ritorno di Bilbo alla Contea, dopo aver assistito alla morte di Smaug e aver contribuito a restaurare il Regno sotto la Montagna. Nonostante nella Contea la vita scorra apparentemente tranquilla come nel passato, nel resto della Terra di Mezzo le cose sono cambiate. Sauron si è rivelato al mondo, abbandonando i panni del Negromante, e ha ricostruito Barad-Dur, riprendendo il centro del suo potere nella Terra di Mordor. Egli è alla disperata ricerca dell’Anello, ostacolato in questo da Saruman, che muove i suoi servi in diverse regioni della Terra, nella speranza di arrivare prima al rinvenimento dell’Unico; contemporaneamente, Sauron continua a dare la caccia all’erede di Isildur, perché è a conoscenza che la linea dei Numenoreani del Nord non si è estinta e che, da qualche parte, si trova l’ultimo erede dei grandi sovrani di Arnor e Gondor.

All’inizio del romanzo incontriamo Bilbo alle prese con i festeggiamenti del suo centoundicesimo compleanno: tra gli ospiti che prendono parte a questi festeggiamenti non può mancare il suo grande amico Gandalf. Lo stregone è perplesso non solo a causa della longevità del suo piccolo amico, ma soprattutto si sorprende a pensare a come sia cambiato fisicamente molto poco dall’epoca del suo primo incontro. Lo stesso Bilbo non può fare a meno di parlare dei suoi dubbi allo stregone: «Sono vecchio, Gandalf. Non dimostro i miei anni, ma sto incominciando a sentire un peso in fono al cuore. E poi dicono che mi mantengo bene?!, sbuffò. «Io che mi sento tutto magro, come dire, teso; rendo l’idea? Come del burro spalmato su di una fetta di pane troppo grande. Non è una cosa normale; devo aver bisogno di un cambiamento d’aria o roba simile» (SdA, p. 40). Trovo molto calzante questa descrizione degli effetti dell’Anello su Bilbo: esprime molto bene, infatti, con un linguaggio tratto dalla vita quotidiana degli Hobbit, gli effetti che l’Unico provocavano alla sua anima e al suo corpo. La mia opinione è che l’Anello si stesse risvegliando, nel tentativo di farsi trovare dal suo Padrone: possiamo immaginarlo come una creatura che vive in simbiosi con il suo portatore, trasmettendogli quelli che potremmo chiamare, con qualche forzatura, i propri «sentimenti»: l’inquietudine che Bilbo avverte è in realtà quella dell’Unico, il quale, dopo aver sfruttato l’Hobbit per uscire dalle caverne oscure degli orchi, era stanco di essere «recluso» all’interno di una regione remota e quieta come la Contea, molto lontana dal suo Padrone. Nell’accesa discussione che segue fra Gandalf e Bilbo, lo stregone rivela un interesse professionale nei confronti dell’Anello, adducendo come motivazioni la rarità e la magia che tali artefatti possiedono, senza però sbilanciarsi ancora sulla malvagità intrinseca all’Anello stesso. Ne segue poi l’alterco finale, ben rappresentato anche nel film di Jackson, sul quale non ritengo di dovermi soffermare particolarmente. Riprendo invece le parole finali che pronuncia Bilbo nello scusarsi, perché non mi sembra siano comprese nei dialoghi cinematografici: «Mi dispiace – disse – ma mi sentivo così strano. Eppure in un certo senso sarebbe un sollievo non aver più questo assillo. È diventato un peso per me, negli ultimi tempi. A volte mi sembra come un occhio che mi guarda fisso, e ad ogni momento sono tentato di metterlo al dito e di sparire, sai? […] Ho cercato di chiuderlo sotto chiave, ma ho scoperto che non avevo pace sentendolo lontano da me […] (42)». Questa confessione è importante perché per la prima volta nel corso del romanzo si fa cenno alla presenza di un Occhio dietro il quale si celerebbe Sauron stesso, il Signore degli Anelli. Questo riferimento mi suggerisce un paragone con un autore coevo di Tolkien, lo statunitense maestro dell’horror H. P. Lovecraft: nei suoi racconti più celebri, infatti, non mancano riferimenti a personaggi che vedono (o affermano di scorgere) nell’oscurità delle forme minacciose che spesso finiscono con l’identificare con qualcosa a loro familiare (una mano artigliata, una voce spaventosa ecc.) Questo, secondo me, è un collegamento inedito e importante, perché mette in evidenza la difficoltà degli Hobbit portatori dell’Anello nel percepire l’essenza di Sauron, che nessun personaggio nel romanzo riesce a descrivere in modo preciso.

A differenza della pellicola cinematografica, Bilbo si libera dell’anello in modo abbastanza confuso: il pacchetto nel quale è custodito gli cade di mano ed è Gandalf stesso a recuperarlo, ma tutto avviene nel giro di pochi secondi, lasciando «il posto ad un’espressione di sollievo e ad una risata» (43). Nel congedarsi da Frodo Gandalf inizia ad alludere a un legame fra l’uso dell’Anello e alcuni mutamenti avvenuti nel carattere di Bilbo (come quello di mentire sulle modalità con le quali ne era venuto in possesso), aggiungendo che «è probabile che abbia qualche altro potere, oltre quello di farti sparire quando più ti aggrada» (47). Gandalf ostenta tranquillità, ma è molto plausibile che abbia iniziato a pensare alla possibilità che quello fosse uno dei Grandi Anelli (non necessariamente l’Unico).

Dopo una lunga assenza, nella quale Gandalf era tornato per brevi visite al solo scopo di sincerarsi della salute di Frodo, lo stregone, dopo nove anni di latitanza, poté tornare alla Contea. Nel lungo racconto che Gandalf iniziò in quell’occasione, per la prima volta il lettore ha modo di conoscere la storia della forgiatura degli Anelli dagli albori della Seconda Era. Questione di non secondaria importanza, si accenna alla presenza di due tipologie diverse di Anelli: i Grandi Anelli (quelli del Poema iniziale, per intenderci) e gli Anelli Minori, che i «fabbri elfici consideravano delle bazzecole, benché, secondo me, fossero anch’essi rischiosi per i mortali» (52). La presenza degli Anelli Minori è utile, secondo me, per spiegare la presenza di altri spettri nella Terra di Mezzo: penso, ad esempio, ai fantasmi con i quali il Re degli Stregoni aveva popolato i Tumulilande e che potrebbero essere spiegati come sfortunati possessori degli anelli minori, corrotti da questi ultimi e costretti a servire l’Oscuro Potere che era alla base della loro forgiatura. La mia tesi appare rafforzata anche dal saccheggio che Sauron perpetuò a danno delle Aule dei Fabbri di Eregion al culmine della Guerra contro gli Elfi: è molto plausibile, dunque, che egli abbia potuto sottrarre non solo i Grandi Anelli degli Uomini e dei Nani, ma anche un numero imprecisato di Anelli Minori che avrebbe distribuito fra i suoi servi umani, rendendoli suoi schiavi anche dopo la loro morte.

Segue poi una descrizione dei poteri che i Grandi Anelli esercitano sui mortali, che però crea non pochi problemi di coerenza con la trama interna del Signore degli Anelli: «Un mortale caro Frodo, che possiede uno dei Grandi Anelli, non muore, ma non cresce e non arricchisce la propria vita: continua semplicemente, fin quando ogni singolo minuto è stanchezza ed esaurimento. E se adopera spesso l’Anello per rendersi invisibile, sbiadisce: infine diventa permanentemente invisibile e cammina nel crepuscolo sorvegliato dall’oscuro potere che governa gli Anelli. Sì, presto o tardi, tardi se egli è forte e benintenzionato, benché forza e buoni propositi durino ben poco presto o tardi, dicevo, l’oscuro potere lo divorerà» (52).

A leggere questa descrizione sembra proprio che l’uso di tutti i Grandi Anelli provochi invisibilità ai suoi portatori, almeno a quelli la cui natura è mortale (e quindi questo ragionamento esclude Elrond e Galadriel). Questo però contrasta almeno con due casi accertati nei quali si verificò il contrario: con Thrain II e con lo stesso Gandalf, il cui corpo, ricordiamolo, era di natura mortale e non immortale. Al contrario, sembra proprio che siano gli Anelli a rendersi invisibili e non i loro portatori. Nessuno, apparentemente, si accorge che Gandalf porta seco l’Anello del Fuoco: esso si mostra visibile agli occhi di tutti solo alla fine della storia, sul molo dei Porti Grigi, dopo la distruzione di Sauron. La stessa cosa deve essere accaduta a Thrain II: egli, infatti, fu catturato dagli sgherri del Negromante e torturato a lungo prima che Sauron si impadronisse dell’ultimo anello dei nani: ma perché impiegare tanto tempo per un oggetto che Thrain non avrebbe potuto nascondere in modo certo efficace? L’unica risposta che mi sovviene è che l’Anello fosse invisibile, a meno che non fosse intervenuto Sauron in persona, l’unico che aveva il potere di rendere visibili i Grandi Anelli. Probabilmente il Nano fu a lungo torturato perché cercò di opporre la sua volontà a quella dell’Oscuro Signore nel tentativo di non rendere visibile il suo Anello: tentativo valoroso, ma purtroppo vano. L’unico modo per spiegare questa palese contraddizione è quello di intendere «mortale» alle stregua di «umano»: gli Hobbit, infatti, sono una sorta di sottospecie degli Uomini, con i quali condividono la sorte ultima. Si potrebbe dunque ritenere che anche i Nani, nonostante la loro natura mortale, siano da escludersi dalla descrizione di Gandalf (come lo stesso Stregone Grigio, d’altra parte).

Interessante è anche il riferimento ai tentativi dell’Anello di sfuggire al suo proprietario, cambiando dimensione e peso, dimostrando, ancora una volta, una natura ben più complessa rispetto a quella di un normale oggetto d’oro. Gandalf continua poi il suo racconto, facendo finalmente il collegamento mancante fra lo Hobbit e il Signore degli Anelli: dichiara, infatti, di aver avuto sentore di un’ombra quando Bilbo trovò l’Unico e di aver sempre saputo che fosse uno dei Grandi Anelli, dimostrando, tuttavia, allo stesso tempo, di essere stato molto moderato (per usare un eufemismo) nei confronti di Frodo anni prima, ammonendolo a non usare l’Anello pur senza metterlo in guardia in modo più preciso, cosa che avrebbe dovuto fare, alla luce di queste premesse.

Ed è così che si giunge, nel corso del racconto di Gandalf, a un’affermazione piuttosto netta, che svela il duplice aspetto dell’Unico, strumento per accrescere forza (intesa come volontà di dominio) e scienza (intesa come conoscenza delle forze naturali e del linguaggio, che agli occhi degli Hobbit appariva magia) di Sauron: «al nemico – afferma lo stregone – manca ancora una cosa che gli possa dare la forza e la scienza necessarie a demolire ogni resistenza, distruggere le ultime difese e far piombare tutte le terre in una seconda oscurità: gli manca un Anello, l’Unico» (55).

Del lungo racconto che Gandalf dedica alla storia dell’Unico, mi sembra importante porre in rilievo un commento che egli dedica a Smeagol: «L’anello gli aveva conferito un potere proporzionato alla sua statura». Ciò significa che l’Anello si adeguava alla personalità e al ruolo sociale del portatore: per adoperare un paragone con i tempi attuali, se oggi l’Anello finisse al dito di un broker di borsa lo spingerebbe a truffare i suoi clienti, se invece fosse adoperato da uno studente lo «aiuterebbe» a emergere nella valutazione scolastica, portandolo però a deridere i compagni meno bravi e facendo emergere in lui un forte senso di superiorità e disprezzo nei confronti degli altri compagni; e potrei continuare a lungo su questa scia. Altro elemento importante del racconto di Gandalf è l’affermazione relativa alla natura dei Grandi Anelli, che sottointende la sua capacità di «pensare» in modo indipendente, quasi fosse un essere vivente: «Un Anello del Potere vive la propria vita: può benissimo scivolare a tradimento, ma il suo custode non lo abbandonerà mai […] L’Anello stava cercando di tornare dal proprio padrone […] non aveva più bisogno di questo piccolo essere ignobile e meschino, e se fosse rimasto ancora con lui, non avrebbe mai più abbandonato quello stagno profondo» (p. 59). In questo modo Tolkien rivela che lo sfilarsi dell’Unico dal dito di Gollum sia avvenuto come conseguenza del risvegliarsi del potere di Sauron nel Bosco Atro e, addirittura, nelle regioni limitrofe: ritorna così, tuttavia, quel dubbio che avevo espresso in altre occasioni e all’inizio dell’articolo, in merito al mancato sentore dei poteri dell’Unico da parte di Sauron. Sembra difficile, infatti, che l’Anello avvertisse il risveglio di Sauron, ma questi non vi riuscisse.

Ho scritto un articolo davvero lungo, e spero che i miei lettori vorranno perdonarmi per questo: la storia dell’Anello, tuttavia, è davvero molto complessa e ha bisogno di una trattazione adeguata alla sua importanza.

My Book Tag Award (pt. 2)

Ringrazio Lettrice per avermi invitato a rispondere a queste interessanti domande e passo subito a rispondere a tali quesiti.

1. Qual è la tua fiaba preferita fra “Cenerentola”, “La Bella e la Bestia”, “Biancaneve e i sette nani”, “Pollicino” e “Cappuccetto Rosso”?

Premesso che adoro una fiaba da te non citata, ossia «La Bella addormentata», direi che apprezzo molto quella di Pollicino per l’intraprendenza che dimostra il suo protagonista.

2. Qual è il libro che hai cominciato ad amare solo dopo aver letto diversi capitoli (non dalle prime pagine, per capirci)?

Beh, devo ammettere che il Signore degli Anelli mi fece proprio questo effetto…cominciai ad apprezzarlo veramente dopo aver incontrato Grampasso. In realtà avendo visto il film animato di Bakshi prima di leggere il romanzo avrei già dovuto conoscere le vicende precedenti all’incontro alla Locanda di Brea con il ramingo, ma un curioso caso volle che, data la tarda ora cui lo trasmisero su Rai Due tanti e tanti anni fa, mia madre sbagliasse l’orario di programmazione della registrazione su VHS, ragion per cui il «mio» Signore degli Anelli iniziava solo con l’ingresso di Frodo & Co. nella città di Brea.

3. Solitamente ti rispecchi di più nel personaggio principale, o in un personaggio secondario?

Dipende: da lettore nel personaggio principale, da scrittore in quello secondario. Mi piace rendere i miei co-protagonisti quasi più affascinanti del protagonista principale.

4. Preferisci leggere prima un libro e poi vedere il film che ne viene tratto, oppure il contrario?

Ragioni filologiche mi spingerebbero a rispondere «prima il libro, poi il film», ma tante volte accade poi il contrario, per cui mi limito a rispondere che l’importante è non pensare che la rappresentazione cinematografica sia una fedele trasposizione (se non addirittura superiore) rispetto all’opera letteraria, mancando così di rispetto al suo autore.

5. Quando leggi un libro e/o guardi un film, ti interessano di più le scene di azione o quelle in cui si approfondiscono i rapporti tra i personaggi e le loro caratteristiche?

Sicuramente le seconde. Le scene di azione sono spettacolari a livello istintivo, ma poi, rivedendole in un secondo momento, non sono più in grado di offrire la stessa emozione provata la prima volta. Le scene di approfondimento psicologico, al contrario, non mancano mai di offrire importanti spunti di riflessione, anche (e soprattutto) nelle seconde e terze visioni/letture.

6. Qual è il personaggio letterario – o al limite cinematografico – che ti piace molto ma ti sembra sottovalutato dal resto del fandom?

Ho sempre avuto un debole per Bilbo e continuo a pensare che sia un po’ sottovalutato dagli appassionati tolkieniani, nonostante l’ottima interpretazione cinematografica offerta da Martin Freeman.

7. Se potessi scegliere un luogo in cui vivere, quale sceglieresti tra tutti quelli che hai conosciuto grazie alla lettura?

Probabilmente Rivendell, un luogo stupendo incorniciato da una natura ancora più bella.

8. C’è un genere letterario in particolare che non ami o che non leggi?

Il genere erotico non mi piace. Per il resto, dipende molto dalla trama e dalla qualità della scrittura.

9. Qual è il libro che non ce l’hai mai fatta a terminare (per un qualsiasi motivo)?

Non sono riuscito a terminare «La guerra dei poveri» di Nuto Revelli, forse perché sentivo le ambientazioni piemontesi lontane dalla mia realtà geografica. Me ne dispiaccio, perché trama e scrittura erano ben congegnate.

10. Qual è il libro che hai messo di più sul comodino – cioè hai letto più spesso prima di andare a dormire?

Penso «Jurassick Park», lo trovo molto divertente e intrigante. Ogni volta che lo leggo non posso fare a meno di provare a chiedermi cosa sarebbe successo se la clonazione di animali estinti avesse avuto successo.

Unico Anello: istruzioni per l’uso (parte I)

Ho scelto di attribuire un nome ironico a questo articolo per cercare di approfondire, su gentile suggerimento di Lettrice, una questione complessa sulla quale non esistono versioni definitive: la natura dell’Unico.

Questione complessa, dicevo, principalmente per due ragioni: la prima, interna alle opere di Tolkien, è legata alla scelta di attribuire la paternità fittizia delle sue opere a una serie di personaggi che di Sauron sono nemici: Bilbo, Frodo e, in misura minore, Sam, sono gli autori del Libro Rosso, ossia dell’Hobbit e del Signore degli Anelli; Bilbo, inoltre, risulta essere il traduttore dalla lingua elfica a quella comune del Silmarillion e (si presume) anche degli altri racconti ambientati nella prima e seconda era confluiti nella «History of Middle Earth». Non è un caso, dunque, che di Sauron, nonostante il titolo di «Signore degli Anelli» faccia naturalmente riferimento alla sua persona, si legga molto poco: perfino Frodo, infatti, che si era recato nella Terra Nera, arrivando sino alle soglie di Barad-Dur, non aveva certo avuto occasione di conoscerlo. All’epoca degli eventi ambientati negli ultimi anni della Terra di Mezzo, inoltre, non era rimasto quasi più nessuno di quelli che avevano conosciuto Sauron nelle vesti di Annatar: Gil-Galad e Celembrimbor erano morti, Cirdan risulta essere un personaggio secondario, mentre Galadriel ed Elrond, che forse avrebbero potuto esprimersi meglio sull’Oscuro Signore, non toccarono apertamente questo argomento. Probabilmente Celebrimbor era l’elfo che meglio di tutti avrebbe potuto illuminarci su Annatar, ma fu ucciso, forse proprio da Sauron in persona, e non lasciò nessuna testimonianza sul periodo della sua vita trascorso a contatto con lui, né lasciò spiegazioni di natura tecnica sugli Anelli. Qualche anno fa, a proposito della scelta di Tolkien di aver attribuito la scrittura delle sue opere a personaggi «positivi», lessi di un autore russo che aveva scritto il «Black Silmarillion», una sorta di versione alternativa di quest’opera, compilata dal punto di vista dell’Oscuro Signore. Non so se quest’opera sia stata tradotta in inglese, né ho idea di quale livello qualitativo abbia raggiunto: posso però dire che è strutturata intorno a un’idea piuttosto originale, che potrebbe risultare anche interessante, da un punto di vista accademico.

La seconda ragione che rende difficile comprendere quali fossero i veri poteri dell’Unico deriva invece da una circostanza «esterna»: Silmarillion, Hobbit e Signore degli Anelli sono, infatti, opere scritte in periodi diversi da Tolkien, quando il legendarium della Terra di Mezzo si trovava ad uno stato che potremmo definire compreso fra l’embrionale e il maturo. Dovendo però scegliere una linea temporale precisa, suggerisco di iniziare dall’anno di pubblicazione dell’opera, e dunque dall’Hobbit.

In questa opera l’Unico appare per la prima volta nel capitolo V «Indovinelli nell’Oscurità», nel quale l’autore sembra interrogarsi, insieme ai suoi lettori, sulla natura dell’Anello che era stato in possesso di Gollum per tanti secoli: come spiegavo in uno scambio di commenti con Lettrice, sembra che il Signore degli Anelli non sia neppure quell’essere malvagio che risulterà poi essere tutt’uno con il Negromante. Veniamo comunque a sapere che l’Anello ha il potere di stancare il dito e la pelle di Gollum e per questa ragione non lo teneva sempre con sé; inoltre, apprendiamo che rende invisibile la figura del portatore, a parte la sua ombra che può essere avvistata solo in pieno giorno e che sembra rimandare in modo allusivo al regno oscuro dal quale proviene. Più avanti, nel corso della lettura del romanzo, scopriamo che l’Anello rende i sensi del portatore più acuti e gli permette, inoltre, di comprendere il linguaggi di alcuni esseri, come ad esempio i Ragni Giganti. È questo il primo vero accenno a un legame possibile tra l’Anello e le creature malvagie della Terra di Mezzo, nonostante la conoscenza della lingua nera non sia, di per sé, un qualcosa di negativo (dipende dall’uso che se ne fa, come dimostra il fatto che la conoscesse anche Gandalf). Il secondo accenno, invece, è relativo a una questione psicologica, più che magica: Bilbo, infatti, si dimostra sin dall’inizio abbastanza riluttante a raccontare la vera storia dell’incontro tra lui e Gollum, senza chiedersi veramente il perché di una scelta che sembra in contrasto con il suo carattere. Infine – ed è forse l’elemento più importante da sottolineare – nell’Hobbit si trova per la prima volta l’accenno all’Anello come essere senziente. Quando Bilbo arriva all’uscita secondaria delle grotte degli orchi, infatti, Tolkien così descrive questo momento: «Fosse un caso, o l’ultimo tiro giocato dall’anello prima di cambiare padrone, fatto sta che non lo aveva al dito. Con urlo di gioia, gli orchi si precipitarono su di lui». (Lo Hobbit, p. 108)

C’è da notare, comunque, che anche di fronte al racconto che Bilbo narra dopo aver liberato i nani, nessuno di loro sembra essere spaventato dal suo uso: un elemento, questo, che sarà bene ricordare e che ci sarà utile per comprendere alcune parole pronunciate da Gloin e da Boromir in occasione del Consiglio di Elrond, molti anni dopo. A proposito delle avventure vissute da Bilbo nel Bosco Atro, c’è da notare una questione problematica sulla quale neppure l’opera cinematografica di Jackson, che tende a rileggere l’Hobbit in base alle vicende stabilite nel Signore degli Anelli, riesce a intervenire in maniera convincente: illustrare gli effetti che l’Anello comporta su Bilbo all’interno di uno dei territori occupati dall’Oscuro Signore. Pensate, per contrasto, a quello che succede a Frodo (e anche a Sam) quando si avventurano a Mordor: sono preda entrambi di tentazioni fortissime, alle quali devono opporre una resistenza fisica e spirituale sempre maggiore per evitare di cadere vittime del potere dell’Unico. Nel Bosco Atro, al contrario, non succede nulla di tutto ciò: è vero che Dol Guldur è abbastanza lontana dal luogo in cui Bilbo si imbatte nei ragni giganti, tant’è che nella mappa riportata nell’Hobbit Dol Guldur non è neppure riportata, tuttavia non c’è alcun dubbio che il potere del Negromante si estendesse in tutta la foresta, che rappresentò il primo luogo fisico nel quale egli si manifestò nel corso della Terza Era. Saggiamente, nel tentativo di fare da collante fra «Signore degli Anelli» e «Lo Hobbit», la sceneggiatura del film «La desolazione di Smaug» ha inserito uno scontro tra Bilbo e una grottesca creatura del Bosco Atro, da questi trafitta più volte perché l’hobbit pensava che potesse rappresentare un avversario in grado di minacciare l’Anello, forse addirittura di sottrarglielo. Tuttavia, secondo me, neppure questa scena collega direttamente l’Anello con Sauron: Bilbo non subisce nessuna visione, né deve opporre una particolare resistenza per evitare di cadere sotto il suo controllo. Da questo particolare si evince – una volta di più – che Tolkien non aveva ancora collegato, durante la stesura dell’Hobbit, l’Anello con il Negromante; la stessa trilogia cinematografica, dunque, a meno di non stravolgere pesantemente la trama del romanzo, non poteva intervenire su questa «contraddizione» interna del legendarium. Un ulteriore elemento di dubbio sulla natura dell’Anello trovato da Bilbo nelle caverne degli Orchi sovviene allo spettatore al termine della pellicola «La Battaglia delle Cinque Armate», allorché Gandalf si mostra inquieto a causa dell’Anello trovato da Bilbo e in maniera piuttosto vaga accenna al fatto che esistono altri anelli magici nel mondo, e che nessuno di questi deve essere usato alla leggera. Bilbo mente al suo mentore, sostenendo di aver perso l’Anello durante la guerra e Gandalf lascia perdere la questione, sebbene si allontani piuttosto turbato, come se qualcosa non lo convincesse. Bilbo, naturalmente, non ha smarrito l’Anello e se lo ritrova in tasca nelle scene finali del film, in un passaggio secondo me ben riuscito (non sempre mi dimostro critico nei confronti di Jackson:-P), perché funge molto bene da cerniera nei confronti della trilogia del Signore degli Anelli. Ma dei poteri e della storia degli Anelli nella trilogia tolkieniana discuterò nella seconda parte di questo articolo.

My Book Tag Award 2018

Ringrazio Eowyn per avermi invitato a rispondere a queste stimolanti domande. Purtroppo non sono in grado di invitare nessun altro a partecipare (i miei contatti coincidono con i tuoi), ma se i miei lettori dovessero crescere numericamente, ne terrò conto;)

1 Il Libro che hai sempre a portata di mano:

Domanda difficile…e più difficile ancora è la risposta! Leggo molti libri e di diverso genere. Escludendo quelli che consulto per ragioni professionali, direi «Racconti incompiuti» di J.R.R. Tolkien.

2 La citazione preferita

Dipende dal mio stato d’animo. Dovendo limitarmi ad una sola, mi piace ricordare questo breve componimento zen: «Per camminare sul filo tagliente di una spada/Per correre su un levigato lastrone di ghiaccio/Non c’è bisogno di seguire nessuna impronta/Cammina sui dirupi a mani nude». Mumon, La porta senza porta, Adelphi, Milano, p. 57, 2006.

3 Film o tv?

Attualmente trovo la TV molto noiosa e piena di pubblicità inutili, se non dannose. Preferisco andare al cinema, dove posso apprezzare generi diversi che spaziano dal fantasy alla fantascienza, dallo storico al drammatico, senza trascurare le commedie brillanti.

4 Ebook o cartaceo?

Gli ebook possono essere utili per lavoro (sono meno costosi dei cartacei e possono essere letti sul tablet in qualunque momento e luogo), però preferisco i libri cartacei. Adoro l’odore della carta!

5 Il primo libro che hai letto da solo

Non ne sono sicuro, ma credo sia stato un libro sui dinosauri. Da bambino ero un grande appassionato della Preistoria.

6 Traduzione o lingua originale?

Per lavoro mi capita spesso di leggere articoli e monografie in lingua originale (prevalentemente in inglese), tuttavia, se voglio rilassarmi, preferisco i testi scritti in italiano.

7 Un libro o un autore che ti ha deluso

Sicuramente Terry Brooks. Molti anni fa mi consigliarono di leggere «La Spada di Shannara», ma la trovai banale e poco originale (notavo al suo interno un forte influsso delle opere di Tolkien).

8 Hai mai scritto un fanfiction?

Premesso che trovo il termine fanfiction vago e indistinto, perché racchiude al suo interno una gamma vasta di scritti…sì, ho scritto una fanfiction ambientata nella Terra di Mezzo di Tolkien.

9 Il fandom preferito (o quello nel quale partecipi il più attivamente)

Beh, in questo caso la risposta è facile: l’universo della Terra di Mezzo

10 L’autore di cui hai sentito parlare e ti incuriosisce, ma è ancora da scoprire

Tanti amici mi hanno parlato della Rowling e della saga di Harry Potter, tuttavia, pur avendo visto e apprezzato la saga cinematografica, non ho mai avuto occasione di leggere un suo libro.

Adunaphel l’Incantatrice. La Settima

Per tutti quelli che credono che le donne siano meno pericolose (ed efficaci) degli Uomini…altro che sesso debole! Immagino che la scelta di un Nazgul donna possa non piacere a tutti, perciò sono preparato a obiezioni in questo senso; tuttavia, ritengo che accanto a donne elfiche come Galadriel, schierate fra i «buoni», non sfigurino degli alter ego militanti nella parte avversa. Nasce così la figura di Adunaphel, una sorta di Mata Hari della Terra di Mezzo, letale, seducente e pericolosa spia al servizio di Sauron. Buona lettura!

Principessa del Forastar in Numenor, dama Adunaphel era nata nell’anno 1823 della Seconda Era nella città di Armenelos, figlia di Inizildun, principe e comandante della flotta del re; fin da tenera età ella si distingueva dalle sue compagne per una mente acuta e una bellezza simile a quella delle donne elfiche: crescendo, Adunaphel affinò le sue doti, e numerosi Uomini le chiesero la mano, sedotti dal suo fascino e dalla sua volontà d’acciaio. Adunaphel, tuttavia, disdegnava tali proposte non reputandole all’altezza della propria fama; molto temeva la morte e mai obliò le sofferenze che l’anziano padre aveva patito durante la lenta agonia che l’aveva condotto al suo decesso, provocate dal suo folle disio di abiurare la morte stessa, perdurando nel suo corpo mortale. Poco affetto c’era tra la dama di Forastar e la madre, ché costei sosteneva la causa degli Eldar ed era avversa al partito del sovrano, cui invece la figlia aderì con entusiasmo: alla corte del sovrano ella conobbe il principe Atanamir, e il suo cuore fu colmo di passione nei suoi confronti, reputandolo superiore a coloro che aveva respinto in passato; grande fu la sua ira allorché l’Erede al trono la respinse ed ella giurò sulla memoria del padre che avrebbe ottenuto la testa del principe.

Nel 1914 S. E., Adunaphel abbandonò Numenor per fondare una colonia nella Terra di Mezzo e sottomettervi i suoi abitanti; a lungo ella viaggiò verso ponente, finché sbarcò nelle terre dei Variag, ove impose la sua legge: per alcuni anni il regno di Ard la Vanitosa, come ella si faceva chiamare dalla sua gente, espanse i suoi confini a Est e a Sud, finché Adunaphel, stanca di dover pagare un tributo al suo re, colse l’occasione per dichiarare la propria indipendenza: Atanamir, nel frattempo divenuto sovrano di Numenor, ne decretò la condanna a morte ed ella allora fuggì verso Oriente, mentre il suo regno veniva occupato dalla armate di Numenor. Rabbia e ira covò nel suo cuore e a lungo vagabondò nei deserti del Khand, fino al giorno in cui fu catturata da una tribù di Variag, il cui signore ne fece la schiava preferita; ella pazientò, finché non sedusse le guardie del suo padrone e non fu certa di aver appreso le arti della spada e della lancia. Dopo un anno Adunaphel sgozzò nel sonno il re dei Variag e si proclamò regina di quel popolo: Sauron allora ebbe sentore della signora di Numenor e la convocò a Mordor, promettendole vendetta contro i guerrieri di Atanamir. Adunaphel accettò l’offerta dell’Oscuro Signore e ricevette il settimo Anello degli Uomini, giurando eterna fedeltà al suo padrone, nell’anno 2004 della Seconda Era.

Nei successivi mille anni, il Nazgul ebbe dimora nella capitale del suo impero, che in lingua elfica aveva nome Minas Gulwen (Torre della Fanciulla Strega), ordendo la caduta di Numenor; nell’anno 3277 Sauron la inviò a Umbar, ove ella sedusse il luogotenente di Ar-Pharazon, sicché l’influenza del Maia Caduto si estese al porto. Erfea Morluin visitò la roccaforte di Adunaphel due anni dopo e ne sconfisse i servi con l’aiuto del principe elfico Morwin: furente, Adunaphel allora affrontò i due guerrieri e avrebbe riportato la vittoria, se in quel momento il Sole non si fosse levato in tutta la sua possanza umiliando il suo nero spirito. Dopo Atalante, le armate di Adunaphel presero la città di Minas Ithil e si diressero verso Osgiliath, venendone duramente sconfitte durante il primo assedio: in seguito, ella fu vicino a realizzare il suo obiettivo, allorché giunsero gli eserciti degli altri Ulairi e Gondor parve crollare; tuttavia, l’arrivo della forze dell’Alleanza sconvolse i suoi piani ed ella ripiegò alla Dagorlad, ove venne sconfitta nuovamente. Negli ultimi anni dell’assedio partecipò con gli altri Nazgul alla difesa di Barad-Dur, precipitando nell’oblio allorché Sauron cadde.

«Il Ciclo del Marinaio», pp. 392-393

 

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adunaphel

Suggerimenti di lettura:

I Nazgul

Er-Murazor, il Primo dei Nove

Khamul, il Secondo, l’Ombra dell’Oriente.

Dwar di Waw, il Terzo, il Signore dei Cani

Indur, la Morte dell’Alba, il Quarto

Akhorahil, il Re Tempesta, il Quinto

Hoarmurath di Dir, il Re del Ghiaccio, il Sesto.

Ren il Folle, l’Ottavo

Uvatha, il Cavaliere, il Nono

Ritratti – Adunaphel l’Incantatrice

Signori in piedi! Entra la Giuria. In difesa di Dain II Piediferro

Riprendo una rubrica che avevo inaugurato alcune settimane fa, dedicata alla rappresentazione dei principali personaggi delle opere tolkieniane nelle pellicole cinematografiche di Jackson. Come avevo annunciato, si tratta di un confronto semiserio nei quali vesto sia i panni dell’accusa che della difesa, cercando di porre in luce gli elementi meglio (o peggio) riusciti dei personaggi della Terra di Mezzo. Non si tratta di giudizi assoluti, né vogliono avere la pretese di essere tali: lo scopo di questa rubrica è solo quello di invitare a riflettere sulle differenze che, inevitabilmente, sorgono fra due canali comunicativi intercantesi e tuttavia molto differenti, come la scrittura e l’arte cinematografica.

Quest’oggi voglio approfondire la figura di Dain II Piediferro. Ne «Lo Hobbit», Dain è poco più che una invocazione lanciata da Gandalf poco prima dello scoppio della battaglia dei cinque eserciti, con la quale egli invita il re dei nani a unirsi agli uomini e agli elfi per la disperata difesa della Montagna. Al termine dello scontro, tuttavia, Tolkien inizia a farci scoprire un personaggio dal carattere nobile, che desidera porre rimedio al comportamento poco saggio tenuto da Thorin nei confronti di Bilbo prima che gli Orchi giungessero alla Montagna Solitaria, pur tenendo conto delle evoluzioni che, nel frattempo, si sono verificate:

Gli altri rimasero con Dain; infatti Dain distribuì con accortezza il tesoro. […] A Bilbo egli disse: «Questo tesoro è tuo quanto mio; però gli antichi accordi non possono più sussistere, perché molti hanno acquisito un diritto su di esso, conquistandolo e difendendolo. Tuttavia nemmeno se tu fossi disposto a rinunciare a tutti i tuoi diritti, vorrei che le parole di Thorin, di cui egli si pentì, si dimostrassero vere; e cioè che ti dessimo poco. Vorrei ricompensarti più riccamente di tutti». Lo Hobbit, p. 327-328.

Nel Signore degli Anelli il ritratto di Dain si approfondisce maggiormente: non solo perché, a differenza di quanto avviene nei film di Jackson, è Dain che uccide Azog, vendicando così sia suo padre che suo zio, ma perché si comporta in modo saggio e accorto in almeno due occasioni: nella prima, quando giovane nano (considerato poco più che adolescente) ammonisce Thrain a non entrare nelle Miniere di Moria dopo la disfatta degli Orchi, perché ha visto con i suoi occhi il pericolo che si nasconde nell’oscurità di Khazad-Dum, il Flagello di Durin*; nella seconda circostanza allorché si confronta nientemeno con uno dei Nazgul, inviato da Sauron allo scopo di incutere paura nei figli di Durin, e, verosimilmente, a verificare le difese militari che i Nani avrebbero potuto schierare contro i suoi tentativi di conquistare l’Oriente della Terra di Mezzo. Nel rispondere al pericoloso messo dell’Oscuro Signore, Dain mostra grande fermezza e prudenza:

«La mia risposta non è un sì né un no. Devo riflettere sul tuo messaggio e su ciò che implica dietro le belle apparenze.”. “Rifletti bene, ma non troppo a lungo” disse il messaggero. “Il tempo del mio pensiero è mio, e sono libero di impiegarne quanto voglio”, rispose Dain. “Per ora”, disse l’altro cavalcando via nell’oscurità». Il Signore degli Anelli, La Compagnia dell’Anello, p. 327.

Anche nel terzo capitolo della saga cinematografica dell’Hobbit il personaggio di Dain è poco più che una comparsa: almeno su questo non si differenzia molto dal personaggio originale. La questione più grave, tuttavia, resta quella caratteriale: il soggetto cinematografico, infatti, è molto meno saggio rispetto alla figura del romanzo. Lo stesso Gandalf, nel presentare il cugino di Thorin a uno stupefatto Bilbo, lo descrive come molto più ostinato del figlio di Thrain, il che è tutto dire! In particolare, c’è una scena che proprio non riesco ad accettare e che è visibile, fortunatamente, solo nella versione estesa: quella in cui Dain ordina ai suoi di attaccare gli Elfi. Ancora una volta, Jackson non si rende conto di quanto i Popoli Liberi fossero riluttanti all’affrontarsi in guerra, tanto più tra genti che solitamente non si combattevano fra loro: nel libro, infatti, non si giunge allo scontro armato. Anche Thranduil si mostra molto riluttante a scendere in guerra a causa dell’oro, preferendo aspettare l’inverno per prendere i Nani a causa della fame e del freddo.

In difesa degli sceneggiatori, comunque, va detto che Dain nei film rappresenta l’alter ego di Thorin: laddove il figlio di Thrain cerca di ascoltare i suggerimenti di Gandalf, Dain è invece irascibile e sospettoso oltre ogni limite. Inoltre (altro punto a favore degli sceneggiatori) Dain deve fare da contraltare anche a Thranduil, il quale, a sua volta, si mostra molto diffidente nei confronti dei Nani, non mancando di far notare in diverse occasioni che lo scontro con i figli di Durin è inevitabile. Una scelta legittima, quella degli sceneggiatori, che può ricevere molto attenuanti nel giudizio: ciò non toglie, tuttavia, che il «crimine» sia stato commesso e che il giudizio della Giuria non possa che essere univoco: colpevoli.

*Una scena stupenda, che avrei tanto voluto vedere nel film dell’Hobbit, ma pazienza. Immaginate Dain che si affaccia all’interno delle Miniere, ancora orgoglioso per aver ucciso Azog e scorge, immobile nell’oscurità, più nero della notte, il Balrog che lo fissa in un glaciale silenzio, mentre i suoi occhi di bragia splendono nel buio.

Hoarmurath di Dir, il Re del Ghiaccio, il Sesto.

Nato nell’anno 1954 della Seconda Era a Emurath di Uab, nella foresta di Dir posta all’estremo Nord della Terra di Mezzo, Hoarmurath era un discendente di una stirpe di rozzi montanari e cacciatori: sua madre era stata la grande matriarca del regno di Urdar finché la morte l’aveva colta durante una delle numerose guerre condotte contro le genti del Forochel, lasciando il trono nelle mani della figlia maggiore Amurath, secondo le leggi del suo regno; in tale occasione Hoarmurath divenne il Signore della Casa, raggiungendo in tal modo la carica più ambita che un Uomo potesse desiderare nella contrada di Urdar. Tosto, tuttavia, l’ambizione di Hoarmurath giudicò la propria posizione insufficiente per realizzare i grandi obiettivi che la mente di costui aveva maturato durante un soggiorno tra le genti del Khand; ivi si era convinto che il manto regale spettasse a un uomo e che sua sorella dovesse essere deposta: fatto ritorno a Urdar reclutò molti sostenitori fra coloro che detestavano Amurath, proclamando apertamente la ribellione.

Oltraggiata dall’insulso comportamento del fratello, la matriarca di Urdar ne ordinò l’arresto e ne dispose l’esilio; seguirono scontri armati tra le due fazioni, finché Amurath cadde sotto i colpi dei sicari di suo fratello, il quale pose sul suo capo la corona di Urdar nell’anno 1992; reso arrogante dai successi ottenuti, Hoarmurath si accinse a conquistare i territori dei Lossoth. Nulla temeva, ché era invero un grande guerriero, eppure la regina sua sposa non riusciva a dargli quell’erede maschio che avrebbe assicurato la sopravvivenza della sua dinastia: allora lo prese la paura della morte ed egli si rivolse a un suo alleato, Khamul l’orientale, il quale gli offrì, su ordine di Sauron, il sesto Anello degli Uomini; accecato dalla follia, egli lo accettò senza porsi alcuna domanda e cadde in preda al potere dell’Ombra, nell’anno 2003 della Seconda Era.

Nei successivi quattrocento anni, espanse i confini del suo reame, conquistando le terre dei Lossoth e spingendosi finanche nel Rhovanion, ove sottomise numerose tribù di Esterling: infine, dopo aver ucciso la prima moglie e aver assicurato un erede al proprio regno, partì per Mordor, ove servì il suo signore fino alla cattura di costui da parte dei Numenoreani. Dopo la Caduta, fece ritorno a Urdar, ove comandò gli eserciti di Dir nelle battaglie contro i cavalieri del Rhovanion che ancora non si erano sottomessi alla volontà di Sauron, sconfiggendoli in battaglia presso il fiume Celudin; richiamato tuttavia all’assedio di Gondor, il Re del Ghiaccio, come lo chiamavano i suoi guerrieri, condusse il suo esercito a Sud.

Dopo la sconfitta per opera dell’Ultima Alleanza, Hoarmurath partecipò alla difesa di Barad-Dur, precipitando nell’ombra allorché Isildur si impossessò dell’Unico Anello.

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Le sette stirpi dei Nani

Quando completai «Il Ciclo del Marinaio» inserii nelle Appendici dei miei racconti un approfondimento dedicato alle stirpi dei Nani. Questo, infatti, è un argomento che mi ha incuriosito sin dalla prima lettura delle opere di Tolkien: a parte alcuni cenni alle stirpi di Khazad-Dum, Belegost e Nogrod, e alla presenza di una schiera di nani che combattè sotto le insegne di Sauron durante la battaglia finale della Seconda Era, infatti, delle altre non si conosce nulla (almeno nelle opere tradotte in italiano). Personalmente, trovo il popolo nanico molto affascinante: per questa ragione, oltre ad avere inserito due nani tra i protagonisti del mio ciclo di racconti – Bor e Groin – mi sono cimentato in questa ricostruzione delle origini e degli sviluppi storici delle casate del popolo di Aule. Buona lettura!

«Secondo quanto narrato dagli Eldar in esilio, Aule, il Fabbro dei Valar, desideroso di avere una discendenza alla quale insegnare la propria arte, fabbricò in segreto sette esseri maschi e sei di sesso femminile, affinché popolassero il vasto mondo. In seguito Eru Iluvatar, venuto a conoscenza di tale creazione, si trattenne a lungo nella dimora di Aule, mostrandogli che nulla poteva essere creato da altri che non da lui stesso, e il Vala, profondamente pentito, afferrò un martello con il quale avrebbe distrutto la sua progenie; Eru Iluvatar, tuttavia, fermò la sua mano, ché invero aveva compreso quale sentimento nutrisse nel suo animo il fabbro e accettò le creature di Aule, proclamando che anch’esse avrebbero avuto parte al destino di Arda e spirando nei loro petti il soffio vitale: sebbene la progenie di Aule fosse stata riconosciuta dall’Uno, essa avrebbe dovuto riposare nella roccia dalla quale aveva avuto origine per i successivi secoli, attendendo che i Primogeniti di Eru, gli Elfi, si destassero a oriente. Tale fu l’origine dei Khazad, che gli Eldar chiamano Naugrim e gli Uomini Nani: i sette figli di Aule si sparsero per il vasto mondo, conducendo con loro la propria discendenza; delle sette stirpi che si vennero in tal modo creando, nessuna era più temuta e onorata di quella di Durin il Senza Morte, erede del primo Nano ad aver calcato il suolo della Terra di Mezzo. Molte sono le storie legate alle gesta del suo popolo, ché esso ebbe parte a molte delle vicende dei Figli di Eru Iluvatar e fu fiero avversario del Nemico nelle ere che il mondo conobbe nei secoli a venire; tuttavia, poiché altrove sono narrate le sue vicende, qui non se ne trova traccia. Punto o poco è noto delle altre stirpi dei Khazad, ché esse solevano dimorare in regioni remote, ove di rado giungevano gli Eldar e gli Edain: il popolo di Bavor, il secondogenito di Aule, fu il primo ad abbandonare la propria terra natia nel remoto Nord, mentre le altre progenie ancora si attardavano negli asili in cui erano venute alla luce; Bavor condusse la sua gente verso Sud, ed edificò la propria dimora presso le Montagne Gialle, che i Sindar chiamarono Ered Lavonar e i Naugrim Mablad. Tale stirpe, tuttavia, non conobbe un lieto destino, perché in seguito all’assassinio di Bavor da parte di alcuni vassalli invidiosi, vi furono ribellioni e disordini che presto sfociarono nella guerra civile: al termine di tale conflitto, la stirpe di Bavor si scisse in tre fazioni, ciascuna delle quali abbandonò le altre, dirigendosi in diverse direzioni, ché ormai ben poco affetto vi era tra loro. I discendenti della linea di Fadon, colui il quale aveva trucidato il legittimo sovrano, conobbero una sorte infausta, ché, stabilitisi nei pressi degli Ered Lithui, (I Monti di Cenere), furono corrotti da Sauron e divennero i suoi schiavi, servendolo durante tutta la Seconda Era.

I Nani della terza e quarta stirpe viaggiarono a lungo verso l’occidente, lì ove si narrava venissero compiute eroiche gesta da parte dei figli di Feanor, e si stabilirono nelle caverne e nelle grotte sotterranee che si estendevano sotto i Monti Azzurri (Ered Luin), venendo, primi fra il loro popolo, a contatto con gli Elfi del Beleriand, con i quali strinsero rapporti di amicizia e alleanza. La terza stirpe, sotto il comando di Dwalim, edificò la meravigliosa città di Gabil Gathol, che i Sindar chiamarono Belegost (Fortezza Poderosa): essa era situata a Nord della Montagna Umida. La tribù di Thrar si stabilì presso Tumunzabar, la possente fortezza che gli Elfi del Beleriand chiamarono Nogrod (Il Tunnel dei Nani); situata a Sud, i suoi cancelli si ergevano a guardia del passo di Cirith Ascar (Il Passo Impetuoso) e dominavano l’antica strada dei Nani, che attraversava il fiume Gelion sino a Sarn Gonrad (Il Guado delle Pietre). Sebbene entrambe le stirpi avessero contratto amicizia con i figli di Feanor, delle due solo quella di Dwalim recò aiuti concreti agli Eldar durante le loro guerre contro Morgoth, mentre i discendenti di Thrar si limitarono a cauti scambi commerciali con gli Eldar e in seguito con gli Edain, allorché costoro fecero la loro apparizione nel Beleriand; nonostante tale freddezza nei rapporti tra i due popoli, alcuni signori elfici ebbero in dono mirabili artefatti bellici forgiati da Telchar il fabbro, il più rinomato artista tra i Naugrim in quei giorni remoti. Durante la Battaglia delle Innumerevoli Lacrime (Nirnaeth Arnoediad), le schiere di Belegost, comandate da Azaghal, figlio di Dwalim, respinsero i Grandi Vermi che nella sua ira Morgoth aveva scatenato contro i Popoli Liberi, permettendo in tal modo alle forze dell’Alleanza di ritirarsi senza subire gravi perdite; nello scontro contro il Padre dei Draghi, Glaurung il Dorato, Azaghal perì eroicamente, non prima di aver inflitto una grave ferita al suo avversario che dovette tornare ad Angband umiliato. Al termine della Prima Era e dopo l’assassinio di Thingol, re degli Elfi, le stirpi dei Nani delle Montagne Azzurre fuggirono a Est, ché i grandi sconvolgimenti causati dalla Guerra d’Ira avevano distrutto molte delle loro antiche dimore e il mare ne aveva sommerso le rovine; il loro numero decrebbe lentamente ed esse giunsero a Khazad-Dum ove furono accolte dai discendenti di Durin il Senza Morte; non tutti gli eredi di Dwalim migrarono tuttavia a Est, ché alcuni stabilirono il loro dominio sul versante orientale delle Montagne Azzurre, ove ebbero modo di commerciare con gli Eldar e i Dunedain durante la Seconda Era, al termine della quale marciarono contro le schiere di Mordor che si levavano da Est.

Thelor era il padre della quinta stirpe e signore del Monte Gundaband, ove il suo popolo edificò una città, la cui bellezza era paragonabile a quella di Khazad-Dum: tuttavia, al sorgere della Seconda Era, gli attacchi degli Orchi e di altre creature della Tenebra, indebolirono le sue difese e i Nani furono alfine costretti a cedere, abbandonando le antiche magioni nelle mani dei servi di Morgoth. Al termine del secondo secolo di quell’era, la stirpe di Thelor giunse alle montagne del Rhun, ove prosperò per sette secoli, prima che sorgessero contrasti nel regno: al termine di tale periodo, infatti, Thulin, un vassallo dell’erede di Thelor, trucidò il suo signore, ritenuto da molti infido e arrogante, e ne usurpò il trono, scatenando una funesta guerra civile, che condusse a nuovi assassini e usurpazioni, finché Thris, figlia di Thelor XIV, in una congiura di palazzo, privò della vita l’ambizioso Thulin, ponendo fine a un decennio di guerre civili. Il nuovo sovrano, fratello di Thris, salì al trono l’anno successivo e condusse il suo popolo verso una nuova meta, stabilendo il suo dominio negli Ered Harmal, presso le caverne chiamate Namagaluz, il cui cancello si apriva verso levante, a guardia delle acque di Heb Haran, in prossimità delle contrade abitate dai Chey: nel corso della Seconda Era, tale complesso costituì la più grande città dei Nani nell’Endor centrale e nei secoli a venire prosperò, ché i suoi abitanti non furono coinvolti nelle guerre tra l’oscuro discepolo di Sauron e i Popoli Liberi, ed essi crebbero in numero.

La sesta e settima tribù, sotto il comando degli eredi di Druin e Barin, si stabilirono nell’Endor estremo, ove occuparono le antiche sale situate nei Monti Ruurik, a partire dall’ottavo secolo della Seconda Era. Guidati da Balli, erede di Druin, i Nani edificarono la capitale del loro reame nelle caverne di Akbuzdah, ed essa, a costruzione ultimata, fu chiamata Tumunamahal in onore del loro creatore, il Vala Mahal (Aule); codesto complesso si strutturava secondo un progetto che comprendeva ben sette livelli e sette abissi, rendendo la città simile a quella di Khazad-Dum, cui il disegno era ispirato. Tumunamahal era raggiungibile per mezzo di due ingressi separati, uno dei quali era posto alla base di un profondo cunicolo, cui i Nani diedero il nome di “Crepaccio di Druin”: al di là del suo cancello, l’accesso principale era posto al termine di una lunga scale a spirale che conduceva nelle profondità della terra; la seconda entrata era situata sul crinale occidentale delle Montagne del Vento (Ered Gwaen), ed era difesa da tre poderosi cancelli di adamante. La settima tribù, sotto il comando dell’anziano Barin, giunse nella regione alcuni anni dopo, con la speranza di poter stabilire le proprie dimore in tali contrade, dopo aver abbandonato la fortezza di Amon-Lanc nel Rhovanion, le cui sale erano divenute ormai troppo anguste: al fine di suggellare un’alleanza tra le due stirpi, Barin propose al sovrano della sesta stirpe di prendere in moglie sua figlia Bis: soddisfatto da tale offerta, Druin XIV offrì al suocero vaste contrade poste a Est del suo regno, e ivi i Nani dell’ultima stirpe edificarono un città, cui venne dato nome Khalaz-Dum (L’Antro dell’Eco), simile, nelle intenzioni dei suoi progettisti, all’ancestrale dimora in cui si erano destati i figli di Aule. Le due stirpi prosperano durante la Seconda Era e al termine di essa si unirono all’Alleanza dell’Ovest per fronteggiare la minaccia di Mordor: tale fu la loro scelta, ché essi non avevano obliato l’aiuto che in passato aveva fornito loro un possente guerriero, durante l’esplorazione dell’antiche rovine di Amon-Lanc, cui avevano dato nome Khevialath (Il Lungimirante) e che gli Eldar e gli Edain invece chiamavano Morluin. Durante la cerca dell’antica Gemma dei Nani, infatti, Khevialath aveva trucidato Andalonil, un servo di Sauron l’Aborrito, e allontanato da Amon-Lanc gli eserciti di costui, riportando una preziosa vittoria sulle schiere dell’Avversario: in tale occasione, i Nani del Ruurik, grati dell’enorme servigio reso dal Dunadan, giurarono solennemente che avrebbero ricompensato degnamente l’aiuto che costui aveva dato loro, e, memori di tale promessa, inviarono vaste schiere del loro esercito alla battaglia della Dagorlad, mettendo in fuga il popolo di Bavor che sosteneva il Nemico».

«Il Ciclo del Marinaio», pp. 406-410

 

 

Il primo incontro di Erfea con i Nazgul

Finora ho narrato le storie dei primi cinque Nazgul, evidenziandone le ragioni che hanno condotto ognuno di loro alla scelta tragica e fatale di accettare uno degli Anelli del Potere e cedere così il proprio libero arbitrio all’Oscuro Signore. Attraverso queste descrizioni, vi ho narrato di Stregoni, Sovrani, Guerrieri, la maggior parte di nobili stirpi, qualcuno di umili origini, ma tutti accomunati da una grande sete di potere e volontà di dominio.

Non ho, tuttavia, ancora spiegato in quale circostanza Erfea conobbe i Nazgul e i motivi che lo spinsero a combattere questi oscuri servitori del Nemico, di cui fu avversario spietato.

Quella che sto per narrarvi in questo articolo è la storia dell’incontro fra un giovanissimo principe numenoreano e un Nazgul che fu, oltre che stregone esperto di Arti Oscure e sovrano, incarichi che condivise anche con altri suoi pari, anche e soprattutto un uomo politico di primo piano nella società numenoreana. Una peculiarità, quest’ultima, che lo rende, a mio parere, forse il più pericoloso fra i Nazgul. Leggete e giudicate, aspetto i vostri commenti in proposito.

«”Signori e Dame di Numenor, Padri dell’Isola e Custodi dell’Antica Tradizione, vi invito a levare in alto i vostri preziosi calici, ché questa sera accogliamo coloro che molti anni hanno trascorso nelle contrade della Terra di Mezzo; brindiamo, dunque, ad Arthol e a Erfea, Cavalieri del Regno!”. Lungo fu l’applauso che i Signori e le Dame riservarono al giovane cavaliere allorché questi fu insignito del suo titolo; infine, l’araldo convocò Erfea, figlio di Gilnar, dinanzi a Palantir: al fianco del principe dello Hyarrostar era Amandil, suo parente, sebbene più anziano: giunto che fu innanzi al figlio di Ar-Gimilzor, egli chinò il capo ed estrasse Sulring dallo sdrucito fodero in cui era stata riposta per centinaia di anni: stupore si levò, allora, in tutta la sala, ché la lama era invero splendida e terribile a vedersi ed essa irradiava una forte luce azzurra, tale che molti furono costretti ad abbassare il capo, pur non comprendendone la ragione, a eccezione di uno.

Mai Erfea aveva posto il suo sguardo sulla maschera dorata che occultava il volto del principe del Forostar, ché questi era giunto a Numenor allorché egli dimorava nelle contrade della Terra di Mezzo e sconosciuto gli era finanche il nome, sebbene a costui fossero noti molti degli eventi che riguardavano l’esistenza di Erfea ed egli era fiero nemico della sua fazione, essendo degli Uomini del Re; eppure, non era un uomo vivente, come lo credevano i suoi alleati e i suoi servi, bensì uno spettro intriso di malvagità e di malizia, ché egli era invero Akhorahil il Re Tempesta, quinto in possanza fra i Nove Ulairi che servivano l’Oscuro Signore di Mordor, Sauron l’Aborrito. Il luogotenente di Morgoth l’aveva inviato a Numenor, ché fosse il suo araldo in tale contrada e ne diffondesse le abiette parole. Molto aveva appreso durante gli anni in cui si era stanziato ad Armenelos, ove, gli era stato attribuito il titolo di principe, ché invero possedeva molto denaro e i suoi mercenari incutevano timore in quanti tentavano di contrastarne la volontà: pure, Ar-Gimilzor l’aveva reputato utile ai suoi scopi, ché molto abbisognava dell’oro e dell’argento che giacevano nei suoi forzieri per corrompere quanti erano suoi avversari, sicché l’aveva colmato di doni e gli aveva affidato il feudo delle contrade settentrionali; grande era divenuta l’influenza di Akhorahil nelle sedute del Consiglio dello Scettro ed egli sovente inspirava nel suo sovrano azioni bieche e crudeli, tali che lo spirito di Ar-Gimilzor ne fu corrotto ed egli divenne presto schiavo del volere di Sauron, ché, invero, qualunque parola fosse stata pronunciata dal Nazgul, pure ne era questi l’ispiratore.

Spie degli Ulairi avevano riferito ad Akhorahil che l’erede di Gilnar era invero un possente guerriero e uno spirito lungimirante, sicché egli prese a detestarlo, pur non avendone ancora scorto le sembianze ed essendo riluttante a recarsi nella sua dimora, ché Gilnar non avrebbe tollerato la sua presenza nella terra natia e tosto l’avrebbe allontanato; a lungo, dunque, aveva atteso che Erfea gli si rivelasse e grande fu invero la sua ira e la sua paura, allorché si avvide che questi era stato armato di una lama elfica, ché essa era in grado di rivelare la presenza dei servi di Morgoth; pure, egli sorrideva, ché sapeva essere tale peculiarità un segreto noto a pochi fra i Signori di Numenor, sicché, per il momento, nulla aveva da temere. Tuttavia, non avrebbe tollerato che un simile Uomo fosse elevato a un rango che gli avrebbe attribuito notevole fama e chiese la parola: “Principi di Numenor, vi è tra voi chi ancora ricordi le leggi dei nostri padri, in tali tempi di decadenza e oblio? Perché, se alcuno fra coloro che sono seduti in tale luogo rimembrasse tali precetti, ecco che io non esiterei a chiamarlo fedifrago e il nome della sua casata sarebbe infangato da un simile disonore; tuttavia, tale è la mia opinione, il dolce nettare degli dei ha inebriato i cuori e le menti di molti dei presenti, sicché non è per me motivo di meraviglia intendere che nessuno sia in grado di ricordare quanto il mio cuore mai hai obliato. Concedetemi, dunque, di parlare a nome del glorioso sovrano, Ar-Gimilzor, il quale non è presente in tale consesso, affinché le leggi dei padri siano tosto rimembrate: l’erede di Gilnar, il cui sembiante mai avevo mirato sino a tale giorno, sebbene mai alcuno fra quanti hanno le loro dimore ad Armenelos gli abbia recato offesa – e dicendo questo, gli rivolse un profondo inchino – costui, dicevo, ha testé recato, innanzi a noi qui riuniti, una lama quale mai la legge dei nostri padri avrebbe permesso che fosse adoperata durante la cerimonia di investitura: essa, infatti, è una spada proveniente dall’antica città di Gondolin, non già da una delle nostre armerie”.

Tacque per un attimo, infine parlò nuovamente: “Leggo nei vostri sguardi lo stesso stupore e la stessa meraviglia che provai allorché questo giovane sguainò la sua arma dinanzi a noi: essa è una lama barbara e tale rivelazione sarebbe sufficiente per riempire me e voi di giusto sdegno; tuttavia, come se ciò non costituisse già una grave colpa, costui ha recato seco una spada stregata, la cui malsana luce incute timore in quanti osano guardarla. Non vi è alcun dubbio che il giovane, confuso dal vino e dai graziosi volti delle dame ivi presenti – e, a tale rivelazione, molti risero sommessamente – abbia obliato tale legge, né sarò io a chiedere che gli venga attribuita pena più grande di quella che la vergogna per tale rivelazione affliggerà il suo cuore: tuttavia, vedete bene come sia impossibile che tale othar aspiri alla carica che il principe Numendil gli offre”.

Silenzio echeggiò in tutta la sala, ché invero molti furono presi dal dubbio e rosi dall’inquietudine; tosto, tuttavia, si levò un brusio concitato, ché ognuno esprimeva la propria opinione ed essa sovente contrastava con quella del proprio vicino; infine, allorché la confusione parve raggiungere il culmine, si levò, chiara, la voce di Numendil: “Le leggi dei nostri padri prevedono quanto tu hai ricordato, principe Akhorahil; eppure, esse stabiliscono che sia l’investitore a giudicare se l’arma con la quale l’othar si presenti per la cerimonia possa considerarsi valida o meno: stando così le cose, io non mi opporrò alla nomina di Erfea di Numenor, ora Capitano della Cavalleria del Regno”. Alte grida di approvazione si levarono allora da coloro che erano del partito dei Fedeli, ché essi speravano venir meno in tal modo la richiesta di Akhorahil; costui, tuttavia, non esitò a parlare nuovamente e, sebbene una furia cieca si agitasse nel suo oscuro animo, seppe abilmente occultarla: “Ai voti! Si metta dunque ai voti la nomina di Erfea, figlio di Gilnar, a capitano della cavalleria del regno!”. Numendil, sebbene fosse profondamente turbato, non poté esimersi dall’accettare una simile richiesta, ché egli era Sovrintendente del Regno e Alto Custode delle Leggi e della Tradizione, sicché, mostrando grande riluttanza, pure fu costretto a cedere. Sorrise in cuor suo il Nazgul, ché egli credeva sarebbe giunta facilmente la vittoria: gli Uomini del Re, infatti, erano in maggioranza ed essi avrebbero seguito il suo volere, mostrandosi avversi alla proposta che Numendil aveva fatto propria; grande fu, tuttavia, la sua sorpresa, allorché risultò che egli era stato battuto, ché alcuni fra i Signori di Numenor del suo partito, spaventati dai successi che il principe del Forostar aveva accumulato negli ultimi tempi, erano stati propensi ad attribuire la contestata carica a Erfea, piuttosto che a osservare accrescersi l’influenza del Nazgul a corte: furente in volto, Akhorahil abbandonò l’aula, giurando che avrebbe ottenuto la sua vendetta sul figlio di Gilnar».

«Il Ciclo del Marinaio», pp. 44-48.