Numenor: Game of Thrones (I)

Bentrovati! Per il titolo di questo articolo, come avranno notato i lettori dei romanzi «Cronache del ghiaccio e del fuoco» scritti da George Martin, mi sono ispirato alla celebre serie televisiva «Il Trono di Spade» (Game of Thrones). Nessuna paura! Non ho intenzione di mescolare elementi delle opere tolkieniane con quelli del celebre scrittore statunitense. Si tratta solo di un simpatico omaggio a una famosa serie TV, che mi è di grande utilità, però, per introdurre due racconti postumi (scritti, cioè, dopo aver terminato la prima stesura del «Ciclo del Marinaio») nei quali ho provato ad approfondire un aspetto della storia numenoreana, relativo alla guerra civile combattuta a Numenor nell’anno 3255 della Seconda Era, che avevo toccato solo marginalmente nel «Racconto del Marinaio e della Principessa».
Il conflitto vide schierati da un lato i Numenoreani fedeli al culto dei Valar e di Eru e dall’altro i sostenitori delle pretese avanzate da Pharazon – cugino di Tar-Miriel, legittima regina – al trono. Molti di voi sanno già come si concluse questa guerra civile; gli altri potranno scoprirlo leggendo questi due racconti. In fondo, le macchinazioni avanzate dagli uni e dagli altri per assicurarsi la vittoria dettero origine, a tutti gli effetti, a una sorta di «giochi diplomatici», nei quali complotti e tradimenti erano all’ordine del giorno.
In particolare, il racconto «L’Ombra e la Spada» che vi apprestate a leggere a partire da questo articolo presenta una singolare caratteristica: a differenza di tutti gli altri, che erano invece basati su ricordi ed esperienze vissute direttamente da Erfea o comunque facilmente recuperabili da una cerchia di persone che con il paladino di Numenor avevano relazioni, questo racconto è (almeno fino a questo momento) l’unico scritto da personaggi che con Erfea non avevano relazioni dirette, se così si può dire…dal momento che, come vi accingerete a leggere, i protagonisti di questo e dei prossimi articoli saranno proprio i capi della fazione avversa a Tar-Miriel, fra i quali un grande ruolo sarà attribuito ai tre principi numenoreani che furono corrotti da Sauron e furono tra i più potenti fra i Nazgul: Er-Murazor, Akhorahil ed Adunaphel.

Per questa ragione, trovo importante trascrivere, prima ancora di presentarvi l’incipit del racconto, una nota che spiega come questo documento finì nelle mani di Erfea.

«Questo scritto pervenne ad Erfëa tramite un’ambasciata che giunse a Gondor allorché erano trascorsi pochi mesi dalla Caduta: colui che gli consegnò il manoscritto, accompagnò tale dono con una lettera nella quale spiegava di essere stato per molti anni schiavo di Pharazôn e di essere fuggito da Numenorë allorché il suo Signore, venuto a conoscenza che questi aveva trascritto resoconti di vicende che non desiderava altri conoscessero, ordinò di ucciderlo e di bruciarne la dimora. Sulle prime, il principe di Minas Laurë esitò a prestare fede a tale scritto, ché molto diffidava dei Numenoreani Neri e dei loro inganni; in seguito, rimembrò che fra coloro che erano stati del seguito dell’ultimo sovrano di Andor, vi era un uomo il quale era solito essere condotto in catene dinanzi al suo trono per il bieco divertimento del re e della corte intera, ché era muto e nulla poteva ribattere alle risate crudeli che il governatore dell’isola riversava sul suo capo e comprese il suo errore. Sceso dallo scranno, il Sovrintendente di Gondor domandò perdono all’uomo per non averlo riconosciuto fin dal principio e ordinò che fosse ospitato fino alla fine dei suoi giorni presso una ricca dimora che gli fu assegnata come risarcimento per le torture che aveva subito durante gli anni ormai distanti della sua giovinezza: grato per il dono del principe, l’uomo, il cui nome era Khanor, visse ad Osgiliath per due anni ed infine spirò».

Prima di lasciarvi alla lettura dell’articolo, infine, voglio fare un’ulteriore premessa: questo racconto e quello che segue, intitolato «Il racconto dell’infame giuramento» presentano un tono più cupo e drammatico rispetto a quelli che avete letto fino ad oggi. In parte, questa scelta è stata motivata dalla necessità di assecondare un linguaggio più consono ai protagonisti principali di questi racconti, che militano nel campo «avverso», per così dire; in secondo luogo, soprattutto nel primo racconto, ci sono evidenti influssi derivati dalla lettura dei romanzi di H.P. Lovecraft, soprattutto a livello di ambientazione. Credo ne sia uscito un quadro abbastanza diverso dal solito – si potrebbe dire, con una battuta, che questi sono i racconti forse «meno tolkieniani» che io abbia mai scritto – ma lascio a voi il compito, spero piacevole, di giudicare se sia o meno riuscito nel mio intento.

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

«In quei giorni[1], Pharazôn, nipote di Tar-Palantir, sovrano di Numenor nei giorni del suo triste declino, tenne un consiglio fra quanti erano del suo partito, ché egli, sebbene si fosse atteso la proclamazione di sua cugina a sovrana di Numenor, pure non smetteva di detestarla, temendo che i Fedeli avrebbero preservato negli anni del suo regno la gloria che sì recentemente avevano conquistato: incapace di trattenere ulteriormente la sua ira ed il suo timore, convocò coloro che erano stati i camerati di suo padre e che erano sopravvissuti alla prigionia o alla morte in battaglia. Sulle prime, gli Uomini del Re espressero un palese disagio nell’ottemperare la richiesta del figlio di Gimilkhâd e questo accadeva perché erano sopravvissuti in pochi e temevano di terminare tristemente i propri brevi giorni; infine, poiché essi erano ansiosi di ottenere vendetta su Tar-Miriel e i suoi Paladini, acconsentirono ad incontrare Pharazôn nella cave abbandonate di Dûr-Zhirûk[2], poste all’estremità meridionale della penisola di Andustar: tale contrada godeva di cattiva fama, ché i pastori non permettevano che i loro armenti pascolassero nei suoi recessi nebbiosi e grigi, né i pescatori osavano condurre le loro fragili imbarcazioni nei pressi delle sue imponenti scogliere di nero basalto, il cui silenzio era rotto solo dall’incessante fragore provocato dalla rabbia del Grande Oceano. Pochi fra i sapienti Numenoreani erano a conoscenza di quali oscuri pertugi si aprissero all’interno di tali recessi e non facevano volentieri parola di quanto avevano scoperto ad altri che non fossero i Cundo dell’Accademia, per timore che la follia ed il terrore si impadronissero delle menti di coloro che impunemente fossero venuti a conoscenza di esseri che si diceva fossero vissuti in quegli oscuri antri prima ancora che l’Isola del Dono fosse sollevata dalle acque: a quanti affermavano che solo i Valar avevano avuto parte alla creazione di Numenor, costoro replicavano che finanche Melkor era stato nel loro Novero e che dunque, per quanto la sua oscura essenza fosse stata scagliata nello spazio atemporale che si estendeva al di là del Tempo, pure il suo malefico influsso aveva contributo, in parte, alla sollevazione di Elenna dal fondale dell’Oceano, plasmando la roccia di Dûr-Zirûk secondo la sua perversa volontà. Per molti secoli, i Numenoreani avevano evitato le contrade oscure che si estendevano al di là delle desolate piane dell’Andustar; infine, coloro che erano tra gli Uomini del Re noti per la loro malvagità e crudeltà, avevano edificato in questi luoghi oscuri altari a divinità senza nome, il cui culto era sopravvissuto negli anni fino a giungere ai giorni di Pharazôn; questi, sebbene fosse poco o punto propenso a credere ai racconti che circolavano su Dûr-Zirûk, pure aveva esplorato quegli spaventosi anfratti e si era convinto che l’orrore primigenio che emanavano gli affreschi immondi che ne coprivano i soffitti avrebbe influenzato le menti dei suoi camerati, esortandoli a compiere la scelta che avrebbe ritenuto più consona ai propri interessi. Riluttanti, i Signori degli Uomini del Re accettarono il suo invito, non prima di aver giurato che non avrebbero rivelato a nessun altro figlio di Iluvatar quanto avrebbero scorto o udito in quelle immonde sale sotterranee: accadde dunque che durante un novilunio, quando massimo cresceva nel cuore dei Fedeli il timore e l’avversione per le contrade il cui nome risuonava alle loro orecchie maledetto ed infido da ascoltarsi, essi si radunassero a Dûr-Zhirûk, abbigliati nelle loro regali vesti; per primo, giunse Khorazîd, Principe dell’Andustar, e numeroso era il suo seguito di schiavi, concubine e mercenari; dopo che egli ebbe abbandonato la sua lettiga d’oro e si fu calato nelle voragini della terra, altri Signori della schiatta ribelle di Elros Tar-Minyatur lo seguirono. Dôkhôr, Principe del Fornastar, fuggito anni prima nella Terra di Mezzo perché accusato di aver perpetuato immani stragi nelle province che Ar-Gimilzor gli aveva attribuito, era fra coloro che presero parte al consesso; Azâran, Principe dell’Ondustar, il più anziano fra i camerati del padre del giovane Pharazôn, era stato fra i primi ad accorrere allorché l’erede del suo signore era giunto alla sua antica dimora per condurgli di persona la missiva sulla quale era trascritto l’invito al Consiglio del Partito degli oppositori alla Regina; finanche Akhôrahil, che pure era scomparso da Numenor allorché Erfëa aveva scoperto la sua reale identità celata nei deserti infuocati del remoto Harad, aveva fatto ritorno ad Andor e, sebbene avesse mutato il suo sembiante, pure furono in molti coloro che crederono di riconoscere nel suo volto l’antico membro del Consiglio dello Scettro di Ar-Gimilzor. Principi e dame – ché, seppure in numero inferiore, esse erano presenti al consesso e si dimostrarono non meno risolute e spietate di quanto non lo fossero i loro consorti – furono condotti da esperte guide per segreti pertugi fino alle radici dell’Isola, ove i loro sguardi, che pure erano avvezzi alle peggiori nefandezze che i Secondogeniti avessero escogitato nel corso di lunghi secoli, furono atterriti e disgustati, sicché non furono pochi coloro che si coprirono il capo a causa del terrore che affreschi obliati da molti anni suscitavano in loro; finanche Dôkhôr, che pure era il signore di quella contrada, non aveva mai fatto visita a quegli orrendi sepolcri prima di quel momento ed il suo viso era ora pallido e smorto, come se un gran male l’avesse colto: unico fra tutti i presenti a non darsi pena per quanto accadeva era Akhôrahil, ché egli era fra i servi maggiori di Sauron e, sebbene conoscesse poco o punto i segreti nomi delle divinità ivi venerate per mezzo di orrendi sacrifici, le cui tracce erano ancora visibili sugli altari consunti dal tempo, pure si avvedeva che servivano il medesimo scopo del suo Padrone e di ciò si compiaceva».

Note

[1] Vi è qui un’allusione agli ultimi giorni del regno di Tar-Palantir: secondo alcuni commentatori, potrebbe riferirsi al terzo mese dell’anno 3255 della Seconda Era, ché la designazione di Miriel a sovrana di Numenor fu comunicata ai ministri del regno solo all’inizio della primavera, e tra questi gli unici ad averla appresa prima di tutti gli altri erano stati Amandil ed Erfëa.

[2] Dûr-Zhirûk, la Roccia del Demone nell’Adunaico, antica favella degli Uomini dell’Occidente.

P.S. In questi giorni ha raggiunto e superato la quota di 1000 commenti…sono molto soddisfatto di questo piccolo traguardo, ringrazio ciascuno di poi per aver contributo a realizzarlo! Puntiamo a…duemila!

Il primo incontro di Erfea con i Nazgul

Finora ho narrato le storie dei primi cinque Nazgul, evidenziandone le ragioni che hanno condotto ognuno di loro alla scelta tragica e fatale di accettare uno degli Anelli del Potere e cedere così il proprio libero arbitrio all’Oscuro Signore. Attraverso queste descrizioni, vi ho narrato di Stregoni, Sovrani, Guerrieri, la maggior parte di nobili stirpi, qualcuno di umili origini, ma tutti accomunati da una grande sete di potere e volontà di dominio.

Non ho, tuttavia, ancora spiegato in quale circostanza Erfea conobbe i Nazgul e i motivi che lo spinsero a combattere questi oscuri servitori del Nemico, di cui fu avversario spietato.

Quella che sto per narrarvi in questo articolo è la storia dell’incontro fra un giovanissimo principe numenoreano e un Nazgul che fu, oltre che stregone esperto di Arti Oscure e sovrano, incarichi che condivise anche con altri suoi pari, anche e soprattutto un uomo politico di primo piano nella società numenoreana. Una peculiarità, quest’ultima, che lo rende, a mio parere, forse il più pericoloso fra i Nazgul. Leggete e giudicate, aspetto i vostri commenti in proposito.

«”Signori e Dame di Numenor, Padri dell’Isola e Custodi dell’Antica Tradizione, vi invito a levare in alto i vostri preziosi calici, ché questa sera accogliamo coloro che molti anni hanno trascorso nelle contrade della Terra di Mezzo; brindiamo, dunque, ad Arthol e a Erfea, Cavalieri del Regno!”. Lungo fu l’applauso che i Signori e le Dame riservarono al giovane cavaliere allorché questi fu insignito del suo titolo; infine, l’araldo convocò Erfea, figlio di Gilnar, dinanzi a Palantir: al fianco del principe dello Hyarrostar era Amandil, suo parente, sebbene più anziano: giunto che fu innanzi al figlio di Ar-Gimilzor, egli chinò il capo ed estrasse Sulring dallo sdrucito fodero in cui era stata riposta per centinaia di anni: stupore si levò, allora, in tutta la sala, ché la lama era invero splendida e terribile a vedersi ed essa irradiava una forte luce azzurra, tale che molti furono costretti ad abbassare il capo, pur non comprendendone la ragione, a eccezione di uno.

Mai Erfea aveva posto il suo sguardo sulla maschera dorata che occultava il volto del principe del Forostar, ché questi era giunto a Numenor allorché egli dimorava nelle contrade della Terra di Mezzo e sconosciuto gli era finanche il nome, sebbene a costui fossero noti molti degli eventi che riguardavano l’esistenza di Erfea ed egli era fiero nemico della sua fazione, essendo degli Uomini del Re; eppure, non era un uomo vivente, come lo credevano i suoi alleati e i suoi servi, bensì uno spettro intriso di malvagità e di malizia, ché egli era invero Akhorahil il Re Tempesta, quinto in possanza fra i Nove Ulairi che servivano l’Oscuro Signore di Mordor, Sauron l’Aborrito. Il luogotenente di Morgoth l’aveva inviato a Numenor, ché fosse il suo araldo in tale contrada e ne diffondesse le abiette parole. Molto aveva appreso durante gli anni in cui si era stanziato ad Armenelos, ove, gli era stato attribuito il titolo di principe, ché invero possedeva molto denaro e i suoi mercenari incutevano timore in quanti tentavano di contrastarne la volontà: pure, Ar-Gimilzor l’aveva reputato utile ai suoi scopi, ché molto abbisognava dell’oro e dell’argento che giacevano nei suoi forzieri per corrompere quanti erano suoi avversari, sicché l’aveva colmato di doni e gli aveva affidato il feudo delle contrade settentrionali; grande era divenuta l’influenza di Akhorahil nelle sedute del Consiglio dello Scettro ed egli sovente inspirava nel suo sovrano azioni bieche e crudeli, tali che lo spirito di Ar-Gimilzor ne fu corrotto ed egli divenne presto schiavo del volere di Sauron, ché, invero, qualunque parola fosse stata pronunciata dal Nazgul, pure ne era questi l’ispiratore.

Spie degli Ulairi avevano riferito ad Akhorahil che l’erede di Gilnar era invero un possente guerriero e uno spirito lungimirante, sicché egli prese a detestarlo, pur non avendone ancora scorto le sembianze ed essendo riluttante a recarsi nella sua dimora, ché Gilnar non avrebbe tollerato la sua presenza nella terra natia e tosto l’avrebbe allontanato; a lungo, dunque, aveva atteso che Erfea gli si rivelasse e grande fu invero la sua ira e la sua paura, allorché si avvide che questi era stato armato di una lama elfica, ché essa era in grado di rivelare la presenza dei servi di Morgoth; pure, egli sorrideva, ché sapeva essere tale peculiarità un segreto noto a pochi fra i Signori di Numenor, sicché, per il momento, nulla aveva da temere. Tuttavia, non avrebbe tollerato che un simile Uomo fosse elevato a un rango che gli avrebbe attribuito notevole fama e chiese la parola: “Principi di Numenor, vi è tra voi chi ancora ricordi le leggi dei nostri padri, in tali tempi di decadenza e oblio? Perché, se alcuno fra coloro che sono seduti in tale luogo rimembrasse tali precetti, ecco che io non esiterei a chiamarlo fedifrago e il nome della sua casata sarebbe infangato da un simile disonore; tuttavia, tale è la mia opinione, il dolce nettare degli dei ha inebriato i cuori e le menti di molti dei presenti, sicché non è per me motivo di meraviglia intendere che nessuno sia in grado di ricordare quanto il mio cuore mai hai obliato. Concedetemi, dunque, di parlare a nome del glorioso sovrano, Ar-Gimilzor, il quale non è presente in tale consesso, affinché le leggi dei padri siano tosto rimembrate: l’erede di Gilnar, il cui sembiante mai avevo mirato sino a tale giorno, sebbene mai alcuno fra quanti hanno le loro dimore ad Armenelos gli abbia recato offesa – e dicendo questo, gli rivolse un profondo inchino – costui, dicevo, ha testé recato, innanzi a noi qui riuniti, una lama quale mai la legge dei nostri padri avrebbe permesso che fosse adoperata durante la cerimonia di investitura: essa, infatti, è una spada proveniente dall’antica città di Gondolin, non già da una delle nostre armerie”.

Tacque per un attimo, infine parlò nuovamente: “Leggo nei vostri sguardi lo stesso stupore e la stessa meraviglia che provai allorché questo giovane sguainò la sua arma dinanzi a noi: essa è una lama barbara e tale rivelazione sarebbe sufficiente per riempire me e voi di giusto sdegno; tuttavia, come se ciò non costituisse già una grave colpa, costui ha recato seco una spada stregata, la cui malsana luce incute timore in quanti osano guardarla. Non vi è alcun dubbio che il giovane, confuso dal vino e dai graziosi volti delle dame ivi presenti – e, a tale rivelazione, molti risero sommessamente – abbia obliato tale legge, né sarò io a chiedere che gli venga attribuita pena più grande di quella che la vergogna per tale rivelazione affliggerà il suo cuore: tuttavia, vedete bene come sia impossibile che tale othar aspiri alla carica che il principe Numendil gli offre”.

Silenzio echeggiò in tutta la sala, ché invero molti furono presi dal dubbio e rosi dall’inquietudine; tosto, tuttavia, si levò un brusio concitato, ché ognuno esprimeva la propria opinione ed essa sovente contrastava con quella del proprio vicino; infine, allorché la confusione parve raggiungere il culmine, si levò, chiara, la voce di Numendil: “Le leggi dei nostri padri prevedono quanto tu hai ricordato, principe Akhorahil; eppure, esse stabiliscono che sia l’investitore a giudicare se l’arma con la quale l’othar si presenti per la cerimonia possa considerarsi valida o meno: stando così le cose, io non mi opporrò alla nomina di Erfea di Numenor, ora Capitano della Cavalleria del Regno”. Alte grida di approvazione si levarono allora da coloro che erano del partito dei Fedeli, ché essi speravano venir meno in tal modo la richiesta di Akhorahil; costui, tuttavia, non esitò a parlare nuovamente e, sebbene una furia cieca si agitasse nel suo oscuro animo, seppe abilmente occultarla: “Ai voti! Si metta dunque ai voti la nomina di Erfea, figlio di Gilnar, a capitano della cavalleria del regno!”. Numendil, sebbene fosse profondamente turbato, non poté esimersi dall’accettare una simile richiesta, ché egli era Sovrintendente del Regno e Alto Custode delle Leggi e della Tradizione, sicché, mostrando grande riluttanza, pure fu costretto a cedere. Sorrise in cuor suo il Nazgul, ché egli credeva sarebbe giunta facilmente la vittoria: gli Uomini del Re, infatti, erano in maggioranza ed essi avrebbero seguito il suo volere, mostrandosi avversi alla proposta che Numendil aveva fatto propria; grande fu, tuttavia, la sua sorpresa, allorché risultò che egli era stato battuto, ché alcuni fra i Signori di Numenor del suo partito, spaventati dai successi che il principe del Forostar aveva accumulato negli ultimi tempi, erano stati propensi ad attribuire la contestata carica a Erfea, piuttosto che a osservare accrescersi l’influenza del Nazgul a corte: furente in volto, Akhorahil abbandonò l’aula, giurando che avrebbe ottenuto la sua vendetta sul figlio di Gilnar».

«Il Ciclo del Marinaio», pp. 44-48.

Akhorahil, il Re Tempesta, il Quinto

Nato nell’anno 1888 della Seconda Era, Akhorahil era il primo figlio di Ciryamir, appartenente al medesimo lignaggio del re di Numenor, Tar-Ciryatan; sebbene fosse un Uomo dotato di una forza prodigiosa e di una mente lungimirante, Akhorahil fu corrotto dalla sua sfrenata ambizione. Nel 1904, Ciryamir ottenne una licenza dal sovrano per fondare e amministrare una colonia reale nel meridione della Terra di Mezzo. L’anno successivo, Akhorahil navigò con la sua famiglia fino a sbarcare con il suo esercito presso il porto di Hyarn, in Endor e di lì, attraverso il fiume Aronduin, giunse alla cittadella, recentemente fondata, di Barad-Caramun (Torre del Tramonto). Ivi, Ciryamir fondò il reame di Ciryatandor, ed esso si estendeva dal mare fino ai contrafforti delle Montagne Gialle.

Giovane nella mente e nel corpo, Akhorahil godette della sua nuova dimora, ma il suo spirito ambiva incutere timore in quanti lo circondavano; tale era la sua ambizione che si applicò con ferrea volontà allo studio della arti oscure, eppure i risultati ottenuti in tale campo non soddisfecero appieno la sua fama di potere. Non trascorsero molti anni che il suo cuore iniziò a reclamare il trono del padre, finché nel 1918 egli promise a un anziano sacerdote dell’Harad che avrebbe scambiato i suoi azzurri occhi con le due Gemme del Dominio, le stesse che avevano permesso al suo precedente possessore di diventare il maggior esperto delle Arti Oscure nel regno degli Haradrim.

Tosto, il crudele Numenoreano adoperò tali artefatti per controllare la mente del padre e condurlo alla pazzia e infine al suicidio: in tal modo, colui che ormai si faceva chiamare il Re Tempesta, ottenne il trono paterno e sposò la sorella Akhoraphil.

Nel corso del ventesimo secolo, Akhorahil conquistò vaste contrade nel meridione della Terra di Mezzo, suscitando l’interesse di Sauron, il quale voleva appropriarsi di tale reame: un ambasciatore fu inviato presso il Re Tempesta, con il segreto incarico di offrire al Numenoreano il quinto Anello del Potere degli Uomini, promettendogli una conoscenza illimitata e una gloriosa immortalità. Consumato dall’avidità e dall’ambizione, Akhorahil legò la propria anima a quella dell’Oscuro Sire, ottenendo il suo Anello nell’anno 2002.

Nei successivi duecentocinquanta anni, il Re Tempesta non fu visto da alcuno dei suoi sudditi, mentre sua moglie e il suo primogenito abbandonarono la corte, sconvolti dalla metamorfosi che aveva subito il folle Numenoreano; il Nazgul, tuttavia, decretò prematuro rivelarsi al mondo e continuò a pagare i tributi a Numenor, ché non voleva destare sospetti alla corte del sovrano. Infine, allorché ritenne i tempi maturi, proclamò l’indipendenza di Ciryatandor, beffandosi dei tentativi del suo sovrano, Tar-Ancalimon, di riportare il suddito all’obbedienza: dopo alcuni anni, le armate di Numenor annientarono il reame del Re Tempesta; tuttavia, costui era fuggito nell’ultima contrada ove i suoi nemici l’avrebbero cercato, ed elesse Elenna stessa a sua nuova patria, dimorando nell’isola del Dono fino al regno di Tar-Palantir, il quale si dimostrò incorruttibile all’azione dei suoi servi. Nel profondo dell’Harad, il Nazgul aveva fondato una fortezza imprendibile e ivi si diresse allorché fuggì da Numenor; con suo grande disappunto, tuttavia, Erfea Morluin si addentrò nei tenebrosi meandri della sua dimora, ivi scoprendo le vere identità degli Ulairi. Grande ira covò nel suo cuore il Re Tempesta allorché la sua cittadella fu violata e furente giurò di trucidare con le sue stesse mani colui che aveva osato compiere un simile atto.

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Suggerimenti di lettura:

I Nazgul

Er-Murazor, il Primo dei Nove

Khamul, il Secondo, l’Ombra dell’Oriente.

Dwar di Waw, il Terzo, il Signore dei Cani

Indur, la Morte dell’Alba, il Quarto

Hoarmurath di Dir, il Re del Ghiaccio, il Sesto.

Adunaphel l’Incantatrice. La Settima

Ren il Folle, l’Ottavo

Uvatha, il Cavaliere, il Nono