My blog has reached and exceeded the quota of 400 followers! I thank each of you who help me to enhance my stories. To thank you I am giving you this new beautiful illustration, by Livia De Simone, which depicts our prince Erfea.

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Care lettrici, cari lettori,
quest’oggi voglio presentarvi l’ultimo brano scritto – per il momento – de «Il racconto della Rosa e del Ragno» che vi ha accompagnato in queste ultime settimane. L’articolo precedente – che potrete leggere (o rileggere) qui: Storia di Miriel – Tessitore di tenebra… – si è concluso con la decisione di Pharazon di recarsi a fare visita a sua cugina Miriel per capire quali sono i motivi che l’avevano spinta a incontrare Erfea. Spero di poterlo riprendere quanto prima, ma non temete! Nei prossimi articoli avrò modo di riprendere altre storie, altri racconti che spero potranno incontrare la vostra approvazione.
Buona lettura, aspetto i vostri commenti!
«L’ora del vespro si approssima – così le parlò [Pharazon], spuntando ratto da una robusta ginestra in fiore – e tuttavia vedo ancora, Lossë [Rosa, in elfico], che ti attardi ove nessuna compagnia può disturbare i tuoi pensieri. Profonda è divenuta dunque l’influenza del figlio di Gilnar, se egli ha posto nel tuo cuore la medesima solitudine che alloggia nel suo animo». Rise con eleganza, indi, con gesto rapido della mano sinistra, porse un fiore di orchidea alla cugina, inchinandosi leggermente: bianca era la superficie del fiore, eppure screziata di un colore azzurro notte, ché era – come ebbe a concludere il giovane – un omaggio agli occhi della principessa. Miriel sbatté leggermente le palpebre e sussultò portandosi d’istinto una mano al petto, come se si accingesse a parare un colpo invisibile; sebbene fosse ormai avvezza ai modi teatrali del cugino, non poté impedirsi, tuttavia, di esitare allorché la sua voce risuonò bassa alle sue spalle. «Sei solito recarti a farmi visita negli orari più imprevisti, caro cugino – tali furono le sue parole di benvenuto, seguite da un grazioso inchino che le scompigliò leggermente la capigliatura, resa leggermente rossastra dall’ultima luce morente del sole primaverile – sempre che qualcosa abbia attirato la tua attenzione tanto da farti rischiare una dura reprimenda nel caso i tuoi movimenti siano stati scorsi da occhi vigili».
«Sei abile a occultare i tuoi pensieri, figlia di Palantir – le rispose lui beffardo – dì piuttosto che la mia presenza ti risulta sgradita, ché le tue parole avrebbero dovuto alludere ai miei capricci anziché alla mia scarsa considerazione degli orari cari ai gentiluomini e alla dame di questa isola». Avanzò di qualche passo, avendo cura di non rivolgerle mai lo sguardo, limitandosi a osservare i boccioli del roseto che permeavano della loro fragranza il quieto meriggio. Arricciò delicatamente il labbro inferiore, quasi che un oscuro pensiero lo avesse turbato, indi riprese a parlarle: «I nostri padri erano soliti sostenere che nel nome di un uomo risiede la sua sorte; ebbene, non pare anche a te curioso come il figlio di Gilnar non aneli per nulla al mare e trascorra il suo tempo, invece, a domare le bestie selvatiche che suo padre tiene in gran conto, non essendo forse uomo avvezzo a quella ricchezza che il suo lignaggio avrebbe dovuto suggerirgli di considerare in modo benevolo?»
«Il tempo di Earien gli appartiene, e non vedo perché dovresti corrucciarti in merito a una scelta che non comprendi – le rispose lei, ancora divertita per la sua malizia, nonostante muovesse leggermente la mano destra per nascondere una ciocca ribelle che le cadeva sulla chiara fronte – Quanto a suo padre, perché dovrebbe rifiutare i doni che i Popoli della Terra di Mezzo gli inviano? Sarebbe oltremodo scortese – e qui lo sguardo cadde malizioso sul cugino – ché offenderebbe il lignaggio al quale egli appartiene».
Pharazon, preso congedo dalla bionda fanciulla, le rivolse un inchino beffardo e si allontanò percorrendo sentieri a lui solo noti; rimasta finalmente sola, Miriel poté ancora udire, in lontananza, riecheggiare una sciocca poesiola, le cui parole suonavano irriverenti nei suoi confronti.
«Rosa diletta,
donde vai sola, soletta?
Un inganno è la beltà
Corromperà la tua volontà»
Suggerimenti di lettura:
Storia di Miriel – Tessitore di tenebra…
Storia di Miriel – Questioni di famiglia
Ritratti – Miriel ed Erfea…e un nuovo racconto
Born in the city of Korlan in 1935 of the Second Age, Ji Indur was the heir to a wealthy family from the republic of Koronande; he possessed a very ambitious character since adolescence, becoming the youngest elected governor in that district. When he became a member of Koronande’s council, he promoted a policy aimed at countering Numenor’s influence on his homeland; in fact, under the reign of Tar-Ciryatan, Numenorean warships appeared for the first time in the republic’s waters, arousing considerable concern in the governor’s soul.
The influence of the Numenoreans undermined the social and political foundations of Koronande, to the point that Indur feared for the very survival of his power: made fearful by this threat, with a coup, Indur dissolved the national assembly and proclaimed himself king by Koronande. However, this political solution was not shared by most of Korlan’s people, who were proud of their freedom, nor would they allow Indur to extend his power: over the next twenty-three years, a series of civil wars and rebellions occurred. The intervention of the Numenorean settlers of Tantarak, who poorly tolerated such disorders, led Indur to re-take his kingdom, but a last popular uprising, commanded by the governor of Korlan, one of the strongholds of the new kingdom, led the sovereign into exile and restored the republic.
Ji Indur fled to Mumakan, the seat of many agents of Sauron since the eighteenth century of the Second Age: there he found hospitality and salvation, which was known to the Dark Lord, who thought he was using the fallen king to extend his power to South and offered him a new throne.
A dark alliance was signed between the young king and Sauron, and the corrupt Maya gave him the fourth Ring of Men in the year 2001: Ji Indur became a slave of the Dark Lord.
The new king of Mumakan changed his name to Ji Amaav II, so that the people believed that he was truly the descendant of the previous ruler, the first who had placed on his head the crown made from the ivory of the mumakil: the Nazgul reigned for one thousand two hundred sixty-two years, managing to subdue the Numenorean colony of Tantaruk, until, with the arrival of Ar-Pharazon’s armies, he had to flee, taking refuge in the jungles of the Harad.
Over the next few years, he learned their fighting strategies from the Haradrim and became their ruler. During the siege of Gondor, he led his armies to the front line and few were those who could look at the crown of King Mumakan without feeling awe; at the end of the war, however, he fell into Darkness along with his Dark Lord, when he was deprived of his Ring.
See also:
Indur, la Morte dell’Alba, il Quarto
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Care lettrici, cari lettori,
continuo in questo brano il racconto della giovinezza di Miriel, l’erede al trono di Numenor. Nel precedente articolo (lo potrete leggere o rileggere qui: Storia di Miriel – Questioni di famiglia) avete assistito a un furente litigio intercorso fra i suoi genitori, in merito alla decisione presa da Palantir, padre della principessa, di invitarla a frequentare Erfea, il giovane rampollo di una famiglia principesca di secondo piano della nobilità numenoreana; una scelta che non sembra trovare approvazione e gradimento da parte di sua moglie Silwen.
In questo brano, invece, approfondirete la conoscenza di un personaggio estremamente sgradevole e ambiguo dei miei racconti, Pharazon, il cugino di primo grado di Miriel e segretamente innamorato della principessa. Si badi bene: quello che tratteggerò nel brano che segue non è ancora la figura di Ar-Pharazon il Dorato, che un giorno ascenderà al trono di Numenor e arriverà ad accarezzare l’idea di conquistare il mondo intero (mega spoiler, lo so, ma era inevitabile e spero che i miei lettori potranno perdonarmi – perlomeno quelli che non hanno letto il Silmarillion di Tolkien) e che troverete raffigurato nell’illustrazione in copertina, opera di Anna Francesca Schiraldi. Volete avere un’idea di questo personaggio ancora acerbo? Allora pensate a Lex Luthor nel film “Batman v Superman: Dawn of Justice». Per chi non conoscesse il film…ebbene, leggete il brano e fatemi sapere a quale personaggio Pharazon vi sembra ispirato!
Buona lettura, come sempre aspetto i vostri commenti!
«All’epoca in cui si svolsero questi fatti, Gimilkhad, fratello minore di Palantir, non era stato ancora esiliato nella Terra di Mezzo a causa dei crimini che avrebbe commesso negli anni seguenti e dimorava presso il re suo padre. Egli crebbe un unico figlio, Pharazon, il quale aveva pressappoco la stessa età di Miriel; sovente, senza essere visto da alcun essere vivente, egli scavalcava l’alto muro che separava la dimora paterna da quella di suo zio e soleva osservare Miriel mentre costei si aggirava nel roseto che sua madre coltivava amorevolmente nella serra interna: per questa ragione egli prese a rivolgersi a sua cugina con il nome di «Lossë», che nella lingua elfica significava «rosa», perché ai suoi occhi ella appariva il più soave fiore sul quale avesse posto il suo pensoso sguardo. L’indole di Pharazon non si era ancora volta al male, né il giovane sembrava ambire a quel ruolo regale che il Fato, inesorabilmente, pareva negargli senza appello; pure la sua volontà non era mossa da pietà e la lunga solitudine alla quale l’aveva condotto l’educazione paterna, ostile a quanti non fossero dichiaratamente suoi camerati, aveva reso il suo animo volubile e lesto a cogliere in fallo il suo interlocutore, qualora questi non si fosse mostrato sufficientemente abile da destreggiarsi nei lacci verbali che egli lanciava su quanti, incautamente, avessero osato discorrere con lui.
Miriel non tollerava la compagnia del figlio di Gimilkhad, valutando i suoi approcci infidi nonostante le belle apparenze di costui; a causa del suo comportamento ella era solito chiamarlo Ungwë liante, ossia «tessitore di tenebra» nella favella dei Noldor; tuttavia Pharazon non pareva crucciarsi per questo nome e ignorava volutamente gli intenti polemici con i quali la fanciulla gli si rivolgeva. Nel corso di quella giornata il giovane principe, incuriosito dall’abito semplice che aveva indossato Miriel quella mattina, si era prodigato affinché le sue mosse non rimanessero ignote; non potendosi allontanare dalla sua avita dimora – ché i suoi precettori erano inflessibili e l’avrebbero punito severamente se avesse mancato a una sola lezione – egli era ricorso ai tordi, dei quali aveva appreso il linguaggio su indicazione di un camerata del padre: questi avevano dunque, su suo ordine, spiato l’incontro avvenuto fra la bionda fanciulla e il primogenito degli Hyarrostar e non avevano mancato di riferirgli ogni parola che i due avevano pronunciato. Oscuri presagi presero a muoversi nell’animo di Pharazon, ché egli, pur non avendo mai avuto occasione di conoscere il figlio di Gilnar, pure era colmo di pregiudizi nei confronti del suo casato, memore della parte che Gilnar svolgeva all’interno del Partito dei fedeli; a differenza degli altri principi delle casate reali di Numenor, infatti, agli eredi del sovrano non era permesso di frequentare le scuole regie, nelle quali codesti fanciulli si impratichivano nelle nobili arti e nelle perigliose scienze dei Secondogeniti. Non v’era alcun motivo di meraviglia, dunque, se lo stesso Erfea non aveva riconosciuto la sua futura regina, non condividendo i due i medesimi precettori: a lungo Pharazon soppesò quanto aveva appreso nel corso delle ore pomeridiane dalle sue spie, infine si convinse che quell’incontro del quale i tordi gli avevano riferito non fosse affatto causale: «Sicché la mia bella cugina ha conosciuto l’erede degli Hyarrostar – tali furono le riflessioni che espresse ad alta voce nel silenzio della sua camera – nonostante la severità dei suoi maestri non sia inferiore a quella dei miei precettori. Non v’è dubbio alcuno che questo non possa definirsi un incontro causale: altri voleri hanno disposto che questo avvenisse». Sogghignò, mentre mormorava i suoi pensieri nella penombra del meriggio, eppure non si recò immantinente da sua cugina; al contrario, evitò di incontrarla nei giorni seguenti, avendo cura, tuttavia, di metterle alla calcagna le sue piccole spie alate. Infine, quando fu certo dei suoi sospetti e l’occasione gli parve propizia, ammantato del suo mantello color porpora – il simbolo degli eredi in minore età allo scettro di Numenor – calzò le sue morbide scarpe in velluto nero e si recò, non visto da alcun servitore, nel roseto di Miriel, ove era certo di trovarla mentre coglieva le rose più profumate della stagione».
Suggerimenti di lettura:
Storia di Miriel – Questioni di famiglia
Care lettrici, cari lettori,
sia pure a rilento a causa dei tanti impegni, continuo a scrivere il «Racconto della Rosa e del Ragno». In questo brano avrete modo di approfondire la conoscenza della famiglia di Miriel, composta da suo padre Palantir e da sua madre Silwin. Ricordiamo che, all’epoca in cui questo racconto è ambientato, Miriel è ancora la principessa ereditaria del regno di Numenor, figlia di un principe reale e nipote del sovrano dell’isola. Troverai le altre parte del racconto in fondo a questo articolo.
Buona lettura, aspetto i vostri commenti!
«Costei [Silwin, moglie di Palantir e madre di Miriel, NdA], svelato il suo sembiante, si approssimò all’uomo che sedeva, con la mente e il cuore perso in lontani ricordi. «I Valar ti sorridono mio signore – l’apostrofò con durezza quando fu certa che la figlia si fosse allontanata a sufficienza da non potere udire le sue parole – ma non è forse questo il medesimo sentimento che ora puoi leggere negli occhi di nostra figlia». Egli sospirò, infine, rivoltole cenno affinché si accomodasse nel medesimo scranno che sino a pochi istanti prima era stato occupato dalla bionda fanciulla, così le rispose: «Non vi è ragione alcuna per cui tu debba essere in collera con me. Dopotutto, entrambi avevamo all’unisono concordato la necessità di questa prova». La donna, la cui bionda capigliatura splendeva nelle prime tenebre della sera, mosse rapidamente la mano, quasi a voler scacciare un pensiero molesto: «Non fu alla prova che opposi il mio diniego – e qui parve che il suo sguardo lanciasse strali velenosi contro il marito – ma a colui che tu designasti come destinatario del tuo ambizioso piano». S’interruppe per un istante, indi riprese a parlare abbassando la voce, quasi che temesse esservi all’ascolto nell’ora del Vespro spie invisibili: «Perché il figlio di Gilnar? Non è forse egli crudele come possono esserlo i giovani principi di Numenor? A lungo blandisti le mie paure, argomentando con tanta dovizia di particolari intorno alla presunta bontà d’animo di questo fanciulletto; io, tuttavia, null’altro vidi nelle tue parole che fantasmi di timori che mai riuscimmo a sopire, sin da quando nostra figlia venne al mondo. Dicesti che egli sarebbe stato un farmaco di indicibile potenza per arrestare i capricci e le voluttà di una fanciulla destinata un giorno a succederti sul trono di Numenor, secondo le leggi che i tuoi padri decretarono. Da par mio, tuttavia, null’altro scorgo che arroganza e boria; laddove i suoi compagni hanno preso a chiamarlo Erfea, egli, pur di non piegarsi a questa infamante accusa, si è arrogato con forza l’appellativo con il quale è stato disprezzato e non ha esitato ad usarlo come nome comune».
La donna s’interruppe per un istante, indecisa se aspettare una sua replica, oppure proseguire la sua accorata arringa; infine riprese e la sua voce si ridusse a un sussurro impercettibile: «Perché, Palantir, figlio di Ar-Gimilzor, non scegliesti Elendil di Andunie? O Arthol di Mittalmar? Perché questi principi, figli di illustri famiglie e perciò ben più propensi degli Hyarrostar a gestire l’autorità che dal potere deriva, non hanno suscitato il medesimo interesse che l’erede della più infima schiatta di Numenor ha acceso nel tuo sguardo?»
«Non nominare mio padre in questa sala! – gli occhi di Palantir baluginarono mentre egli stringeva i pugni per soffocare la rabbia che lo agitava al suo interno – non osare mai più pronunciare un nome pregno di disgrazia!» Attese qualche istante prima che la rabbia potesse svanire dalla sua mente, infine, rivolse queste accorate parole alla moglie che incupita attendeva la sua risposta. «Non credere che io non abbia soppesato altre alternative; eppure cosa altro avremmo ottenuto da Miriel se le avessimo imposto una simile compagnia? Elendil e Arthol sono entrambi Uomini valorosi: pure, a causa delle medesime osservazioni che tu stessa hai sollevato, converrai con me che simili Uomini, resi in fretta maturi dagli ambiti carichi che i loro casati preservano, cos’altro avrebbero potuto offrire a nostra figlia che non fosse una promessa di unione futura? Ella è troppo giovane per sposarsi, perfino per il metro degli Uomini mediani – proseguì, alzandosi e dirigendosi verso la finestra che dava a Occidente – né sarò io a negarle il piacere della sua primavera, costringendole a vivere la sua maturità prima che giunga l’ora. No, Silwen – concluse l’uomo, girandosi lentamente su sé stesso per rivolgere nuovamente il suo sguardo alla donna che l’aveva raggiunto silenziosamente – il figlio di Gilnar è ancora acerbo e, tuttavia, non lo è anche Miriel? Ché possa essere per lei valido e onesto amico, senza che il suo giudizio sia scosso dal peso della corona regale che un giorno ancora lontano la principessa dovrà portare sul suo biondo capo». La consorte del principe regnante chinò il capo, rassegnata: «Sia dunque come tu desideri, principe. Possa l’orgoglio non tradire i tuoi passi» e così dicendo abbandonò la sala; non rivelò, tuttavia, quello che il suo stesso cuore aveva tema di confessare e cioè che la profezia di Manea potesse raggiungere anche Erfea, che pure era lontano congiunto dell’erede al trono di Numenor».
Suggerimenti di lettura:
Dendra Dwar was born in the year 1949 of Second Age on the Isle of Waw, the son of a Wolim fisherman named Dendra Wim and a washerwoman, Ombril, who died giving birth to him. Dwar had a difficult childhood, marked by grief for the loss of his mother and the hard work he had to practice since the age of seven: taciturn and melancholy, the young fisherman nevertheless nurtured a boundless ambition that grew with him and determined his bitter fate; His island seemed cramped to him and he wanted to explore the coasts of Middle-earth which, in the clear summer dawns, were visible from the boat where he worked.
The isolation of Waw from the continent of Endor ended in 1965, when the warriors of the K’Prur of Hent landed on the island, sacking Horn, the hometown of Dwar: the enemy forces savagely slaughtered the Wolim inhabitants, burning their houses and ports. ; Dwar, his brother Dwem and his father Wim found refuge in the quarries that stretched beneath the cliffs of the west coast. Wim, seriously wounded while fleeing from an enemy javelin, died a few weeks later: the young Dendra swore on his father’s spirit that he would exterminate the aggressors of their people and prepared himself for the hard task that this oath obliged to fulfill.
Dendra sailed north, directed to the land of Wol, to learn the war strategies of the Wolim tribes who lived there: Dwar knew that in this district the knowledge would be revealed to him to remove the enemy from his homeland and served in the armies of Wolim for many years.
In a short time Dwar gained great fame among those people, for he had become a fierce and relentless warrior: as an explorer of Wol’s armies, he learned the Arts of speech and command necessary to tame the ferocious war hounds that terrorized warriors of Hent, whose bodies were protected by light leather armor; however, although Dwar was considered by his comrades to be a brave warrior, he aspired to obtain knowledge such as never a Man of his lineage had learned. In 1974, Dendra became a student of Embra Silil, an elderly priest of the cult of Morgoth and he revealed the arcane to him. Dark Arts. For a long time the young magician applied himself in such studies, demonstrating a talent which few of the Second Born could boast of possessing. In 1980, Dwar assumed the position of Lord of the Dogs and led a contingent of his troops against the citadel of Alk Waw and wrested it from the control of the Hent warriors: using his Dark Arts and his legions of dog warriors, after a year of siege, broke the lines of his enemies.
During these long months, thanks to the combined action of two thousand fighting dogs and his Men, he extended his influence to the whole island: having won the victory, Dwar proclaimed himself High Guardian of the island and refused to recognize the authority of the Council of Elders.
Waw became known as the Isle of Dogs, governed by the strict laws enacted by the Wolim lord himself; yet, despite his father having been avenged, Dwar set his greedy eyes on the surrounding lands, not content with having fulfilled his oath, for his ambition had become great and it now measured itself by virtue of the achievements he foresaw to obtain: in the Within a few years, Wol, Brod, Cimonienor and Hent fell under his control and by 1998, Dendra’s power had spread throughout the far east of Middle-earth.
The lord of the Dogs, however, was not satisfied with how much his lust for power had allowed him to acquire and feared death above all else, for it longed to escape if the time came: quickly then he seized the offer of immortality that Sauron of Mordor offered him and he fell under the rule of the Shadow, accepting the third of the Rings of Men in the year 2000.
Slowly his likeness was consumed by the evilness of the Ring and Dwar finally mutated into an immortal specter, in the service of the Dark Lord of Mordor; he too could take physical form if he so wished and in this capacity he controlled the work of his nephew Dendra II, who now held the office of High Guardian of Waw. For two hundred and fifty years, the third of the Nazgul remained in the shadow of the tower of Alk Waw, until he led his legions to the land of Mordor, where he served his Dark Lord in the following centuries of the Second Age.
Versione italiana
Dwar di Waw, il Terzo, il Signore dei Cani
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The second of the Nine in power, was named Komul I and was born in the year 1799 of the Second Age in the city of Laeg-Goak, located in the extreme east of Middle-earth: he was the eldest son of Hionvar Mul Tanul of Womaw , and had as a nurse Dardarian, wife of a Avar Elven prince, who later became his first adviser, until his accession to the throne in the year 1849. The influence of the ambitious Elf was very strong towards Komul, so much so as to push him to desire immortality above all other ambitions; in fact, despite having elven blood in his veins, he was not of the lineage of the firstborn, and the duration of his existence, despite being longer than that of his subjects, seemed to him very little. The kingdom of Womaw was the most powerful of those extending to the east of Middle-earth, and its inhabitants were subject to the influence of the Avar Elves, from whom they had learned the arts of speech and woodwork: they descended from the same fathers of the Numenoreans, and their wealth exceeded in splendor that of the surrounding kingdoms.
Komul I was fascinated by the greatness of the Edain heirs, and under his reign, the influence of Numenor’s ambassadors increased, much to the chagrin of his people, angered by their continued interference in their affairs. Since the Numenoreans had begun to have trade relations with the kingdom of Womaw, many colonies had been established in their territories; during the reign of Komul, however, the men of the West had begun to fortify their possessions, obtaining numerous concessions from the sovereign, with the only result of exasperating popular discontent. From 1944, the internal stability of the realm was threatened by the riots of many of the lords of the Womaw, who failed to loyalty to their lord: Komul, desperate and helpless, turned to the ancient adviser Dardarian, who seduced him with its beauty and the promise of immortality; he accepted, and made an alliance with the Avar kingdom of Hekaneg; this political move allowed him, the following year, to withdraw the concessions made to the Numenoreans, preventing his kingdom from disintegrating; however, the fall of the Womaw had only been postponed, as Dardarian was a spy for Sauron of Mordor and had been commissioned by Sauron to corrupt Komul. In 1999, the Elf handed over the artifact that would grant him immortality and infinite slavery under the yoke of the Lord of the Rings into the hands of the womaw king; the disappearance of Komul, the following year, opened a season of bloody struggles for the throne. Murderers and marriage intrigues upset what was once a peaceful nation; finally, five years after accepting the Ring, Komul was forced to abdicate the throne, in favor of the faction supported by the Numenoreans, whose exponent was his cousin Aon. Nobody understood where Komul had fled; it was later learned, however, that at the end of a long pilgrimage, he reached the gates of Barad-Dur in the year 2000 and there he assumed the position of squire of the Dark Lord, changing his name to Khamul, according to the language black of Mordor. The second of the Nazgul remained in Mordor until 3263, when his master was chained to Numenor and he fled east to the lands of the Chey, where his evil influence corrupted three great tribes, whose warriors militated in the files of Mordor during the war against the Last Alliance.
Versione italiana dell’articolo:
Khamul, il Secondo, l’Ombra dell’Oriente.
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Care lettrici, cari lettori,
quest’oggi voglio presentarvi un racconto diverso dagli altri. Per quale ragione, mi chiederete? Perché, a differenza di altre volte, ho dato voce a uno dei personaggi centrali del Silmarillion, ossia Feanor, l’Artefice dei Silmarill, i tre gioielli più belli dell’universo, che furono però alla base della dannazione della sua stirpe, gli orgogliosi elfi Noldor. Se volete saperne di più su questo personaggio, vi suggerisco di leggere questo articolo del mio amico Federico Aviano, che riassume egregiamente la storia di Feanor: https://imlestar.com/2020/03/08/il-silmarillion-recensione-riassunto-e-spiegazione-parte-4/
A me, invece, il personaggio di Feanor interessa soprattutto per un suo ruolo, diciamo così, «minore»: egli, infatti, fu anche il creatore delle Palantiri, le pietre veggenti che consentivano a quanti scrutavano al loro interno di vedere episodi di ogni epoca storica e di dialogare, come se fossero dei veri e propri cellulari, con altri soggetti che, a loro volta, avessero osato utilizzare queste antiche sfere.
Questo breve testo è in realtà parte di un racconto più lungo, intitolato «Il Racconto del Marinaio e delle Palantiri», del quale, nelle scorse settimane, vi ho presentato alcuni estratti. In basso troverete i link utili per poter leggere e commentare il racconto nelle sue varie parti.
Buona lettura, aspetto i vostri commenti!
L’illustrazione in alto è di L-E-N-T-A-S-C-U-R-A «Palantir di Tol-Eressea»
«Nella seconda era della Terra di Mezzo, grande era il dominio che Numenor, l’isola ad Occidente di Endor[1], esercitava sui mortali: da molte contrade numerosi accorrevano, principi e maghi, mercanti e studiosi, per apprendere le conoscenze note solo ai discendenti degli Edain. Molteplici artefatti realizzarono in quei lontani giorni gli artigiani e i fabbri dei Dunedain: spade, la cui bellezza è superata solo da quelle create dai maestri elfici dell’Eregion e del Beleriand[2] nei tempi remoti e armature, leggere come seta, ma capaci di respingere le lame degli aggressori, mandando in frantumi le lance e scalfendo le lame.
Tuttavia, tra le creazioni più celebri, il cui ricordo venne tramandato anche nelle epoche successive, le più note divennero le Palantiri, le pietre veggenti, guardiane del regno di Numenor; esse tuttavia, al pari di altri gioielli rinomati, non furono create dalla mano di nessun mortale, ché neanche i più esperti tra gli artisti Numenoreani avrebbero avuto la sapienza e la lungimiranza necessarie per realizzare le Palantiri.
Fu invece il più grande fabbro degli Eldar, Feanor, a crearle, nei giorni in cui la Luna e il Sole ancora dormivano e i due Alberi reggevano le sorti del mondo, nei Tempi Remoti. Ben poco di quelle antiche epoche è sopravvissuto, ora che i mari e le terre sono profondamente mutati e la prima profezia di Mandos si è avverata; tuttavia stando a quanto narrano gli antichi racconti di quell’era lontana, Feanor creò le Palantiri, ispirato da Lorien, il Vala delle visioni, mentre lo spirito di fuoco del padre dei Noldor riposava tra gli alberi di Valinor. A lungo la divinità tenne fisso lo sguardo su Feanor, infine così si rivolse all’elfo: “Qual è il tuo disio maggiore, signore dei Noldor?” Molto tempo trascorse, fin quando l’Eldar non ebbe realizzato una risposta appropriata: “In verità, Signore dei giardini del Vespro, il mio spirito non trova riposo, ché sempre tende insoddisfatto a quanto si cela innanzi ai miei occhi”. Silente, il dio tacque turbato, poi rispose pronunciando tali parole: “Suvvia, o possente fra gli Eldar! Non v’è conoscenza che il tuo cuore brami che tu non possa apprendere, non v’è artificio che la tua lucida mente e la tua rapida mano non sappiano creare: limpida è ancora la vista degli elfi e possente la loro volontà. Sappi che innumerevoli sono i doni che alla tua stirpe sono stati riservati fin dalla creazione di Arda. Qualunque è l’oggetto del tuo disio, esso deve essere in Valinor”.
“Ben dici, Lorien, quando affermi ciò; se tuttavia la volontà degli Eldar è forte, lo è perché brama di possedere gli arcani segreti che modellano il soffio vitale in Arda”.
Reso inquieto da tali parole di sfida, così lo ammonì Lorien: “Bada, figlio di Finwe! Se il tuo desiderio fosse oggi soddisfatto, ecco che molti del tuo stesso popolo ne avrebbero a soffrire; molti danni arrecherebbe a Valinor il tuo gesto insano!”
Rabbrividì Feanor, ché in lui era ancora forte il rispetto e il timore per i Vala: “Se tale volontà è destino che muoia sul nascere, concedimi allora di mutarla”. Tacque, riflettendo alcuni istanti, infine parlò: “O Vala, concedimi la vista sulle terre mortali! Dal momento che la mia stirpe e quella degli altri Eldar provengono dalle deserte lande di levante, permettimi di renderla visibile agli occhi di quanti desiderano mirarla”.
Soddisfatto, di lì a poco Lorien inviò Feanor da Aule, il Vala della Forgia, e i due lavorarono assieme per molti anni, finché la Palantiri non furono realizzate: sette erano, e apparivano come dei globi scuri, memori di quanto i figli di Eru avevano ormai obliato. Non era semplice adoperarle per servire un proprio scopo: i globi mostravano soprattutto immagini del passato, dei tempi remoti e di remote regioni, disorientando l’osservatore. Chiunque, tuttavia, avesse avuto volontà sufficiente per desiderare di scorgere nelle Palantiri un’immagine precisa, sovente riusciva ad identificarla, divenendo in tal modo, profondo conoscitore di quanto era accaduto in Endor, fin dalla sua creazione.
Un’altra funzione importante delle sfere consisteva nel fungere come strumento di comunicazione tra due esseri lontani nello spazio, ma non nel tempo: per poter usufruire di questo potere, era tuttavia necessario che i due interlocutori fossero entrambi esseri dotati di una volontà potente, ché le Palantiri ne avevano una propria e non si lasciavano assoggettare dalle menti degli stolti e degli sprovveduti. Le antiche storie parlano anche di un’altra pietra, che si dice essere ancora presente nelle terre immortali, da cui sarebbe possibile osservare quanto le rimanenti pietre veggenti mostravano nel medesimo istante; tuttavia, fatta eccezione per tale globo, fin dall’inizio era stato concepito un altro Palantir con funzioni analoghe, lo stesso che in seguito sarebbe andato smarrito durante la funesta guerra delle Stirpi[3]. Ciascuno dei globi rimanenti poteva comunicare con una e una sola delle sfere sorelle, tramite rituali arcani e ormai obliati da lungo tempo».
Note
[1] Il grande continente che si estendeva ad est di Valinor, chiamato anche Terra di Mezzo.
[2] L’Eregion era un regno di Noldor posto nell’Eriador, ai confini della grande città nanica di Khazad-Dum; posto da principio sotto l’autorità di Galadriel e di Celeborn e in seguito di Celebrimbor, tale contrada fu saccheggiata dalle orde di Sauron: la città di Ost-In-Edhil ne fu la capitale. Il Beleriand era una vasta contrada posta tra i Monti Azzurri e le acque del Beleriand: sede di numerosi reami elfici ed umani, fu distrutta in seguito agli sconvolgimenti provocati durante la Battaglia dell’Ira che segnò la fine di Thangodrim, l’oscura dimora di Morgoth.
[3] Guerra civile, scoppiata nel reame di Gondor durante la Terza Era per ottenerne il controllo, tra la fazione di coloro che sostenevano il legittimo signore, Eldacar, e i ribelli, comandati da Castamir, contrari alla sua designazione perché figlio di una donna del nord. Al termine di essa, Eldacar ottenne la corona, mentre Castamir fuggì a sud ed elesse Umbar a sua dimora; i suoi discendenti furono noti come i Corsari e si allearono con i servi di Sauron per rovesciare Gondor.
Suggerimenti di lettura:
La saggezza di Nimrilien – II parte (ed ultima)
One of the most fascinating characters of the Lord of the Rings is the Witch King, the Lord of the Nazgul. In this story I have tried to imagine his story before becoming a slave of the Ring. Happy reading, I await your comments!
«The second son of Tar-Ciryatan, the twelfth king of Numenor, was named Er-Murazor and became one of the most powerful and influential men on the island. He was born in 1829 Second Age in the port city of Andunie, during a solar eclipse: he was given the name Tindomul (in Quenya “Son of the Double Light”), although those of the court of Tar-Ciryatan, hostile to the Elves, preferred to call him by the Adunaic name of Er- Murazor (the Black Prince).
Er-Murazor was the younger brother of Atanamir the Great, who would soon become king, and was similar to his brother in character: he supported his father’s ambitions and insisted on increasing the exploitation of Middle-earth; he was proud, greedy and ambitious, like his brother and father at the same time; however, because he had been excluded from the succession to the throne, he failed to obtain the favor and attention that was granted to Atanamir. Er-Murazor became jealous of the heir of the scepter and the jealousy soon turned into hatred and irrepressible ambition. Greed consumed the spirit of the Numenorean, so that in 1880 S.E., the Black Prince gathered a small fleet and headed for the shores of Middle-earth, in order to establish his own dominion over those regions. Its first docking took place in Lond Daer, in the south of Eriador, at the mouth of the Gwathlo: Er-Murazor and his army began to control the region, with the intention of seizing the port. His attempt, however, was unsuccessful, and he moved towards Umbar; following a series of clashes, Er-Murazor established his dominion over those regions, much to his brother’s chagrin. Tar-Ciryatan then ordered his second son to pay tribute to Numenor, and the Black Prince promptly refused.
The Dark Lord learned of Er-Murazor’s rancor towards his ancient homeland and his fear of death; he exploited these weaknesses and convinced him that he was the custodian of a knowledge unknown to the sages of Numenor, with which the prince would become invincible. In 1883 S.E. Er-Murazor went to Barad-Dur, becoming a disciple of Sauron; over the next one hundred and fifty years he studied the Dark Arts and became a very powerful sorcerer, to the point that he was unrivaled in Middle-earth, except for the fallen Maia himself, who soon made his pupil the first captain of the armies of Mordor. In the year 1998 S.E., Er-Murazor promised full fidelity to his lord and received the most powerful of the Rings of the Power of Men: the first of the Nazgul, the Black Prince, became known as the Witch King and Lord of Morgul».
See also:
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Care lettrici, cari lettori,
come promesso la scorsa settimana, vi presento il brano che conclude il racconto de «Il Marinaio e le Palantiri», nel quale il nostro paladino, Erfea, avrà modo di superare l’atavica paura della Morte, che le parole di Sauron avevano rafforzato nel suo spirito. Vi rimando in basso ai link utili per comprendere meglio questo brano.
Buona lettura, aspetto i vostri commenti!
«Sorrise Nimrilien, e il suo riso era acqua nella gola riarsa del pellegrino affranto: “Ti ho detto che acquisirai la saggezza, e tale rimane il mio giudizio. Non puoi sperare di annientare il Signore di Mordor, non ancora – aggiunse rivolgendosi più a sé stessa che non al figlio. Puoi tuttavia impedire al tuo spirito di soffrire inutilmente, obliando le tue paure, non soffocandole, ma affrontandole”.
A tali parole Erfea si levò in piedi, e nei suoi occhi baluginava la luce dell’ira: “Io ho fallito, madre! Sauron ha annullato la mia volontà. Forse, posso udire il canto lamentoso dei gabbiani giungere dall’oceano tumultuoso o scorgere innanzi a me le profondità dell’animo umano, eppure esse ora paiono inghiottirmi e soffocarmi nella loro tumultuosa esistenza. I miei sensi indeboliti e mutilati sembrano essere sensibili non già alla luce, ma solo al terrore e alla paura”. Lentamente Erfea tornò a sedere, scuro in volto: “Non vi è destino che io non possa scorgere, ma a quale scopo? Nei miei pensieri danza macabra la morte, e nelle sue mani rovinose, io scorgo le vite di coloro che devono ancora essere, disfarsi e consumarsi! Credevo – concluse tremando – credevo che la morte fosse un dono, eppure mi accorgo solo adesso della sua azione letale. I miei giorni trascorrono lenti, e avverto il veleno scorrere lentamente nelle mie vene, impotente nell’agire. Non vi è altro destino che la morte. A che fin compiere valorose azioni? Anch’esse sono destinate a fallire ancor prima di essere concepite”.
Grave divenne allora il volto di Nimrilien; tuttavia ella lo prese per mano e gli sussurrò lentamente: “Mira la morte! Sappi Erfea, figlio di Gilnar, che niente di quanto tu affermi è figlio della tua volontà. Sauron di Mordor ha avvelenato il tuo essere e ingannato i tuoi sensi. Osserva e sii libero!” Lentamente Erfea spostò il proprio sguardo fino ad incontrare quello della defunta signora di Numenor. Meraviglia! La nebbia che avvolgeva il suo cuore, si dissolse ed egli poté nuovamente godere dei dolci profumi della primavera, dilettarsi ascoltando il tripudio dei delfini del mare, rattristarsi per la morte della sua sovrana: e allora pianse lacrime purificatrici, che lavarono via il dolore che ancora sconquassava il suo cuore martiorato. A lungo pianse, infine levato il suo sguardo verso la madre, egli capì e il suo cuore fu pieno di speranza: “Comprendo – mormorò stupito – quanto sia stata saggia colei la cui anima riposa ora al di là del Mondo; se la mia vista non mi ha ingannato, innanzi a me ho veduto il suo spirito, librarsi libero, privo dei dolori che affliggono i mortali. Tristezza non vi era nei suoi occhi, né il dolore albergava nel suo cuore; invero, una grande pace pareva avvolgerla e condurla là ove le menti umane non possono dirigersi. Ho appreso dunque la saggezza degli uomini”.
Nimrilien l’osservò a sua volta, infine, gli prese la mano e la tenne vicino alla sua: “Non chiamare vana la morte! Ella è stata qui, ché la nostra sovrana ha infine compreso il significato profondo del Dono. Colei che ora rimpiangiamo, ha infine stabilito che era giunta l’ora di restituire quanto gli dei le avevano concesso; tale è stata la sua scelta, per cui sofferenza alcuna ha provato ed essa ha lenito anche il tuo dolore. La maledizione di Sauron è spezzata.”
“Sì – pronunciò lentamente Erfea, assaporando la parola, mentre la pronunciava – ho appreso la saggezza. Sono lieto di aver dato l’ultimo saluto alla sovrana di Numenor, ché, se non l’avessi fatto, per me sarebbe stato vano ogni altro aiuto.”
“Ben dici, figlio mio, quando affermi questo; sappi però che se la tua volontà non fosse stata forte a tal punto da parlare con Sauron, egli ti avrebbe consumato, avvinghiandoti alla sua volontà. Saresti divenuto uno dei Numenoreani Neri, uomini perfidi e arroganti, bramosi oltremodo di assaporare il dolce veleno del potere. Non chiamare vano l’aver guardato nel Palantir, ché se non l’avessi fatto, saresti senza difesa alcuna da Sauron.
Va’ ora figlio mio – concluse Nimrilien – e ricorda quanto hai appreso oggi.”
Detto questo, la signora degli Hyarrostar si levò dallo scranno e scomparve tra le fronde degli alberi, inoltrandosi lungo il sentiero che dalla reggia conduceva al mare; Erfea la seguì con lo sguardo, infine sospirò e si diresse verso la sua dimora, ove impaziente l’attendeva il padre Gilnar.
Tale fu la conclusione della vicenda e non trascorse molto tempo che Erfea divenne noto ai Numenoreani per aver osato, appena compiuta la maggior età, discorrere con il Signore di Mordor, sfidando la sua malvagia volontà. Taluni, nelle epoche successive, quando Numenor era stata ormai sommersa dalle acque del grande oceano, osservarono che la profezia rivelata da Erfea a Sauron, si era davvero realizzata, dal momento che il capitano dei Dunedain sopravvisse alla caduta del discepolo di Morgoth, unico fra gli uomini di quell’era, eccetto Elendil di Andunie, ad aver parlato con l’Oscuro Signore senza essere stato tuttavia privato dell’intelletto e della capacità di giudizio».
Suggerimenti di lettura:
La saggezza di Nimrilien – I parte
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