Aldor Roch Thalion, Signore degli Eothraim

Buona Domenica! Quest’oggi vi presento una nuova bellissima illustrazione opera di Livia De Simone che ritrae Aldor Roch-Thalion, Capitano degli Eothraim, che insieme al suo popolo accorse alla difesa di Osgiliath, minacciata dalle armate di Sauron.

Aldor fu un guerriero valente, capace di abbattere uno dei tre Grandi Draghi del Freddo che avevano portato la furia degli eserciti dell’Oscuro Signore nei quartieri orientali della capitale di Gondor, conducendo Sauron molto vicino alla vittoria tanta agognata.

Spero possa piacervi, vi auguro una buona giornata!

Il prossimo articolo sarà molto speciale…riprenderà la collaborazione con una bravissima doppiatrice che avete avuto già il piacere di ascoltare in passato…

«Aldor Roch-Thalion combatteva con una grande violenza e finanche i pesanti fanti dei Númenóreani Neri non osavano incrociare le loro larghe lame con quella del capitano degli Eothraim; alti si levavano i suoi gridi di guerra e gli Orchi erano atterriti dalla sua furia cieca; Bairanax lo scorse sul ponte, possente figura, ergersi su quanti tentavano vanamente di contrastarlo e il suo soffio gelido si abbatté su di lui, senza tuttavia scalfirlo, ché nel suo animo era scesa la forza di Oromë il Cacciatore, che il suo popolo chiama Bema, ed egli non temeva alcun nemico; rapido, il Theng si scagliò allora contro il drago e balzato agilmente sul suo dorso, vi piantò la lancia in frassino che impugnava nella sua mano sinistra, gridando parole di vittoria, ché nel suo cuore non si era spento l’eco del sacrificio di Ariel ed egli desiderava ottenere giusta vendetta.

Terribile fu l’agonia di Bairanax e il suo grido di morte echeggiò per molte miglia intorno; infine si accasciò al suolo e tutte le creature di Mordor si riversarono fuori dalla città, ché temevano la furia di Aldor e non osavano avvicinarsi a lui; un grande numero di fanti si radunò dunque dinanzi alla Città delle Stelle e tosto si disposero nuovamente per l’assalto, ché si avvidero essere in superiorità di almeno uno a venti e non temevano le mortali frecce dei Númenóreani, né le letali asce di Khazad-Dûm».

Il Racconto del Marinaio e del Re Stregone, p. 309

Link utili:

Aldor Roc-Thalion

Dizionario dei personaggi de «Il Ciclo del Marinaio»

Aldor Roc-Thalion

Lord of the Eothraim, a people of knights ancestor of the Rohirrim, descendant of Imracar Folcwine. He asked the Lords of Gondor asylum for his people, driven from the land where he lived by the armies of the Nazgul Hormurath. He took part in the battle for the defense of Osgiliath, where he was able to slay Bairanax, one of the dragons who rushed to plunder the city. He participated in the following battles against Sauron’s armies and died in the early years of the Third Age. He appears in the following tales: The Sailor and the Witch King; The Sailor and the Great Battle; The Council of Orthanc; The Infamous Oath.

Link utili:
Dizionario dei personaggi de «Il Ciclo del Marinaio»

Do you want help me? https://gofund.me/7d835e8d

La battaglia della Dagorlad – L’arrivo della cavalleria alleata

Care lettrici, cari lettori,
riprendo in questo articolo la narrazione della grande battaglia combattuta alla fine della Seconda Era dinanzi ai Cancelli Neri di Mordor. Per recuperare gli altri episodi vi suggerisco di leggere i link che troverete in basso.

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

«All’ala sinistra, Erfea ed Elrond opponevano una strenua resistenza alle armate di Adunaphel, nonostante avessero subito gravi perdite; tosto, tuttavia, essi furono raggiunti dalle truppe di Gondor e spezzarono le linee avversarie, caricando il fianco sinistro dello schieramento centrale dell’armata del Re Stregone; rapido, costui ordinò ai possenti troll di montagna e di caverna di avanzare ed essi, sbucati dalle luride tane nelle quali erano occultati alla luce del sole, si avventarono su soldati di Gondor che giungevano recando seco soccorsi e ne trucidarono le avanguardie. Invero, fu detto che mai giunse sì prossimo alla vittoria il Capitano Nero, ché non vi erano più rinforzi che i suoi avversari potessero gettare nella mischia ed egli aveva ancora numerose armate che, richiamate dalla fortezza di Barad-Dur e dal valico di Cirith Ungol, attendevano silenti – al di là del Nero Cancello – un suo ordine per avanzare contro le superstiti truppe dell’Occidente; eppure, egli non sapeva che tosto sarebbero giunti i cavalieri del Lindon e del Rhovanion a muovere battaglia alle orde di Mordor e invero grande fu la sorpresa nel suo animo allorché furono uditi corni echeggiare nella desertica piana ed apparvero cinquantamila destrieri sormontati da Elfi e Uomini spietati.

Le schiere che avevano circondato l’ala sinistra dello schieramento dell’Alleanza furono travolte e calpestate dagli zoccoli dei cavalli del vespro; atterrite dall’improvvisa apparizione della cavalleria dell’Alleanza, le schiere di Mordor ondeggiarono, indi fuggirono, consentendo alle schiere di Aldor e di Herìm, ché costoro erano infatti all’avanguardia, di raggiungere le armate di Elendil e Gil-Galad, trucidando gli Orchi e gli Esterling che tenevo imprigionati in una morsa crudele le schiere dell’Occidente. Rapidi allora, nonostante la mole massiccia che ne caratterizzava i mostruosi corpi, i troll si avventarono sui cavalieri, squarciando i cavalli e scagliando i loro miseri resti contro i fanti nemici; ivi caddero molti nobili condottieri dell’Alleanza, ed Herìm ed Edheldin perirono travolti dalle rozze clave che le creature di Mordor impugnavano».

Per saperne di più:

La Battaglia della Dagorlad

Morte di un eroe

La Battaglia della Dagorlad – La strategia del Re Stregone

La Battaglia della Dagorlad – Una vittoria apparente…

La battaglia della Dagorlad – La carica dei Mumakil

La prima fase della battaglia della Dagorlad

Il discorso di incitamento di Gil-Galad ai soldati dell’Ultima Alleanza

La Battaglia della Dagorlad – Il catalogo delle forze alleate e nemiche

La Battaglia della Dagorlad – L’arrivo degli Ent

I piani di battaglia per la Dagorlad

Dwar a colloquio con i Signori dell’Ovest

Il coraggio di Morwin e la morte di Oropher e Amdir

Un giuramento infranto.

La follia di Amdir e Oropher

Un’alleanza difficile

Gil-Galad, l’Alto re degli Elfi

La Battaglia della Dagorlad – L’arrivo degli Ent

Care lettrici, cari lettori,
l’esercito dell’Alleanza è ormai pronto a sfidare le truppe di Sauron dinanzi ai Cancelli Neri di Mordor. Prima di affrontare il Nemico, tuttavia, esse saranno raggiunte da una serie di inaspettati Alleati, che contribueranno a rafforzare le loro file. Nel Silmarillion, scrivendo a proposito della composizione dell’Alleanza, Tolkien sostiene un’idea «potenzialmente» di grande respiro narrativo, ma che si presta – come vedremo – a molteplici interpretazioni. «Tutte le creature viventi quel giorno presero partito, e in entrambi gli schieramenti ve n’erano d’ogni genere, sia quadrupedi che pennuti, l’unica eccezione essendo costituita dagli Elfi, i soli che non si fossero divisi» (p. 370). Cosa significano queste parole? L’espressione «tutte le creature» deve essere intesa in senso assoluto o relativo? Nel primo caso – il più affascinante, forse, dal punto di vista speculativo, ma, allo stesso tempo, il più tremendo da gestire nei panni di chi si accinge a scrivere di questa battaglia – avrebbero potuto essere presenti Draghi, Balrog, e perché no? perfino gli Hobbit. Nel secondo caso, l’autore avrebbe inteso una presenza di creature note a chi scriveva il Silmarillion, ossia i Noldor, escludendo pertanto una serie di specie viventi all’epoca ancora non note (per esempio gli Hobbit). La questione è complessa, e non è escluso che presto possa dedicare un articolo a questo enigma, nel quale esporrò le mie suggestioni e ipotesi. Per il momento, dopo lunga e sofferta valutazione, mi sono orientato verso una posizione intermedia, nella quale, naturalmente, non potevano mancare le creature parlanti più antiche della Terra di Mezzo: gli Ent, i Pastori degli Alberi, e i loro rappresentanti più anziani, tra i quali spicca Barbalbero.

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

L’immagine in alto è di Ted Nasmith: «Barbalbero e l’Entconsulta»

«Secche, giungevano alle orecchie dei soldati le parole dei loro capitani ed essi erano ansiosi di muovere guerra alle truppe di Mordor, né v’era bisogno di parole per spronare i loro gesti, ché molti avevano ancora impresse nella mente i cadaveri, mutilati ed abbandonati nella piana di Osgiliath, mentre altri, pur non avendo assistito a quanto mente mortale e immortale è impossibilitata dall’obliare, avevano ascoltato i raccapriccianti racconti di coloro che erano sopravvissuti e avevano partecipato del dolore che aveva colto i propri compagni d’arme.

Lance furono issate, spade sguainate e faretre empite di dardi acuminati; allorché le armate dell’Alleanza furono schierate, Gil-Galad si voltò e nel suo cuore si impresse, a ricordo imperituro di quel giorno, la maestà dei figli di Iluvatar; allora, il suo cuore fu empito dalla gioia ed egli, sguainata la lama dal fodero impreziosito da eleganti intarsi in mithril, cantò nella lingua dei padri: melodiose, eppure virili, erano le parole che egli pronunziava e perfino chi non comprendeva il Quenya, rimase affascinato, sicché presto l’animo di ciascuno fu saldo e la mente libera dalla paura dei servi di Mordor.

Era il tramonto allorché le schiere dell’Alleanza presero a marciare dirette a Mordor e nessun nemico osò contrastarne la marcia, ché gli esploratori di Thranduil bene conoscevano quelle contrade ed essi evitarono le distese acquitrinose ove i guerrieri dei Silvani avevano trovato triste morte. Rapide, le schiere dell’Alleanza si mossero lungo l’antica strada, realizzata dai servi di colui che si apprestavano a combattere; stupiti, esse miravano una gran quantità di bestie del cielo e della terra unirsi a loro, e, sebbene si interrogassero l’un l’altro, pure non riuscivano a comprendere per quale ragione accadesse un simile fenomeno.

Possenti aquile, le cui maestose ali empivano il cielo, erano sopra i figli di Iluvatar, né esse erano gli unici volatili, ché tosto si accompagnarono a costoro candidi cigni, il cui piumaggio splendeva sotto la rossa luce del freddo tramonto. Lieti in volto, gli Eldar presero a mormorare che costoro erano i congiunti di Elwing e il loro spirito fu rallegrato dalla loro comparsa; non meno gioiosi, tuttavia, erano i Secondogeniti, ché innumerevoli gabbiani dal canto malinconico erano comparsi all’orizzonte e sovente essi si posavano sugli elmi dei soldati di Gondor, sicché questi parevano davvero essere decorati dalle ali di tali uccelli.

Se maestosi erano i voli degli araldi di Manwe e di Varda nel vasto cielo, non meno nobili erano tuttavia i pastori di Yavanna e l’aree era colmo dei loro profondi e rauchi richiami; stupefatti i figli di Iluvatar miravano gli Ent, gli antichi custodi degli alberi, fare seguito ai loro vessilli, sicché parve che un’immensa foresta fosse intenta a marciare; infine, allorché la sera calò e i soldati furono intenti ad edificare i ricoveri per la notte, tre fra i Pastori degli Alberi[1] si approssimarono all’accampamento, chiedendo di poter discorrere con i Capitani dell’Alleanza: anziane erano le loro membra, ma ancora vigorose, e lucidi gli imperscrutabili occhi; a lungo attesero in silenzio, infine uno fra loro avanzò e parlò con voce lenta e profonda.

“Hum, salute a voi, giovani rampolli del seme di Iluvatar! Alcuni fra voi – e così dicendo, si inchinò leggermente a Gil-Galad ed Elrond – hanno scorto in passato i miei passi nelle contrade oggi devastate dalla crudeltà dei servi di Sauron e udito l’eco delle nostre tristi canzoni allorché l’oggetto del nostro disio scomparve e più non fece ritorno alle antiche dimore; tuttavia, sebbene i nostri cuori ancora sanguinino per il ricordo di tali vicende, pure non sono giunto dinanzi a voi per ricordare il passato, ma per preservare il futuro delle contrade che amiamo”.

Lesti, i signori delle libere genti si inchinarono e Gil-Galad prese la parola: “Grati sono i nostri animi, o possente fra gli Onodrim, per quanto tu e la tua gente avete compiuto per la salvezza dei liberi popoli; non vi è alcuna parola, in nessuna lingua, per esprimere adeguatamente la riconoscenza per quanto i vostri possenti corpi hanno condotto a termine; senza la vostra azione, infatti, le genti di Gondor non avrebbero avuto alcuna dimora nella quale rifugiarsi durante il rigido inverno e l’afosa estate”.

Divertito parve l’Ent ed i suoi compagni risero cortesemente: “Hum, suvvia, re dei Noldor! Non è per ricevere gentili ringraziamenti da parte tua che abbandonammo i boschi a nord, bensì per sostenere la causa dei reggenti di Arda e di colui che è sopra essi; quanto a ciò che accadde nel fresco Ithilien, sappi che non costò al mio popolo alcuna fatica, ché gli orchi erano terrorizzati dalla nostra presenza, sebbene la stessa cosa possa dirsi riguardo ad alcuni delle vostre stirpi!”

Rise ancora e la sua letizia fu come un fremito del vento di primavera tra i suoi fronzuti rami; infine si arrestò e prese nuovamente a parlare, questa volta con tono curioso: “Gli uccelli del cielo hanno sussurrato alle mie orecchie che quivi sarebbe un capitano fra gli uomini, quali i miei occhi mirarono anni or sono; dov’è dunque Erfea, figlio di Gilnar, che voi chiamate Morluin?”

Messaggeri furono inviati alla ricerca del Sovrintendente di Gondor, ché nessuno sapeva dove egli fosse in quell’ora: non fu necessario, tuttavia, attendere a lungo, ché un cavaliere si approssimò alle massicce figure degli Onodrim e, sceso dal suo destriero, si inchinò dinanzi a loro:

“Ben m’avvedo di essere in ritardo, Signore fra i Pastori degli alberi, tuttavia non ti domando perdono, ché altri servigi hanno reso le mie braccia mentre tu discorrevi con i principi delle libere genti, e la pugna è prossima ad iniziarsi”.

Divertito l’osservò l’Ent, infine, chinato graziosamente il possente capo, lo salutò a sua volta: “Non desidero le tue scuse, ché rapida fugge via la tua esistenza, Numenoreano e molte sono le azioni che desideri ancora compiere nella Terra di Mezzo. Lieto sono nel discorrere con te, Erfea Morluin, ché lunghi anni trascorsero dal nostro ultimo incontro e, sebbene il peso degli inverni gravi sulle tue spalle ancora forti, sappi tuttavia che prossimo è il momento in cui riporrai il fardello e il dolore fuggirà via dalle tue membra”.

“Pure, Fangorn, tale ora è ancora distante, né vi è meraviglia nei miei occhi per quanto le tue parole hanno rivelato, ché si dice che il tempo scorra diversamente per i mortali e per quanti calcano queste contrade da epoche remote e che nessuno fra noi Secondogeniti ricorda”.

Sospirò l’Ent e le foglie che ne adornavano il capo furono scosse da una leggera brezza: “Invero, sagge sono le tue parole, ché troppo spesso oblio quanto appresi su coloro la cui sorte non è vincolata al destino di Arda; tuttavia, poiché altre faccende richiedono la mia presenza, vi porgo i miei saluti, rimembrando a ciascuno dei presenti quanto incomprensibili siano i voleri del fato, sicché non convenga affannarsi alla ricerca della comprensione di un sapere quale è pericoloso per i figli di Iluvatar ottenere”.

Rapidi si mossero gli Ent, sparendo nella bruma della notte; incredulo in volto, così parlò allora Aldor: “Pastori degli alberi! Mai avrei creduto che nel corso della mia esistenza avrei mirato le creature di Yavanna, le cui vicende sono note al mio popolo solo attraverso antichi poemi cantati nelle fredde notti di inverno. Benedetti siano questi giorni, ché, se molto è stato perduto e nuovi lutti subiranno le libere genti del mondo, pure è di grande conforto sapere che gli dei non hanno obliato i figli di Iluvatar che dimorano nelle vaste contrade di Endor”.

Rispose Glorfindel: “Rallegrati, dunque, figlio del Nord, ché oggi hai assistito ad un prodigio quale mai gli Eldar hanno scorto sin da che il Beleriand fu sommerso dai flutti del Grande Mare: gli Onodrim, i Pastori degli Alberi, sono infatti giunti in tali remote contrade per contrastare le schiere del Maia caduto e dei suoi servi”.

Annuì l’Eothraim, né egli era l’unico ad aver scorto quelle creature per la prima volta: “Molto si parla nelle leggende del mio popolo dei Pastori degli alberi, sebbene le vicende in cui siano implicati non costituiscano motivo d’orgoglio per la stirpe di Nogrod. – interloquì Groin, figlio di Bòr – Quali altre meraviglie scorgeranno dunque i miei occhi in questi giorni ricolmi di terrore ed incanto?”

Lungimiranti furono allora le parole che Cirdan pronunciò: “Il mattino recherà seco eventi quali i miei occhi, che pure sono molto anziani, non miravano dal giorno in cui Morgoth fu abbattuto ed Endor liberata dalla sua malvagia influenza, seppure per breve tempo”».

Note

[1] Erano, costoro, i più anziani fra gli Onodrim: Fangorn, Finglas e Fladrif erano i loro nomi nella lingua degli elfi grigi e Barbalbero, Ciuffofoglio e Scorzapelle nelle favelle degli uomini del nord.

Suggerimenti di lettura:

I piani di battaglia per la Dagorlad

Dwar a colloquio con i Signori dell’Ovest

Il coraggio di Morwin e la morte di Oropher e Amdir

Il primo attacco ai Cancelli Neri

Un giuramento infranto. La follia di Amdir e Oropher

Un’alleanza difficile

Gil-Galad, l’Alto re degli Elfi

Dwar a colloquio con i Signori dell’Ovest

Care lettrici, cari lettori,
in questo articolo continuo la narrazione degli eventi che condurranno alla prima caduta di Sauron e allo smarrimento dell’Unico Anello. Dopo aver sconfitto pesantemente le truppe degli Elfi Silvani e Sindar comandate da Amdir e Oropher, Dwar di Waw, il Terzo Nazgul in possanza, reca un’ambasciata ai Signori dell’Ovest per chiedere la loro resa.
La risposta…beh, potrete leggerla in questo articolo!

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

L’immagine è opera di Fabio Porfidia

«Inquieti erano gli animi dei comandanti dell’Alleanza, ché essi non avevano ricevuto alcun messaggio proveniente da Oropher, né avrebbero potuto ignorare i motivi per i quali le missive tardavano a giungere. Cinque giorni erano trascorsi dacché le sue schiere avevano abbandonato gli accampamenti invernali, allorché le vedette avvistarono un corteo di cavalieri giungere dinanzi alle porte delle loro dimore; speranzosi in volto, i condottieri dell’Alleanza si fecero loro incontro, ma tosto i loro visi furono distorti dallo disgusto e dall’odio.

Un cavaliere avanzava verso i Signori dell’Occidente, attorniato da mostruosi cani da combattimento e orchi dallo sguardo bieco; lesti, i capitani delle libere genti posero mani alle loro armi, tuttavia i loro intenti furono frustati allorché fu innalzata una bandiera bianca, segno che codesta era un’ambasciata dell’Oscuro Signore. Baldanzosa avanzava la sinistra figura sul suo nero destriero ed ella sembrava farsi beffa dei suoi nemici; sconosciuto era il suo sembiante a Gil-Galad e ad Elendil, eppure Erfea non aveva obliato quanto aveva appreso allorché, molti anni addietro, era riuscito a penetrare nella fortezza dei Nazgul, occultata nelle remote piane dell’Harad; lesto allora si approssimò al suo signore Anarion e pronunziò simili parole: “Egli è Dwar di Waw, Terzo in Possanza fra gli Ulairi; Signore dei Cani lo chiamano i suoi accoliti ed i segugi che lo circondano ringhiando sommessamente sono la sua laida prole”. Annuì lentamente il figlio minore di Elendil, ché mai aveva mirato uno degli Spettri dell’anello ed invero possente era quel giorno la figura del Comandante dell’armata di Udun, sicché egli incuteva timore in quanti lo miravano.

A lungo l’unico suono che si udì fu il sommesso latrare dei segugi del Nazgul, infine, costui, rivelando apertamente il suo disprezzo per i suoi interlocutori, posò uno sguardo terribile a sostenersi su ognuno di loro e parlò:

“Costoro sarebbero dunque gli sfidanti del mio glorioso signore? Chiunque, osservando i loro cenciosi stracci elfici e i loro miserevoli usberghi di maglia potrebbe credere che essi non siano altro che dei ladri appropriatisi delle ricchezze lasciate incustodite da qualche ricco e sciocco signore! Ben m’avvedo come nei vostri sguardi si celi la volontà di trucidare me e quanti compongono il mio seguito, sicché la vostra codardia possa sembrare inferiore e la gente possa dire, stupefatta, che essi hanno sconfitto uno fra i capitani di Sauron il Dominatore della Terra di Mezzo; ebbene, io non mi opporrò certo, se codesta sarà la vostra volontà! Trucidateci pure, ché non rechiamo armi con noi; eppure, sopravverrebbe in voi terribile vergogna, se tale desiderio fosse realizzato, ché conosco bene le vostre leggi ed esse vietano di levare le armi verso coloro che, disarmati, giungono innanzi alle dimore dei Signori dell’Occidente”.

Rise, ed orribile fu ad udirsi tale suono, sicché molti, all’interno degli accampamenti, si coprirono le orecchie con le mani, desiderando che gli stranieri tosto si allontanassero; pure, i cuori dei comandanti dell’Alleanza non vennero meno ed essi non tremarono dinanzi al servo di Mordor. Erfea prese dunque la parola e tale fu la sua risposta al crudele spettro:

“Alcuni fra noi, Dwar di Waw, potrebbero affermare che la parola sia di per sé un’arma temibile, ché essa scuote gli animi di coloro che le prestano ascolto; nulla hai tuttavia da temere dalle nostre persone, sin quando la bandiera bianca del tuo schiavo resterà ritta, ché nessuno dei tuoi falsi pensieri ha corrotto il nostro cuore, né la parola di uno degli schiavi di Sauron è temuta in tale luogo! Parla, dunque, se tale desio soddisfa la tua sconcia volontà; sappi tuttavia che non vi sarà alcun tuo gesto o affermazione che possa costringere i voleri di quanti ti contrastano a venire meno al giuramento stretto due anni or sono!”

Lesto si posò lo sguardo del Nazgul sul Sovrintendente di Gondor e parve a tutti che sul suo volto si leggesse incredulità e timore; infine egli rise nuovamente e ostentò il suo disprezzo per colui che aveva parlato:

“Sei dunque tu il portavoce di questi folli, Morluin? Non credere che io sia sorpreso, ché l’eco delle tue stolte azioni è giunto sino a Barad-Dur ed esse non costituiscono per me motivo di meraviglia”.

“Se tale è il tuo parere, servo di Sauron, per quale motivo hai abbandonato la fortezza del tuo padrone? Non dubito che tu sia giunto in tale luogo per compiere qualche azione abietta, eppure non vedo cosa possa chiedere a coloro che hanno giurato di sterminare tutte le armate di Mordor”.

Rise ancora una volta il Signore dei Cani, e sul suo volto era visibile soddisfazione, quasi che avesse desiderato ardentemente che gli fosse rivolto un tale quesito; infine rispose e lo stridio della sua lugubre voce fu udito in tutto l’accampamento:

“Domandare? Molta pazienza il mio glorioso signore ha dimostrato, accogliendovi, armati, nella sua dimora, eppure vi sono stati alcuni fra voi che hanno insudiciato la sua contrada, osando condurre la guerra sino alle sue porte. Egli, tuttavia, è invero uno spirito lungimirante e magnanimo, né gradirebbe che le cenciose schiere di coloro che chiamano sé stessi Signori dell’Occidente possano trovare una indegna morte per mano di coloro che non furono saggi a sufficienza da comprenderne gli scopi.
No, figlio di Gilnar, il Re del mondo non ha nulla da domandare a coloro che impunemente lo contrastano; sì grande è stata tuttavia l’offesa che egli ha subito, ché io sono stato inviato presso di voi per mostrare cosa accade a chi commette azioni malvagie”.

Attoniti, i condottieri dell’alleanza lo videro scagliare un triste fardello nella cupa notte e ascoltarono parole di odio e sarcasmo intrise: “Se l’ospite incauto oblia cortesia e onore, riceverà un trattamento adeguato alla sua scelleratezza”.

Lesto gli rispose tuttavia Erfea:  “Se il tuo signore spoglia l’ospite di ogni suo bene, sappia allora che la sua ingordigia si dimostra maggiore della sventura che colpisce chi, per sorte o per follia, calpesta le sue oscure contrade”.

“Non sprecare parole con il Nazgul, numenoreano! Sauron non mi ha condotto innanzi a voi per mostrarvi quanto sia grande il suo potere, ché qualunque brigante proveniente dalle vostre contrade potrebbe consegnare la testa del proprio nemico vinto a coloro che ne compiangerebbero il triste fato! Il Signore di Endor desidera che i vostri occhi possano, invece, scorgere quanto grande sia la sua pietà, ché se non siete stati ancora trucidati lo dovete solo alla sua infinita pazienza; ritirate dunque i vostri eserciti e non una freccia, né una lancia si leveranno contro le vostre carni; rifiutate e nessuno fra voi scorgerà sorgere la luna nel prossimo plenilunio!”

Crudele fu il riso di Dwar e cupi i latrati delle sue fiere; tosto, allora, egli si allontanò, avendo soddisfatto la missione che il suo signore gli aveva comandato; non aveva, però, percorso che pochi passi, allorché una lancia vibrò alle sue spalle, andando a conficcarsi nell’asta che il suo bieco accolito reggeva nella grinfia. Stupefatto, egli si voltò e ascoltò la chiara voce di Aldor Roch-Thalion librarsi nell’aree: “Riferisci al tuo padrone, schiavo di Mordor, ché gli eserciti dell’Alleanza si ritireranno solo quando la sua oscura torre sarà rasa al suolo ed egli avrà trovato un destino di morte. Sei ancora un ambasciatore e non posso trafiggerti con la mia lama: valga perciò come monito per coloro che sostengono la tua bieca causa quanto il mio poderoso braccio ha compiuto innanzi a te. Allontanati dunque, e non darti pena di estrarre il mio giavellotto dall’asta del tuo servo, ché sarà mia premura recuperarlo di persona!”

Furente, Dwar si voltò e pronunziò tali parole di commiato: “E sia! Se i vostri voleri guerrafondai desiderano la pugna, allora soddisferemo i vostri insani desideri!” e lanciata una maledizione nella lingua degli schiavi di Mordor, si lanciò alla carica, seguito dai suoi accoliti».

Suggerimenti di lettura:

Gil-Galad, l’Alto re degli Elfi

Un’alleanza difficile

Un giuramento infranto. La follia di Amdir e Oropher

Il primo attacco ai Cancelli Neri

Il coraggio di Morwin e la morte di Oropher e Amdir

Dizionario dei personaggi de «Il Ciclo del Marinaio»

Dwar di Waw, il Terzo, il Signore dei Cani

Il Ciclo del Marinaio

L’Infame Giuramento_IV Parte (La storia di Morlok l’Occultatore)

Bentrovati! Proseguo la narrazione de «Il Racconto dell’Infame Giuramento», presentando una nuova figura, alla quale fin ora ho rivolto solo qualche cenno nel corso della trattazione: Morlok, una sorta di Ministro delle Finanze di Numenor, padre dell’ammiraglio Eargon, che avete avuto modo di conoscere leggendo «Il Racconto dell’Ombra e della Spada». In questa parte del racconto mi soffermerò su un aspetto che, di solito, nei racconti epici o fantasy viene trascurato, ossia il risvolto economico di queste vicende: intraprendere una guerra, una rivolta e, più in generale, tenere il governo di uno Stato potente come Numenor, infatti, richiedeva una certa disponibilità di denaro liquido: questa è la ragione per cui uomini apparentemente insignificanti come Morlok, in realtà, possono rivelarsi ancora più determinanti di un Paladino…

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

«Coloro che erano con lui si levarono allora dai propri scranni e si apprestarono a raggiungere il desco; non era però con loro Erfea, ché egli rimase nella radura, contemplando le stelle di Varda sbocciare, come fiori argentati nella notte, ad occidente; allorché i suoi compagni furono di ritorno, lo trovarono che pareva addormentato: pure, così non era ed egli, al contrario, era immerso in profonda meditazione. Uditi i passi di coloro che gli si facevano incontro, il figlio di Gilnar si levò dal suo scranno e invitò i compagni a disporsi accanto a lui; con loro era adesso Glorfindel, ché molto ambiva conoscere eventi di cui gli erano giunti solo pallidi echi.
Erfea attese che il silenzio regnasse fra loro, infine levò nuovamente la sua voce ed essi lo stettero ad ascoltare.
“Vi fu, in seno al Consiglio dello Scettro, molta confusione in seguito alla mia proposta e non poche furono le voci di coloro che discussero al suo interno; alcuni erano per obbligare Tar-Miriel a rinunciare al trono e a nominare un nuovo sovrano fra loro che non avesse tema di arrestare Pharazon, stante l’accusa di alto tradimento; altri, e fra questi vi era anche Amandil, esortavano i presenti affinché ogni decisione fosse rimandata all’indomani della successiva seduta del Consiglio dello Scettro, che si sarebbe tenuta alcune settimane più tardi; comune a tutti, però, era la volontà di proseguire la guerra contro Pharazon: inviammo, allora, messaggeri ai nostri alleati, pregandoli di inviarci rinforzi prima che le armate del governatore ribelle piombassero su di noi, ma la nostra speme andò quasi del tutto delusa, ché alcuni araldi, infatti, furono trucidati dal Nemico prima di giungere a destinazione, mentre altri si smarrirono nelle selve e nelle paludi di Endor.
Di quei pochi che pervennero ai reami dei popoli liberi, avemmo notizie dopo una lunga attesa, ché le strade erano occupate dalle armate dei Neri e dalle loro spie; tuttavia, allorché essi furono di ritorno, confermarono le nostre peggiori paure, ché asserirono non sarebbero giunti aiuti da Khazad-Dum, mentre gli Uomini del Rhovanion avevano edificato i loro accampamenti al di là del mare di Rhun ed erano per noi irrangiugibili: solo gli Elfi risposero al nostro appello ed inviarono viveri ed armi.
Reso perplesso ed inquieto da tali notizie, compresi poco o punto le ragioni che avevano spinto i signori di Khazad-Dum a venire meno alla nostra alleanza, tanto più che erano state scorte spie di Pharazon aggirarsi lungo i tortuosi sentieri che conducevano alla rocca dei figli di Aule; grande fu la paura che mi colse, perché temetti che presto sarebbe stata instaurata un’alleanza fra i Naugrim ed i Numenoreani Neri; tuttavia, come vi spiegherà Naug-Thalion, i miei timori non trovarono conferma.
“A quell’epoca – interloquì il principe del popolo dei Naugrim – vi erano discordie anche all’interno del nostro Consiglio Supremo, ché alcuni premevano affinché i Fedeli di Elenna fossero sostenuti, mentre altri, infidi e pavidi, ritenevano sarebbe stato più saggio per il nostro reame se nessuna alleanza fosse stata stretta con quelle genti, temendo che le ricchezze di Khazad-Dum sarebbero state concupite dai Dunedain e che la gloria del nostro popolo sarebbe stata oltraggiata se avesse preso parte alle guerre fra i Numenoreani.
Per lungo tempo, quanti erano della mia schiatta riuscirono a contrastare la perniciosa influenza che consiglieri pavidi detenevano all’interno della corte, finché essa non trionfò e il sovrano non prestò ascolto alle subdole parole dell’opposta fazione; alcuni fra noi, allora, presero a inviare aiuti ai paladini di Elenna clandestinamente, contravvenendo agli ordini del re.
Ahimé, mai Durin IV avrebbe dovuto ascoltare tali infidi consiglieri, ché essi agivano spinti dalle medesime debolezze che attanagliavano sovente i cuori dei Naugrim, timorosi come erano di perdere i tesori che il nostro popolo aveva accumulato nel corso di lunghi secoli; fu fatto divieto a ciascuno dei principi del regno di soccorrere entrambi i contendenti e se questo fu, indubbiamente, di grande impedimento e danno per i capitani di Erfea, tuttavia provocò le medesime conseguenze anche per i loro nemici ed essi, ancora per qualche tempo, furono respinti”.
“Allorché mi giunsero tali notizie – riprese a parlare Erfea – sebbene non provassi nel cuore letizia alcuna, pure mi avvidi che finanche i miei avversari non avrebbero potuto godere di alcun aiuto; resistemmo, dunque, ancora per qualche mese, finché un nuovo evento, ancor più grave di quanti ho finora narrato innanzi a voi, colpì il mio partito e segnò le sorti di Numenor”.
“Se le tue parole non mi ingannano, Erfea Morluin, devo dunque dedurre che ancora non era stata presa una decisione in seno al Consiglio dello Scettro che privilegiasse la lealtà alla Corona o al popolo Numenoreano” osservò Glorfindel, campione fra gli Elfi.
“In verità, figlio di Gondolin, la decisione, nel cuore di ciascuno di noi, era stata già presa; tuttavia, poiché i Numenoreani di Pharazon risalivano da Sud rapidamente, pure si era detto che, fino al giorno in cui la pace non avesse trionfato nelle contrade abituate dai Dunedain, essa sarebbe stata taciuta”.
Erfea s’interruppe per qualche istante, indì proseguì: “All’epoca, tuttavia, non ci avvedemmmo della nostra ingenuità e in questo errammo a lungo, ché ignoravamo quali alleati sostenessero Pharazon nella sua lotta per impugnare lo scettro di Elenna; poche o punte certezze vi erano, sebbene io credessi che fra essi si occultasse almeno uno degli immortali servi dell’Oscuro Signore; questi, tuttavia, erano abili nell’occultarsi e si tenevano lontani dalla mia lama, sicché io scoprii le loro identità quando era ormai troppo tardi.
Scarsi erano, come vi ho testé narrato, i fondi di cui disponevamo per proseguire nella lotta contro i Numenoreani Neri, sicché in quei giorni la nostra unica fonte era costituita dal Tesoro Reale di Numenor, di cui era stato nominato Sovrintendente Morlok, il cui lignaggio era affine al mio, condividendo i medesimi padri; inusuale era stata la scelta della sovrana, ché mai, nella millenaria storia della nostra isola, un simile incarico era stato affidato alla sua stirpe, essendo stato, un tale compito, da sempre prerogativa dei principi del Mittalmar; pure, Tar-Miriel non aveva fiducia alcuna dell’unico superstite di tale casato, Brethil l’Orbo, così chiamato perché aveva perduto un occhio durante una delle battaglie contro gli Uomini del Re, dal momento che egli era cugino di Arthol il Rinnegato, condannato a morte per altro tradimento molti anni prima.
Non mi soffermerò ulteriorarmente su queste vicende, ché esse non riguardano tale narrazione; mi è sufficiente dire che Brethil, al contrario del corrotto cugino, era invece uno spirito lungimirante e privo di malizia, sicché egli, pur non alzando lamento alcuno durante le sessioni del Consiglio dello Scettro, pure soffriva per la sua mancata nomina a Sovrintendente del Tesoro, ché la riteneva, e a ragione, umiliante e priva di ragione alcuna: inutilmente tentai di persuadere Tar-Miriel affinché ella si ravvedesse sulla sua scelta e compisse atto di umiltà e giustizia, restituendo a Brethil la carica che apparteneva alla sua casata fin dai tempi di Elros Tar-Minyatur.
Poco o punto era stato possibile apprendere da Morlok, ché era riluttante nel parlare e conduceva vita solitaria; l’Occultatore presero a chiamarlo, ché si diceva fosse in grado di nascondere qualunque suo pensiero ai Saggi del Regno e finanche alle aquile di Manwe; non so quanta verità vi fosse in una simile diceria, ché lo sguardo di uno solo fra gli araldi del Signore dei Valar è arduo da sostenere ed essi leggono molto delle nostre intenzioni; ad ogni modo, egli si mostrò abile nella gestione delle finanze dello Stato ed il popolo benediceva sovente il suo nome, allorché lo scorgeva aggirarsi nei vicoli di Armenelos.
Per lunghi anni, dunque, Morlok ottenne l’amicizia dei membri del Consiglio dello Scettro e della Regina, la quale, tosto, prese a benevolere la sua casata, onorandola con ricchi doni, di cui il Sovrintendente, tuttavia, non amava fare sfoggio. Morlok prese moglie in tarda età, finanche secondo il metro dei Numenoreani, e la sua consorte aveva nome Linwen, una dama cara a Tar-Miriel come fosse una sorella; tale unione rafforzò il legame tra Morlok e la Regina di Numenor ed ella prese a confidarsi con lui, mostrandogli tesori quali mai occhi mortali che non fossero appartenuti alla stirpe dei sovrani avevano ammirato; un figlio allietò la dimora del Sovrintendente ed il suo nome era Eargon. Allorché furono trascorsi dieci anni, l’erede di Morlok si imbarcò su di una nave e nel volgere di un trentennio divenne un esperto capitano, sicché fu promosso Vice-Ammiraglio del Regno; quando questa notizia si diffuse a Numenor, non pochi ebbero a sussurrare che Eargon sarebbe presto divenuto un condottiero la cui fama avrebbe oscurato quella di qualunque altro paladino di Elenna; essi, tuttavia, non si avvidero che il giovane comandante era divenuto seguace di Pharazon ed ambiva ottenere conoscenze arcane, quali mai gli Uomini della sua stirpe avevano domandato e che sarebbe stato saggio non concupire mai; egli fu dunque corrotto e sedotto da Adunaphel e ne divenne lo schiavo preferito, nonché quello di gran lunga più potente”.
“In nome di Bema – proruppe allora la voce colma di orrore di Aldor Roc-Thalion – cosa accadde dunque a quel giovane, allorché la sua volontà fu annientata ed egli cadde vittima dell’Ombra? Non è ancora trascorso un giorno dacché ho udito la tua spaventosa storia sul maniero dei Nazgul e il mio cuore trema al pensiero di quale infausto destino possa aver conosiuto un siffatto Uomo!”
“Invero, il suo fu un destino di morte, ché egli aveva appreso le Arti Oscure ed era divenuto un capitano di mare quale pochi potevano vantare di eguagliare, né gli erano sconosciuti i segreti del Regno che il padre, per sua e nostra sventura, aveva osato narrargli, non sospettando alcunché. Eargon, allora, divenne una formidabile spia al servizio di Pharazon; eppure, le disgrazie maggiori dovevano ancora accadere».

L’Infame Giuramento_Parte I (Il ritorno di Celebrian)

Care lettrici, cari lettori, bentrovati. Nel mese di agosto vi intratterrò con le vicende narrate nel «Racconto del Marinaio e dell’Infame Giuramento»: prima di leggere questo e gli articoli che seguiranno, tuttavia, vi consiglio la lettura del «Racconto dell’Ombra e della Spada», perché si tratta della continuazione ideale del filo narrativo iniziato in quel testo. Ad ogni modo, eccovi un breve riassunto delle vicende precedenti: al termine de «Il Racconto dell’Ombra e della Spada», Pharazon e i suoi consiglieri Nazgul avevano elaborato la loro strategia per prendere il potere a Numenor e rovesciare il regno della legittima sovrana, Tar-Miriel. In questo racconto, dunque, le premesse sinistre poste in quella riunione segreta tenuta dai Numenoreani ribelli diventeranno realtà; e toccherà ad Erfea, tornato nuovamente protagonista, essere la voce narrante di quanto accadde nell’ultimo anno di regno di Miriel, nel 3255 della Seconda Era.
Si tratta di un racconto molto drammatico e ricco di colpi di scena, al quale sono particolarmente affezionato. La vicenda si apre ad Orthanc (Isengard) nel mese di giugno dell’anno 3429 della Seconda Era: in quel luogo, infatti, si erano ritrovati i principali leader dei Popoli Liberi allo scopo di formare quella che sarebbe divenuta nota come «Ultima Alleanza», destinata a combattere il potere crescente di Sauron; ed è in questo frangente che Erfea ritrova una sua carissima amica…

Spero possa risultare piacevole la lettura di questo testo, così come per me è stato emozionante scriverlo. Aspetto i vostri commenti, buona lettura!

«Due figure si ergevano, l’una accanto all’altra, nel luminoso meriggio di giugno; deferenti inchini rivolgevano loro le alte guardie della poderosa fortezza che i Numenoreani avevano edificato alle sorgenti dell’Isen: Orthanc era il suo nome in lingua elfica e numerosi furono i principi ed i condottieri che quell’anno si recarono nelle sue profonde aule, affinché la minaccia di Sauron fosse allontanata dai reami delle libere genti ed esse non dovessero più patire la crudele schiavitù che i servi dell’Oscuro Signore imponevano a quanti avevano la sventura di cadere sotto i loro laidi artigli.

Lentamente, le due figure procedevano; l’una, ricolma di giovanile grazia e di sapienza vetusta, inspirava finanche nel più pavido figlio di Iluvatar amore per la sua bellezza senza tempo; neri come ala di corvo erano i lunghi capelli e nei vividi occhi brillava serena la luce di Earendil, colui che reca la speme fra coloro che sono in preda allo sconforto.

Vellutato era il passo della dama ed ella calzava morbidi stivali di bianca pelle; allorché, intimorati da tale bellezza, le alte guardie, eredi della maestà dei figli degli uomini, osavano levare lo sguardo, non pronunziavano parola alcuna, ancorché il nobile portamento della Signora ne consigliasse l’uso; ma quale suono poteva levarsi dalla bocca dei Secondogeniti dinanzi a cotanta bellezza, sicché non fosse parso impudico e sgradevole da udirsi? Gli Uomini che avessero avuto l’ardire di ammirare i suoi limpidi occhi, avrebbero scorto la maestà di Ulmo agitarsi in essi e lo stupore ne avrebbe invaso l’animo, ché non vi era dama mortale il cui sembiante fosse così vivido e splendente. Una Signora fra i Noldor ella era, giunta in codesta contrada per discutre dei grandi eventi che erano accaduti in quegli anni, sì lontani dai nostri giorni: grande era la sua lungimiranza ed i popoli abbisognavano del consiglio della figlia di Celeborn del Doriath e di Galadriel del Lorien; Celebrian era il suo dolce nome ed ella appariva simile a Varda, la sposa di Manwe.

Poco o punto l’Elfa si curava degli sguardi che le venivano rivolti, ché era intenta ad ascoltare quanto il suo compagno le narrava; una stinta ed ampia cappa occultava il capo di costui, eppure, le alte guardie mostravano nei suoi confronti la medesima dedizione che ponevano nel volgere il saluto alla dama dei Noldor: nulla era visibile del suo sembiante, eccetto un lungo fodero nero ed argentato che era al fianco ed un ampio mantello color del cielo; finanche i più anziani tra i soldati di Gondor cedevano il passo innanzi al suo e gli rivolgevano inchini profondi e sinceri, ché era noto il nome di tale comandante ai loro orecchi ed essi avevano imparato a rincuorarsi allorché udivano la sua voce, memori di quanto avevano compiuto dinanzi ai loro attoniti occhi durante gli assedi di Minas Ithil e di Osgiliath.
Cortesi cenni l’Uomo rivolgeva ai soldati ed essi erano colmi di ammirazione per il loro Signore e Comandante, ché era dello stesso lignaggio di costoro e proveniva dalla medesima patria ora scomparsa tra i flutti del Grande Mare.
A lungo camminarono, l’Elfa concedendo il proprio braccio all’Uomo che le era al fianco, secondo le usanze cortesi di quei popoli d’arte e di scienza esperti; infine, allorché ebbero percorso un’ampia scalinata e furono usciti all’aperto, Celebrian prese riposo su un alto scranno in pietra che mani savie avevano posto lungo il sentiero che dal pinnacolo di Orthanc conduceva al cancello meridionale delle mura esterne: l’uomo accanto a lei, dopo essersi leggermente inchinato, parlò ancora per qualche istante, infine tacque e l’unico suono che si udì fu quello dei gai e freschi zampilli d’acqua che dalle fontane sgorgavano verso il basso; infine, lieve come la neve in inverno, la dama si scostò una ciocca dai capelli e parlò: «Lungo è stato il tuo racconto, amico mio, ed ogni parola io ho ascoltato della narrazione; ora comprendo quanto dolore alberghi nel tuo animo ed il mio cuore piange perché non posso lenire simili ferite. Ahimé – concluse – questi giorni, di terrore ed oscurità intrisi, non pochi dolori arrecheranno alla prole di Iluvatar; infine mi è nota la sorte di Elwen la Mezzelfa, tuttavia sappi che le parole da te pronunciate in quest’ora nessun altro udirà».
L’Uomo la guardò e per un istante parve che brillasse, nella penombra all’interno della sua cappa, un remoto sorriso di gratitudine; infine ratto si voltò, ché gli era parso di ascoltare il suono di pesanti passi giungere alle sue spalle: due Nani erano intenti a percorrere il medesimo percorso per mezzo del quale egli e la dama degli Eldar erano giunti nel luogo ove riposavano le stanche membra. Nello stesso istante, un Uomo ed un Elfo, entrambi suntuosamente vestiti, comparvero dall’estremità opposta del sentiero; giunti che furono innanzi a Celebrian, il primo si inchinò profondamente, mentre l’Elfo, avvicinatosi, le prese dolcemente la mano; infine egli parlò e la sua voce riecheggiò limpida e profonda tra i maestosi alberi che occultavano quell’ameno luogo alla vista altrui.
«Grandi eventi sono accaduti in questi mesi ed altri ancora potrebbero verificarsi, ché la minaccia di Sauron non è stata ancora respinta ed egli, come una serpe nel suo oscuro anfratto, attende, paziente, che la vittima gli si mostri incauta». «Così è – replicò l’alto Uomo che era con lui – ché i crudeli Spettri dell’Anello hanno invaso le terre che un tempo furono del mio popolo ed esso è dovuto fuggire a sud e ad ovest, abbandonando i ricchi pascoli del Rhovanion alla mercé degli Orchi e degli Orientali asserviti a Sauron».
«Avevo udito, Signore degli Eothraim, narrare delle devastazioni che i Comandanti dell’Oscuro Signore hanno diffuso, simili ad un’empia pestilenza, nelle contrade orientali della Terra di Mezzo; a stento riuscimmo a sbarrare l’entrata dei Cancelli di Khazad-Dum, allorché il Nemico giunse alle porte della nostra dimora»; tali furono le parole che Groin, figlio di Bòr, aveva prounziato, sicché così gli rispose l’Elfo: «Invero non vi è stato regno o dimora dei figli di Iluvatar che non sia stato scosso, di recente, dal flagello delle armate di Mordor, ché l’Oscuro Signore di quella remota contrada ambisce impossessarsi degli antichi cimeli dei popoli liberi onde poterli pervertire a suo piacimento».
Sagge sono le tue parole, mio signore – interloquì allora il nano più anziano – eppure, mai la speme è scomparsa dal Mondo, ché vi sono, perfino in questa ora sì buia, Elfi, Uomini e Nani che ancora osano contrastare la minaccia delle schiere del Maia Caduto, gli uni conducendo alla vittoria armate gloriose, gli altri smascherando i subdoli inganni che costui perpetua a danno dei suoi nemici; non è fra noi, infatti, Erfea, colui che chiamano il Morluin, che molta gloria acquisì nelle sue lotte contro i corrotti Uomini di Numenor e gli eserciti del servo di Morgoth?»
L’Uomo che era accanto a Celebrian fece allora scivolare la cappa stinta ed i suoi compagni ammirarono il volto del figlio di Gilnar, reso saggio dai numerosi anni trascorsi nell’esilio; sorrise, infine parlò ed essi gli prestarono ascolto: «Mio buon Bòr, molti anni sono trascorsi dacché avvennero gli eventi che hai testé richiamato alla memoria di tutti; quali racconti vuoi che narri innanzi a voi, dunque?»
«Figlio di Gilnar, solo ieri udimmo la tua profonda voce narrare ai nostri sorpresi orecchi le vicende di coloro che si impadronirono degli Anelli del Potere e furono corrotti dalla malizia del loro artefice. Suvvia, raccontaci quanto accadde allorché Numenor non era ancora caduta e Tar-Miriel regnava su di una contrada dilaniata da una feroce guerra civile».

Fine I parte (continua)