500 followers! Thank you!

I reached 510 followers in the week. I can’t believe it, it’s a great result! I thank you for taking the time to read my articles. I dedicate a triptych to you that represents the three main characters of my stories: Erfea, Miriel and Elwen.

Ho raggiunto in settimana 510 followers. Non riesco a crederci, è un risultato ottimo! Vi ringrazio per il tempo che mi dedicate leggendo i miei articoli. Vi dedico un trittico che rappresenta i tre principali personaggi dei miei racconti: Erfea, Miriel ed Elwen.

L’introduzione al Ciclo del Marinaio

Care lettrici, cari lettori,
l’altro giorno rileggevo il «Ciclo del Marinaio» e mi sono così reso conto di non aver mai pubblicato l’introduzione al volume, che spiega una serie di caratteristiche di Erfea (e dunque, per esteso, anche dei miei racconti). Partiamo dai dati «storici», vale a dire da quelli che lo stesso Tolkien ha concepito e possono dunque considerarsi canonici: al principio della Quarta Era, dopo la sconfitta di Sauron, Aragorn, divenuto nuovo re di Gondor e Arnor, decise di riappropriarsi di tutte quelle fortezze che, per un motivo o per un altro, erano state sottratte al controllo di Gondor negli ultimi tempi. Nella torre di Isengard – dove aveva vissuto fino a poco tempo prima il malvagio stregone Saruman – Aragorn, aiutato da Gimli, fece una scoperta sconcertante: in una nicchia segreta – che solo l’abilità del nano poté individuare – erano nascosti alcuni cimeli della sua famiglia, fra i quali la catena che un tempo teneva l’Unico Anello al collo del suo progenitore Isildur (quello che tagliò il dito con l’anello a Sauron, avete presente la scena?)
Fin qui i dati «storici», contenuti nell’edizione italiana dei «Racconti Incompiuti» (che vi consiglio caldamente di leggere). E se Aragorn avesse trovato qualcos’altro, oltre a quello che Tolkien aveva sottolineato? Leggete per saperne di più…

Aspetto i vostri commenti, al prossimo articolo!

«Orgilion (1), 19 Narbeleth (2), settimo anno della Quarta Era

Sire Elessar (3),
il manoscritto che avete recuperato dalla grande torre di Orthanc(4) è pressoché intatto, nonostante siano trascorsi più di tremila anni dalla sua compilazione: ignoro se tale longevità della pergamena sia dovuta a una sua qualche intrinseca proprietà a me ignota, oppure sia da attribuire alla cura con la quale Saruman il Bianco l’aveva preservata dal lento, ma incessante, logorio del tempo.
Lunga è stata la sua decifrazione, ché essa è scritta in un linguaggio poco noto agli uomini di Gondor oggidì, sebbene ciò costituisca indubbiamente una grave pecca, ché un tempo erano in molti coloro che conoscevano il Quenya nella sua antica forma; ora, tuttavia, dal momento che l’antica stirpe è svanita ed essa ha abbandonato i lidi di Endórë, più i mortali – fossero anche essi i discendenti di Númenórë svanita nelle acque – lo adoperano, sicché è stata mia premura tradurla nell’Ovestron, ché essa fosse comprensibile a quanti avessero in animo di leggere tali scritti.

In questi scritti è narrata la vicenda di un principe númenóreano, Erfëa, figlio di Gilnar, dacché egli era giovane sino alla sua dipartita da Endórë; nessuna menzione di tale Dúnadan è possibile riscontrare nei Rotoli del Re, e invero, curiosa mi parve in principio tale anomalia, ché egli era un lontano discendente di Atanalcar, quarto figlio di Elros Tar-Minyatur allorché il mondo era giovane; pure, poiché ora molto ho appreso del suo fato, ritengo di aver trovato soddisfacente spiegazione per tale mancanza, ché egli era invitto ad Ar-Pharazôn, a causa del sentimento che lo legava alla sua cugina e sposa, Miriel, ed è probabile che costui abbia distrutto con il fuoco ogni altro documento concernente tale Uomo.

Se parrà opportuno alla vostra graziosa maestà e alla sua nobile consorte leggere quanto la mia mano ha solo vergato sulla chiara pergamena e non scritto di suo pugno – ché troppa, invero, sarebbe stata la fatica e io non sono che un umile scrivano – essi troveranno novelle concernenti quanti vissero nella Seconda Era e molti di coloro che ebbero parte agli eventi dei secoli successivi.

In fede,

Heruo di Gondor, scrivano e contabile del Re».

Note
(1) “Lunedì” nella lingua Sindar degli Elfi
(2) “Ottobre” nella lingua Sindar degli Elfi
(3) “Elessar” (gemma di radianza) era uno dei nomi elfici con cui era conosciuto Aragorn.
(4) “Orthanc” nome elfico di Isengard

Suggerimenti di lettura:
Dizionario dei personaggi de «Il Ciclo del Marinaio»
Da Numenor alla Terra di Mezzo: benvenuti, lettori de «Il Ciclo del Marinaio»!
Il Ciclo del Marinaio

Akhorahil, the Storm King, the Fifth Nazgul

Born in the year 1888 of the Second Age, Akhorahil was the first son of Ciryamir, belonging to the same lineage as the king of Numenor, Tar-Ciryatan; although he was a Man of prodigious strength and a far-sighted mind, Akhorahil was corrupted by his unbridled ambition. In 1904, Ciryamir obtained a license from the ruler to found and administer a royal colony in the south of Middle-earth. The following year, Akhorahil sailed with his family to disembark with his army at the port of Hyarn, in Endor and from there, across the Aronduin River, to the newly founded citadel of Barad-Caramun (Sunset Tower ). There, Ciryamir founded the realm of Ciryatandor, and it extended from the sea to the foothills of the Yellow Mountains.

Young in mind and body, Akhorahil enjoyed his new home, but his spirit longed to strike fear into those around him; such was his ambition that he applied himself with iron will to the study of the dark arts, yet the results obtained in this field did not fully satisfy his reputation for power. It was not many years before his heart began to claim his father’s throne, until in 1918 he promised an elderly Harad priest that he would trade his blue eyes for the two Dominion Gems, the same ones that had allowed his previous one. possessor of becoming the foremost expert of the Dark Arts in the realm of the Haradrim.

Soon, the cruel Numenorean used these artifacts to control his father’s mind and lead him to madness and finally to suicide: in this way, the one who now called himself the Storm King, obtained the paternal throne and married his sister Akhoraphil.

During the twentieth century, Akhorahil conquered vast lands in the south of Middle-earth, arousing the interest of Sauron, who wanted to take possession of this realm: an ambassador was sent to the Storm King, with the secret task of offering the Numenorean the fifth Ring of Power of Men, promising him unlimited knowledge and glorious immortality. Consumed by greed and ambition, Akhorahil tied his soul to that of the Dark Lord, obtaining his Ring in 2002.

For the next two hundred and fifty years, the Storm King was not seen by any of his subjects, while his wife and firstborn left the court, shocked by the metamorphosis that the mad Numenorean had undergone; the Nazgul, however, decreed premature to reveal himself to the world and continued to pay tribute to Numenor, who did not want to arouse suspicion in the king’s court. Finally, when the time was ripe, he proclaimed the independence of Ciryatandor, mocking the attempts of his ruler, Tar-Ancalimon, to bring the subject back to obedience: after a few years, the armies of Numenor annihilated the kingdom of the Storm King; however, he had fled to the last district where his enemies would have sought him, and elected Elenna herself as his new homeland, residing on the island of the Gift until the reign of Tar-Palantir, who proved incorruptible to the action of his servants. Deep in the Harad, the Nazgul had founded an impregnable fortress and went there when he fled from Numenor; to his great disappointment, however, Erfea Morluin went into the dark depths of her home, discovering the true identities of the Ulairi there. Great anger broke into his heart the Storm King when his citadel was violated and furious he swore to slaughter with his own hands the one who had dared to do such an act.

Vedi anche la versione italiana:

Akhorahil, il Re Tempesta, il Quinto

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Storia di Miriel – Un’amicizia pericolosa

Care lettrici, cari lettori,
quest’oggi voglio presentarvi l’ultimo brano scritto – per il momento – de «Il racconto della Rosa e del Ragno» che vi ha accompagnato in queste ultime settimane. L’articolo precedente – che potrete leggere (o rileggere) qui: Storia di Miriel – Tessitore di tenebra… – si è concluso con la decisione di Pharazon di recarsi a fare visita a sua cugina Miriel per capire quali sono i motivi che l’avevano spinta a incontrare Erfea. Spero di poterlo riprendere quanto prima, ma non temete! Nei prossimi articoli avrò modo di riprendere altre storie, altri racconti che spero potranno incontrare la vostra approvazione.

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

«L’ora del vespro si approssima – così le parlò [Pharazon], spuntando ratto da una robusta ginestra in fiore – e tuttavia vedo ancora, Lossë [Rosa, in elfico], che ti attardi ove nessuna compagnia può disturbare i tuoi pensieri. Profonda è divenuta dunque l’influenza del figlio di Gilnar, se egli ha posto nel tuo cuore la medesima solitudine che alloggia nel suo animo». Rise con eleganza, indi, con gesto rapido della mano sinistra, porse un fiore di orchidea alla cugina, inchinandosi leggermente: bianca era la superficie del fiore, eppure screziata di un colore azzurro notte, ché era – come ebbe a concludere il giovane – un omaggio agli occhi della principessa. Miriel sbatté leggermente le palpebre e sussultò portandosi d’istinto una mano al petto, come se si accingesse a parare un colpo invisibile; sebbene fosse ormai avvezza ai modi teatrali del cugino, non poté impedirsi, tuttavia, di esitare allorché la sua voce risuonò bassa alle sue spalle. «Sei solito recarti a farmi visita negli orari più imprevisti, caro cugino – tali furono le sue parole di benvenuto, seguite da un grazioso inchino che le scompigliò leggermente la capigliatura, resa leggermente rossastra dall’ultima luce morente del sole primaverile – sempre che qualcosa abbia attirato la tua attenzione tanto da farti rischiare una dura reprimenda nel caso i tuoi movimenti siano stati scorsi da occhi vigili».

«Sei abile a occultare i tuoi pensieri, figlia di Palantir – le rispose lui beffardo – dì piuttosto che la mia presenza ti risulta sgradita, ché le tue parole avrebbero dovuto alludere ai miei capricci anziché alla mia scarsa considerazione degli orari cari ai gentiluomini e alla dame di questa isola». Avanzò di qualche passo, avendo cura di non rivolgerle mai lo sguardo, limitandosi a osservare i boccioli del roseto che permeavano della loro fragranza il quieto meriggio. Arricciò delicatamente il labbro inferiore, quasi che un oscuro pensiero lo avesse turbato, indi riprese a parlarle: «I nostri padri erano soliti sostenere che nel nome di un uomo risiede la sua sorte; ebbene, non pare anche a te curioso come il figlio di Gilnar non aneli per nulla al mare e trascorra il suo tempo, invece, a domare le bestie selvatiche che suo padre tiene in gran conto, non essendo forse uomo avvezzo a quella ricchezza che il suo lignaggio avrebbe dovuto suggerirgli di considerare in modo benevolo?»

«Il tempo di Earien gli appartiene, e non vedo perché dovresti corrucciarti in merito a una scelta che non comprendi – le rispose lei, ancora divertita per la sua malizia, nonostante muovesse leggermente la mano destra per nascondere una ciocca ribelle che le cadeva sulla chiara fronte – Quanto a suo padre, perché dovrebbe rifiutare i doni che i Popoli della Terra di Mezzo gli inviano? Sarebbe oltremodo scortese – e qui lo sguardo cadde malizioso sul cugino – ché offenderebbe il lignaggio al quale egli appartiene».

Pharazon, preso congedo dalla bionda fanciulla, le rivolse un inchino beffardo e si allontanò percorrendo sentieri a lui solo noti; rimasta finalmente sola, Miriel poté ancora udire, in lontananza, riecheggiare una sciocca poesiola, le cui parole suonavano irriverenti nei suoi confronti.

«Rosa diletta,
donde vai sola, soletta?
Un inganno è la beltà
Corromperà la tua volontà»


Suggerimenti di lettura:

Storia di Miriel – Tessitore di tenebra…
Storia di Miriel – Questioni di famiglia
Ritratti – Miriel ed Erfea…e un nuovo racconto

Storia di Miriel – Tessitore di tenebra…

Care lettrici, cari lettori,
continuo in questo brano il racconto della giovinezza di Miriel, l’erede al trono di Numenor. Nel precedente articolo (lo potrete leggere o rileggere qui: Storia di Miriel – Questioni di famiglia) avete assistito a un furente litigio intercorso fra i suoi genitori, in merito alla decisione presa da Palantir, padre della principessa, di invitarla a frequentare Erfea, il giovane rampollo di una famiglia principesca di secondo piano della nobilità numenoreana; una scelta che non sembra trovare approvazione e gradimento da parte di sua moglie Silwen.
In questo brano, invece, approfondirete la conoscenza di un personaggio estremamente sgradevole e ambiguo dei miei racconti, Pharazon, il cugino di primo grado di Miriel e segretamente innamorato della principessa. Si badi bene: quello che tratteggerò nel brano che segue non è ancora la figura di Ar-Pharazon il Dorato, che un giorno ascenderà al trono di Numenor e arriverà ad accarezzare l’idea di conquistare il mondo intero (mega spoiler, lo so, ma era inevitabile e spero che i miei lettori potranno perdonarmi – perlomeno quelli che non hanno letto il Silmarillion di Tolkien) e che troverete raffigurato nell’illustrazione in copertina, opera di Anna Francesca Schiraldi. Volete avere un’idea di questo personaggio ancora acerbo? Allora pensate a Lex Luthor nel film “Batman v Superman: Dawn of Justice». Per chi non conoscesse il film…ebbene, leggete il brano e fatemi sapere a quale personaggio Pharazon vi sembra ispirato!

Buona lettura, come sempre aspetto i vostri commenti!

«All’epoca in cui si svolsero questi fatti, Gimilkhad, fratello minore di Palantir, non era stato ancora esiliato nella Terra di Mezzo a causa dei crimini che avrebbe commesso negli anni seguenti e dimorava presso il re suo padre. Egli crebbe un unico figlio, Pharazon, il quale aveva pressappoco la stessa età di Miriel; sovente, senza essere visto da alcun essere vivente, egli scavalcava l’alto muro che separava la dimora paterna da quella di suo zio e soleva osservare Miriel mentre costei si aggirava nel roseto che sua madre coltivava amorevolmente nella serra interna: per questa ragione egli prese a rivolgersi a sua cugina con il nome di «Lossë», che nella lingua elfica significava «rosa», perché ai suoi occhi ella appariva il più soave fiore sul quale avesse posto il suo pensoso sguardo. L’indole di Pharazon non si era ancora volta al male, né il giovane sembrava ambire a quel ruolo regale che il Fato, inesorabilmente, pareva negargli senza appello; pure la sua volontà non era mossa da pietà e la lunga solitudine alla quale l’aveva condotto l’educazione paterna, ostile a quanti non fossero dichiaratamente suoi camerati, aveva reso il suo animo volubile e lesto a cogliere in fallo il suo interlocutore, qualora questi non si fosse mostrato sufficientemente abile da destreggiarsi nei lacci verbali che egli lanciava su quanti, incautamente, avessero osato discorrere con lui.

Miriel non tollerava la compagnia del figlio di Gimilkhad, valutando i suoi approcci infidi nonostante le belle apparenze di costui; a causa del suo comportamento ella era solito chiamarlo Ungwë liante, ossia «tessitore di tenebra» nella favella dei Noldor; tuttavia Pharazon non pareva crucciarsi per questo nome e ignorava volutamente gli intenti polemici con i quali la fanciulla gli si rivolgeva. Nel corso di quella giornata il giovane principe, incuriosito dall’abito semplice che aveva indossato Miriel quella mattina, si era prodigato affinché le sue mosse non rimanessero ignote; non potendosi allontanare dalla sua avita dimora – ché i suoi precettori erano inflessibili e l’avrebbero punito severamente se avesse mancato a una sola lezione – egli era ricorso ai tordi, dei quali aveva appreso il linguaggio su indicazione di un camerata del padre: questi avevano dunque, su suo ordine, spiato l’incontro avvenuto fra la bionda fanciulla e il primogenito degli Hyarrostar e non avevano mancato di riferirgli ogni parola che i due avevano pronunciato. Oscuri presagi presero a muoversi nell’animo di Pharazon, ché egli, pur non avendo mai avuto occasione di conoscere il figlio di Gilnar, pure era colmo di pregiudizi nei confronti del suo casato, memore della parte che Gilnar svolgeva all’interno del Partito dei fedeli; a differenza degli altri principi delle casate reali di Numenor, infatti, agli eredi del sovrano non era permesso di frequentare le scuole regie, nelle quali codesti fanciulli si impratichivano nelle nobili arti e nelle perigliose scienze dei Secondogeniti. Non v’era alcun motivo di meraviglia, dunque, se lo stesso Erfea non aveva riconosciuto la sua futura regina, non condividendo i due i medesimi precettori: a lungo Pharazon soppesò quanto aveva appreso nel corso delle ore pomeridiane dalle sue spie, infine si convinse che quell’incontro del quale i tordi gli avevano riferito non fosse affatto causale: «Sicché la mia bella cugina ha conosciuto l’erede degli Hyarrostar – tali furono le riflessioni che espresse ad alta voce nel silenzio della sua camera – nonostante la severità dei suoi maestri non sia inferiore a quella dei miei precettori. Non v’è dubbio alcuno che questo non possa definirsi un incontro causale: altri voleri hanno disposto che questo avvenisse». Sogghignò, mentre mormorava i suoi pensieri nella penombra del meriggio, eppure non si recò immantinente da sua cugina; al contrario, evitò di incontrarla nei giorni seguenti, avendo cura, tuttavia, di metterle alla calcagna le sue piccole spie alate. Infine, quando fu certo dei suoi sospetti e l’occasione gli parve propizia, ammantato del suo mantello color porpora – il simbolo degli eredi in minore età allo scettro di Numenor – calzò le sue morbide scarpe in velluto nero e si recò, non visto da alcun servitore, nel roseto di Miriel, ove era certo di trovarla mentre coglieva le rose più profumate della stagione».


Suggerimenti di lettura:

Storia di Miriel – Questioni di famiglia

Ritratti – Miriel ed Erfea…e un nuovo racconto

Miriel

Post-scriptum su Miriel

Storia di Miriel – Questioni di famiglia

Care lettrici, cari lettori,
sia pure a rilento a causa dei tanti impegni, continuo a scrivere il «Racconto della Rosa e del Ragno». In questo brano avrete modo di approfondire la conoscenza della famiglia di Miriel, composta da suo padre Palantir e da sua madre Silwin. Ricordiamo che, all’epoca in cui questo racconto è ambientato, Miriel è ancora la principessa ereditaria del regno di Numenor, figlia di un principe reale e nipote del sovrano dell’isola. Troverai le altre parte del racconto in fondo a questo articolo.

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

«Costei [Silwin, moglie di Palantir e madre di Miriel, NdA], svelato il suo sembiante, si approssimò all’uomo che sedeva, con la mente e il cuore perso in lontani ricordi. «I Valar ti sorridono mio signore – l’apostrofò con durezza quando fu certa che la figlia si fosse allontanata a sufficienza da non potere udire le sue parole – ma non è forse questo il medesimo sentimento che ora puoi leggere negli occhi di nostra figlia». Egli sospirò, infine, rivoltole cenno affinché si accomodasse nel medesimo scranno che sino a pochi istanti prima era stato occupato dalla bionda fanciulla, così le rispose: «Non vi è ragione alcuna per cui tu debba essere in collera con me. Dopotutto, entrambi avevamo all’unisono concordato la necessità di questa prova». La donna, la cui bionda capigliatura splendeva nelle prime tenebre della sera, mosse rapidamente la mano, quasi a voler scacciare un pensiero molesto: «Non fu alla prova che opposi il mio diniego – e qui parve che il suo sguardo lanciasse strali velenosi contro il marito – ma a colui che tu designasti come destinatario del tuo ambizioso piano». S’interruppe per un istante, indi riprese a parlare abbassando la voce, quasi che temesse esservi all’ascolto nell’ora del Vespro spie invisibili: «Perché il figlio di Gilnar? Non è forse egli crudele come possono esserlo i giovani principi di Numenor? A lungo blandisti le mie paure, argomentando con tanta dovizia di particolari intorno alla presunta bontà d’animo di questo fanciulletto; io, tuttavia, null’altro vidi nelle tue parole che fantasmi di timori che mai riuscimmo a sopire, sin da quando nostra figlia venne al mondo. Dicesti che egli sarebbe stato un farmaco di indicibile potenza per arrestare i capricci e le voluttà di una fanciulla destinata un giorno a succederti sul trono di Numenor, secondo le leggi che i tuoi padri decretarono. Da par mio, tuttavia, null’altro scorgo che arroganza e boria; laddove i suoi compagni hanno preso a chiamarlo Erfea, egli, pur di non piegarsi a questa infamante accusa, si è arrogato con forza l’appellativo con il quale è stato disprezzato e non ha esitato ad usarlo come nome comune».

La donna s’interruppe per un istante, indecisa se aspettare una sua replica, oppure proseguire la sua accorata arringa; infine riprese e la sua voce si ridusse a un sussurro impercettibile: «Perché, Palantir, figlio di Ar-Gimilzor, non scegliesti Elendil di Andunie? O Arthol di Mittalmar? Perché questi principi, figli di illustri famiglie e perciò ben più propensi degli Hyarrostar a gestire l’autorità che dal potere deriva, non hanno suscitato il medesimo interesse che l’erede della più infima schiatta di Numenor ha acceso nel tuo sguardo?»
«Non nominare mio padre in questa sala! – gli occhi di Palantir baluginarono mentre egli stringeva i pugni per soffocare la rabbia che lo agitava al suo interno – non osare mai più pronunciare un nome pregno di disgrazia!» Attese qualche istante prima che la rabbia potesse svanire dalla sua mente, infine, rivolse queste accorate parole alla moglie che incupita attendeva la sua risposta. «Non credere che io non abbia soppesato altre alternative; eppure cosa altro avremmo ottenuto da Miriel se le avessimo imposto una simile compagnia? Elendil e Arthol sono entrambi Uomini valorosi: pure, a causa delle medesime osservazioni che tu stessa hai sollevato, converrai con me che simili Uomini, resi in fretta maturi dagli ambiti carichi che i loro casati preservano, cos’altro avrebbero potuto offrire a nostra figlia che non fosse una promessa di unione futura? Ella è troppo giovane per sposarsi, perfino per il metro degli Uomini mediani – proseguì, alzandosi e dirigendosi verso la finestra che dava a Occidente – né sarò io a negarle il piacere della sua primavera, costringendole a vivere la sua maturità prima che giunga l’ora. No, Silwen – concluse l’uomo, girandosi lentamente su sé stesso per rivolgere nuovamente il suo sguardo alla donna che l’aveva raggiunto silenziosamente – il figlio di Gilnar è ancora acerbo e, tuttavia, non lo è anche Miriel? Ché possa essere per lei valido e onesto amico, senza che il suo giudizio sia scosso dal peso della corona regale che un giorno ancora lontano la principessa dovrà portare sul suo biondo capo». La consorte del principe regnante chinò il capo, rassegnata: «Sia dunque come tu desideri, principe. Possa l’orgoglio non tradire i tuoi passi» e così dicendo abbandonò la sala; non rivelò, tuttavia, quello che il suo stesso cuore aveva tema di confessare e cioè che la profezia di Manea potesse raggiungere anche Erfea, che pure era lontano congiunto dell’erede al trono di Numenor».

Suggerimenti di lettura:

Ritratti – Miriel ed Erfea…e un nuovo racconto

La più bella delle Numenoreane. Miriel

La saggezza di Nimrilien – II parte (ed ultima)

Care lettrici, cari lettori,
come promesso la scorsa settimana, vi presento il brano che conclude il racconto de «Il Marinaio e le Palantiri», nel quale il nostro paladino, Erfea, avrà modo di superare l’atavica paura della Morte, che le parole di Sauron avevano rafforzato nel suo spirito. Vi rimando in basso ai link utili per comprendere meglio questo brano.

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

«Sorrise Nimrilien, e il suo riso era acqua nella gola riarsa del pellegrino affranto: “Ti ho detto che acquisirai la saggezza, e tale rimane il mio giudizio. Non puoi sperare di annientare il Signore di Mordor, non ancora – aggiunse rivolgendosi più a sé stessa che non al figlio. Puoi tuttavia impedire al tuo spirito di soffrire inutilmente, obliando le tue paure, non soffocandole, ma affrontandole”.

A tali parole Erfea si levò in piedi, e nei suoi occhi baluginava la luce dell’ira: “Io ho fallito, madre! Sauron ha annullato la mia volontà. Forse, posso udire il canto lamentoso dei gabbiani giungere dall’oceano tumultuoso o scorgere innanzi a me le profondità dell’animo umano, eppure esse ora paiono inghiottirmi e soffocarmi nella loro tumultuosa esistenza. I miei sensi indeboliti e mutilati sembrano essere sensibili non già alla luce, ma solo al terrore e alla paura”. Lentamente Erfea tornò a sedere, scuro in volto: “Non vi è destino che io non possa scorgere, ma a quale scopo? Nei miei pensieri danza macabra la morte, e nelle sue mani rovinose, io scorgo le vite di coloro che devono ancora essere, disfarsi e consumarsi! Credevo – concluse tremando – credevo che la morte fosse un dono, eppure mi accorgo solo adesso della sua azione letale. I miei giorni trascorrono lenti, e avverto il veleno scorrere lentamente nelle mie vene, impotente nell’agire. Non vi è altro destino che la morte. A che fin compiere valorose azioni? Anch’esse sono destinate a fallire ancor prima di essere concepite”.

Grave divenne allora il volto di Nimrilien; tuttavia ella lo prese per mano e gli sussurrò lentamente: “Mira la morte! Sappi Erfea, figlio di Gilnar, che niente di quanto tu affermi è figlio della tua volontà. Sauron di Mordor ha avvelenato il tuo essere e ingannato i tuoi sensi. Osserva e sii libero!” Lentamente Erfea spostò il proprio sguardo fino ad incontrare quello della defunta signora di Numenor. Meraviglia! La nebbia che avvolgeva il suo cuore, si dissolse ed egli poté nuovamente godere dei dolci profumi della primavera, dilettarsi ascoltando il tripudio dei delfini del mare, rattristarsi per la morte della sua sovrana: e allora pianse lacrime purificatrici, che lavarono via il dolore che ancora sconquassava il suo cuore martiorato. A lungo pianse, infine levato il suo sguardo verso la madre, egli capì e il suo cuore fu pieno di speranza: “Comprendo – mormorò stupito – quanto sia stata saggia colei la cui anima riposa ora al di là del Mondo; se la mia vista non mi ha ingannato, innanzi a me ho veduto il suo spirito, librarsi libero, privo dei dolori che affliggono i mortali. Tristezza non vi era nei suoi occhi, né il dolore albergava nel suo cuore; invero, una grande pace pareva avvolgerla e condurla là ove le menti umane non possono dirigersi. Ho appreso dunque la saggezza degli uomini”.

Nimrilien l’osservò a sua volta, infine, gli prese la mano e la tenne vicino alla sua: “Non chiamare vana la morte! Ella è stata qui, ché la nostra sovrana ha infine compreso il significato profondo del Dono. Colei che ora rimpiangiamo, ha infine stabilito che era giunta l’ora di restituire quanto gli dei le avevano concesso; tale è stata la sua scelta, per cui sofferenza alcuna ha provato ed essa ha lenito anche il tuo dolore. La maledizione di Sauron è spezzata.”

“Sì – pronunciò lentamente Erfea, assaporando la parola, mentre la pronunciava – ho appreso la saggezza. Sono lieto di aver dato l’ultimo saluto alla sovrana di Numenor, ché, se non l’avessi fatto, per me sarebbe stato vano ogni altro aiuto.”

“Ben dici, figlio mio, quando affermi questo; sappi però che se la tua volontà non fosse stata forte a tal punto da parlare con Sauron, egli ti avrebbe consumato, avvinghiandoti alla sua volontà. Saresti divenuto uno dei Numenoreani Neri, uomini perfidi e arroganti, bramosi oltremodo di assaporare il dolce veleno del potere. Non chiamare vano l’aver guardato nel Palantir, ché se non l’avessi fatto, saresti senza difesa alcuna da Sauron.

Va’ ora figlio mio – concluse Nimrilien – e ricorda quanto hai appreso oggi.”

Detto questo, la signora degli Hyarrostar si levò dallo scranno e scomparve tra le fronde degli alberi, inoltrandosi lungo il sentiero che dalla reggia conduceva al mare; Erfea la seguì con lo sguardo, infine sospirò e si diresse verso la sua dimora, ove impaziente l’attendeva il padre Gilnar.

Tale fu la conclusione della vicenda e non trascorse molto tempo che Erfea divenne noto ai Numenoreani per aver osato, appena compiuta la maggior età, discorrere con il Signore di Mordor, sfidando la sua malvagia volontà. Taluni, nelle epoche successive, quando Numenor era stata ormai sommersa dalle acque del grande oceano, osservarono che la profezia rivelata da Erfea a Sauron, si era davvero realizzata, dal momento che il capitano dei Dunedain sopravvisse alla caduta del discepolo di Morgoth, unico fra gli uomini di quell’era, eccetto Elendil di Andunie, ad aver parlato con l’Oscuro Signore senza essere stato tuttavia privato dell’intelletto e della capacità di giudizio».

Suggerimenti di lettura:

La saggezza di Nimrilien – I parte

Sauron, il filosofo

 

 

The Sailor’s Cycle

The Sailor’s cycle, inspired by the events narrated in the Unfinished Tales and in the Silmarillion by J.R.R. Tolkien, delves into the history of the great island of Numenor, from its rise to glory until its fall; witness and at the same time architect of the events of his time is Prince Erfea, of whom the book presents the heroic and often painful events.

From birth until death, during her long existence, Erfea will have the opportunity to interact with characters already known to the public who loves the Tolkien epic: Sauron, the Dark Lord of Mordor; his cruel servants, the Ringwraiths and their evil captain, the Witch King; the wise elves, among which Elrond and Galadriel stand out; the valiant dwarves of Moria and others.

Homage to the voluminous work of the English writer, The Sailor’s Cycle is also a reinterpretation of the chivalrous and classic epos, deepening the psychology of the protagonists and not failing to underline their contradictions and deep concerns, using an ancient language to deal with the universal themes of our civilization and of our age.

Some useful advice for reading: if you are interested in discovering the genesis of my novel, “The Sailor’s Cycle”, I suggest you read these two articles: In principio era…Othello, ovvero come nacque il Ciclo del Marinaio (In the beginning it was … Othello, or how the Sailor’s Cycle was born) and …e arrivò il Marinaio! Corto Maltese, Aldarion ed Erfea (… and the Sailor arrived! Corto Maltese, Aldarion and Erfea).
If, on the other hand, you prefer to read the various stories straight away, you can browse the categories that refer to the various stories, starting with the topmost article in the chronology and ending with the most recent one. To help you in reading these tales and to facilitate the understanding of notable names and events, I suggest you read these articles: Cronologia della vita di Erfea e dei racconti del Ciclo del Marinaio (Chronology of the life of Erfea and the tales of the Sailor’s Cycle) and Dizionario dei personaggi de «Il Ciclo del Marinaio» (Dictionary of the characters of «Sailor’s Cycle»).
Finally, if you want to appreciate other images like the one highlighted in this article, I invite you to take a look at the “Illustrations” category.
To learn more about aspects related to Tolkien’s thought and works, you can read the articles in the category «Characters, places and stories of Tolkien’s works»; if you enjoyed the film versions of “The Hobbit” and “Lord of the Rings”, I suggest you read the articles included in the “Seventh Art” section.
I remain at your disposal for any information and I wish you good reading!

Image «Varda the Star-Queen» by Janka Lateckova

La saggezza di Nimrilien – I parte

Care lettrici, cari lettori,
un argomento che è stato toccato marginalmente (almeno fino a questo momento) è rappresentato dalla famiglia di Erfea. Come spiegavo qualche tempo fa a un mio lettore, non abbiamo certezze neppure in merito alla presenza di altri fratelli o sorelle: quello che è certo, infatti, è solamente l’assenza di riferimenti alla loro esistenza. D’altra parte, a complicare la questione, c’è da riconoscere che Erfea in nessuna occasione sostiene di essere un figlio unico. Confesso, come Autore, di non aver le idee chiare su questo aspetto, ragion per cui non sono in grado di offrire ulteriori elementi a favore dell’una o dell’altra tesi. Tornando alla famiglia del nostro paladino, i miei lettori di più antica data ricorderanno almeno i suoi genitori: Gilnar, il principe dello Hyarrostar, e sua moglie Nimrilien la Bianca, parente dei più noti Elendil & Co.
Quanto ai rapporti fra Erfea e i suoi genitori, tuttavia, ho rivelato ancora molto poco: chi ha letto «Il Racconto del Marinaio e del Messere di Endore» sa che suo padre avrebbe voluto fare di suo figlio un Ammiraglio e che questo progetto sia fallito, a causa della predilezione accordata da Erfea all’equitazione. Per il resto, invece, le notizie sono molto scarne: ne «Il Racconto del Marinaio e dell’Infame Giuramento» avrete notato come entrambi i genitori abbiano combattuto a fianco di suo figlio per difendere Miriel dal Colpo di Stato che avrebbe posto fine al suo regno; nello stesso racconto si accenna alla loro morte, che sarebbe giunta poco dopo l’ascesa al trono di Ar-Pharazon il Dorato, cugino di Miriel.
Prima o poi verranno fuori altri dettagli sulla famiglia dei principi dello Hyarrostar…per il momento vi lascio con questo brano che segue a Sauron, il filosofo nel quale avrete modo di riflettere sull’atavica paura della morte che non risparmiò neppure il nostro valoroso paladino e sul ruolo che Nimrilien ebbe nell’aiutarlo a superare questo terrore.

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

L’immagine in copertina è di isalleberecs e si intitola Gilmith. È così che immagino una giovane Nimrilien, madre di Erfea.

«La sfera del Palantir avvampò nuovamente, come se tutte le fiamme dell’Orodruin[1] avessero bruciato nella grande sala; infine l’ira di Sauron decrebbe e le stelle splendettero nuovamente luminose nei grigi occhi di Erfea, figlio di Gilnar. Ithil, la luna, era sorta, e la notte si apprestava ormai a terminare; il giovane Dunadan era esausto e silenzioso dopo la severa prova cui si era sottoposto. A lungo Gilnar attese, finché egli udì Erfea gemere ed accasciarsi al suolo esamine; lesta fu allora la sua reazione ed egli si chinò accanto al figlio. Il freddo abbraccio della morte, tuttavia, non macchiava del suo cinereo marchio il viso di Erfea, né le sue membra erano rigide; solo, dormiva, ed era il suo un sonno benedetto da Elbereth[2], che cancellava in tal modo la ferita e lo sgomento che le parole di Sauron avevano provocato.

A lungo giacque nel proprio letto il giovane capitano, eppure il suo sonno era regolare e la luce dei suoi occhi non era annebbiata dalla follia; infine all’approssimarsi del giorno di Mezza estate, Erfea si ridestò dal suo lungo sonno. Gilnar attese che suo figlio fosse desto del tutto, infine, lentamente, quasi volesse sondare le profondità delle tenebre che salivano da ponente, prese la parola: “Tutto quanto hai appreso, accadrà fin troppo presto credo; sappi però che le Palantiri non mostrano quali sono le vie che le nostre menti e i nostri corpi devono percorrere, per scongiurare il pericolo o propiziarsi i benefici degli dei. Tu stesso dovrai comprendere quale sarà il sentiero migliore, affinché il tuo destino possa essere compiuto; questa è la saggezza dei Numenoreani e degli uomini liberi della Terra di Mezzo, saper esplorare i meandri della propria anima e trarne da essa le risposte. Ricorda quanto ti dico, figlio, ché i dubbi e le certezze sono in te: è compito di ciascuno di noi saperle discernere. Come il contadino separa il biondo frumento dalla sterpaglia avvizzita, così tu devi estirpare il male che è in te: non siamo divinità e la nostra imperfezione è la condizione primaria dell’essere umano.”

Erfea annuì lentamente, riflettendo su quanto il padre aveva detto; infine alzò lo sguardo e rispose adoperando tali parole: “Non credere che io abbia obliato, ché la dolce quiete del sonno ha lavato via solo le ombre dal mio cuore, eppure le mie paure permangono. Tale sarà il mio destino, credo, che dovrò errare a lungo alla ricerca di quanto avrò smarrito: lunghe e dolorose saranno le mie peregrinazioni, e non sempre la mia fatica sarà ricompensata con quanto desidero. Raramente capita che i fini delle azioni degli uomini siano compresi da quanti ne ambiscono il significato. Sono grato agli dei – proseguì – per aver avuto la determinazione e la volontà necessarie per affrontare l’Oscuro Signore; il mio cuore teme però per il destino di questa terra.”

Parole non pronunciò Gilnar, ed i due uomini evitarono di cercare l’uno lo sguardo dell’altro; il signore della casata degli Hyarrostar, era conscio di quali pensieri occulti si celassero nelle ombre vespertine, eppure, nonostante l’aria grave e silenziosa della stanza, il suo cuore non poté fare a meno di gioire, ché comprendeva il valore dell’impresa compiuta dal figlio. Erfea, tuttavia, non rivelò mai a nessun altro uomo quanto avesse scorto nelle profondità del Palantir, ed a lungo il suo cuore rimase turbato.

Lunghi giorni trascorsero ed egli di rado si dimostrava loquace, immerso nelle silenziose angosce che le ferite del suo animo gli procuravano; infine, desideroso di fuggire la malinconia e la tristezza che l’affliggevano, si recò dalla madre, Nimrilien di Andunie, signora degli Hyarrostar, nota in tutta Numenor per la sua conoscenza delle antiche arti della guarigione.

Affranto e teso parve Erfea a Nimrilien, quando questi gli fu innanzi; eppure parole non pronunciò, ma fattogli cenno di seguirlo, lo condusse nella camera da letto della sovrana. La luce del luminoso sole rischiarava le vele delle navi, ormeggiate nel vicino porto, eppure Erfea poté scorgere le ombre annidarsi nella silenziosa dimora della regina di Numenor: una forte paura si levò in lui, l’atavico terrore che scuote gli uomini, quando si trovano innanzi alla propria fine; eppure la donna che aveva innanzi a sè non sembrava turbata, né affranta.

Una benedetta malinconia le incorniciava il viso, mentre le sue labbra levavano silenziose parole al cielo; l’azione del tempo corruttore non aveva deturpato con i suoi miasmi il corpo della sovrana, splendido ricordo della gloria trascorsa.

Nimrilien osservò per qualche istante ancora il volto sorridente della sovrana, poi sospirò: “Non hai fallito, figlio! Lunga e dolorosa sarà la tua guarigione, tuttavia, quando sarà giunta a termine, tu avrai ottenuto la saggezza. Sappi però che un’altra prova dovrai affrontare, ché solo in tal modo non temerai più la morte.” Erfea avvampò per la rabbia: “Non ho superato indenne la prova! Perché mi dici questo? Perché vuoi prolungare la mia agonia? Non di nuove sofferenze il mio cuore necessita, ma di parole di conforto.”

Mestamente Nimrilien si levò, sfiorando con le affusolate dita le bionde chiome di Silwen, consorte di Tar-Palantir: “Non temere le tue angosce, Erfea. Sauron di Mordor ha allungato il suo artiglio grifagno sul tuo spirito, ferendolo: non è vergogna o codardia riconoscere la propria debolezza; neanche il più saggio e lungimirante tra noi può prevedere quali saranno i fini ultimi delle nostre azioni. Non rimpiangere la scelta di sfidare la volontà del Palantir; molti eventi i tuoi sensi mortali hanno percepito, e ad essi prenderai parte, quando sarà giunta l’ora. Tuttavia, sebbene coraggio e valore tu abbia dimostrato nel parlare con Sauron, sappi che non puoi sconfiggere la sua nera essenza, né piegare al tuo valore il Palantir, senza doverne subire le conseguenze: la tua giovane età ti impedisce di agire con maggior saggezza.”

“Ero consapevole dei rischi, madre – la interruppe Erfea, triste in volto – ma nonostante ogni mio sforzo ho fallito.”»


[1] Un vulcano situato nella contrada di Mordor, noto presso le genti di Gondor come Amon Amarth, “monte della sorte”.

[2] Altro nome di Varda

[conclusione nella prossima puntata]