L’assedio di Minas Ithil (parte I). Il ritorno di Sauron

Care lettrici, cari lettori, in questo articolo riprendo la narrazione dei racconti del Ciclo del Marinaio, che negli ultimi mesi sono stati un po’ tralasciati per fare spazio ad altri progetti figurativi. La serie di articoli che mi accingo a scrivere nelle prossime settimane riguarderà i primi eventi bellici che interessarono Gondor e Mordor circa un secolo dopo la Caduta di Numenor.
Non vi nasconderò che questi eventi costituirono per me una vera e propria sfida: dovetti superare il classico «blocco dello scrittore» per andare avanti nella trattazione della vita di Erfea, perché non riuscivo a capire come riprendere i fili della vita di un Uomo distrutto spiritualmente dalla morte di Miriel, la principessa numenoreana della quale era innamorato e dalla scomparsa di Elwen, la mezzelfa di Edhellond, della quale si erano perse le tracce. Impiegai qualche tempo per ritrovare il filo della matassa e decisi così da ripartire da un nuovo ruolo per Erfea, quello di Sovrintendente del nuovo regno di Arnor e Gondor – perché, ricordiamolo, fintantoché fu vivo Elendil, queste regioni erano considerate parte di un unico organismo statale – che ha in qualche modo ritrovato la forza di andare avanti perché preoccupato dal ritorno di Sauron.
Su questo argomento vorrei qui spendere qualche parola: per quanto possa sembrare strano, Numenoreani ed Elfi – salvo qualche rara eccezione, come vedremo – erano convinti che l’unico vantaggio derivato dalla distruzione di Numenore fosse stata quella del suo peggiore nemico, l’Oscuro Signore di Mordor. Gli eventi, tuttavia, presero una piega diversa: il corpo di Sauron era stato effettivamente distrutto durante la Caduta ed egli era ritornato sulle ali di un vento malvagio alla Terra di Mezzo, laddove, grazie ai poteri dell’Unico, aveva recuperato la sua forma fisica, seppure orribile a vedersi. Certo, aveva perso la capacità di assumere un aspetto bello a vedersi (Tolkien utilizza il termine «storpiato», riferendosi alla sua condizione dopo la Caduta), tuttavia, a dispetto delle speranze di tutti, era sopravvissuto. Ed era ansioso di ottenere vendetta sui suoi nemici: i Duneadain sopravvissuti alla Caduta e gli Elfi di Gil-Galad…

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

«Centodieci anni erano trascorsi dalla caduta di Ar-Pharazon e dall’inabissamento di Numenor nei profondi flutti del Belagaer, allorché una nuova minaccia sorse per tutto l’Occidente ed essa mieté numerose vite, implacabile come il crudele vento del Nord che soffia gelido nei mesi di Hrive[1]. Gemiti e lamenti si levarono tosto nelle contrade di Endor, ché molti temevano l’oscura terra che si estendeva oltre gli Ephel Duath, le Montagne dell’Ombra: ivi, nella Terra Oscura, dimorava Sauron l’Aborrito, Signore degli Anelli e corruttore del cuore dei Secondogeniti.
A lungo i Saggi avevano creduto che il suo spirito giacesse ove il sembiante di costui era stato umiliato, allorché egli era stato scagliato nell’Abisso, ed erano soliti predicare che finanche il Maia corrotto avesse trovato la morte in tale sciagura. “No – tali erano le parole che costoro avevano ispirato in Elendil l’Alto, sovrano di Gondor e Arnor – nessuno sarebbe potuto sopravvivere all’ira di Eru Iluvatar ed ora il trono dell’Oscuro Signore giace negli abissi profondi, corroso dalla salsedine e dalla furia di Ulmo”; tuttavia non tutti fra i consiglieri del re erano dello stesso partito, ché ve n’era uno, il cui pensiero discordava da costoro e temeva la nequizia di Sauron. Erfea era il suo nome, ultimo signore di Minas Laure ora sommersa dai flutti, colui che chiamavano il Morluin perché in gioventù aveva abbattuto un drago di tal nome: bello era il suo portamento e nobile ogni suo atto, ché Manwe e Varda vegliavano su di lui ed egli era caro a Tulkas, il Paladino dei Valar; mai Erfea aveva dismesso la sorveglianza degli Ephel Duath, ché temeva nel suo cuore la minaccia di Mordor e sapeva che l’Ombra dei Nazgul non era scomparsa dalla Terra.
Silenti erano i giorni, né voce alcuna giungeva da oriente, tuttavia Erfea vagava inquieto, abbandonando sovente Osgiliath, di cui pure era stato nominato sovrintendente, per esplorare contrade selvagge ed ignote ai più; infine una notte di Narvinye[2], un messaggero a cavallo chiamò a gran voce i Signori di Gondor al cancello orientale di Osgiliath: tosto egli venne ricevuto e nuova inquietudine crebbe nel cuore di Erfea, ché l’ora era tarda e gravida di sventure. Lesto lo straniero si inchinò dinanzi ad Anarion, infine prese la parola: “Graziosissimo signore degli uomini, il mio nome è Aldor Roc-Thalion, signore degli Eotrahim, e giungo da voi latore, mio malgrado, di morte e distruzione, ché l’Ombra si è destata a levante ed ora leva la sua mano corruttrice fino alle terre della mia gente, nel Rhovanion”.
Grave scese il silenzio dopo che furono udite tali parole, ché il sovrano si avvide che nella sala le paure del suo sovrintendente si erano tramutate in realtà; infine egli invitò il suo ospite a disquisire sui motivi che l’avevano spinto così lontano dalla sua dimora, desideroso di apprendere cosa fosse accaduto e il messaggero, sebbene portasse in volto impressi i segni di una recente fatica, non fu parco di parole: “Due settimane sono trascorse dacché l’Ombra è scesa su di noi, disonorando le terre dei nostri padri e inaridendo la nostra letizia! Eravamo nei nostri accampamenti posti sulla riva occidentale del Celudin[3], allorché le vedette di guardia ci riferirono di aver scorto un’immensa moltitudine di carri marciare a poco meno di tre miglia da noi; lesti i nostri Thaeng[4] ordinarono che fosse allestita una spedizione per verificare quali intenzioni avessero tali uomini.
Molte ore trascorremmo nell’attesa gelida che ognuno portava nel suo cuore, invano lenita dai grandi bracieri che splendevano nella notte: al sorgere del sole, un uomo tornò all’accampamento; lesti i miei signori gli andarono incontro, ma la sorpresa che essi provarono in tale frangente non fu inferiore all’orrore che ne incupì i volti. La vita aveva infatti abbandonato il corpo mutilato del cavaliere e la sua testa era stata orrendamente sfigurata con il marchio della Lancia Nera in campo giallo: la rabbia si impadronì dei nostri animi, allorché scorgemmo tale marchio, perché esso era opera dei Logath[5] e degli Asdragh[6], antichi nemici del nostro popolo; eppure esso non era il solo infame marchio che deturpava il volto dell’uomo. Vi era infatti un simbolo quale nessuno fra noi aveva scorto fino a quel momento: un occhio rosso circondato da lingue di ghiaccio. A lungo ponderammo su quale significato potesse avere per noi tale disegno: giunse il mattino ed esso non portò consiglio, bensì la morte; udimmo infatti un lungo stridio e i nostri cuori furono avvolti dalla gelida morsa della paura, ché nessun animale della steppa e nessun uccello del cielo emette versi simili, impregnati di oscurità. Rapido giunse allora in risposta il suono di molti olifanti e vedemmo piombare sui nostri accampamenti migliaia di carri; lesti i nostri guerrieri corsero ad armarsi, eppure ogni resistenza fu vana, ché la confusione regnava nelle nostre menti e il terrore pareva dilagare ovunque: io fui uno degli ultimi ad abbandonare i nostri campi prima di rifugiarci ad est, ove il mio popolo ancora si oppone all’invasore”. S’interruppe per un attimo, infine parlò nuovamente, ma una profonda angoscia era scesa sul suo volto e le sue parole parvero echeggiare da antri oscuri: “Fu allora che lo vidi: innanzi a me vi era un essere simile in apparenza ad un uomo, eppure differente! Un re sembrava essere, ché una corona forgiata nell’acciaio ne adornava il capo, mentre un mantello regale gli scendeva lungo le spalle; tuttavia le luci delle capanne in fiamme non illuminavano alcun viso ed egli sembrava farsi beffa delle frecce che i nostri arcieri inutilmente scagliavano contro di lui: una grande tenebra lo accompagnava e la sua stessa gente fuggiva dinnanzi al suo cospetto. Mai i cavalieri Eothraim avevano veduto una potenza simile all’opera: buia fu la notte, eppure il giorno non recò sollievo nei nostri cuori, ché le armate del nemico incalzavano la nostra ritirata, impedendoci ogni fuga verso sud; numerosi Orchi si erano aggiunti agli Asdragh e agli altri popoli dell’Est ed essi conducevano un grande stendardo innanzi a loro, adornato da un marchio simile a quello che aveva deturpato le spoglie dell’esploratore.
Molte leghe percorse il mio popolo e alfine giunse nei pressi di un lago, nelle cui acque cristalline si specchiava una roccia imponente: qui l’avanguardia del nemico fu costretta ad arretrare ed essi si ritirarono verso Sud, ove riorganizzarono le loro file e si spartirono il bottino accumulato nei giorni precedenti. Io fui inviato presso le genti di Gondor, perché corre voce qui viva un possente capitano, il cui nome è noto presso il mio popolo: Erfea Morluin è chiamato e grato sarebbe il mio cuore se le fatiche del mio viaggio fossero alleviate dalla sua presenza in tale consesso”.

“La tua cerca è giunta al termine, cavaliere del Rhovanion! Io sono Erfea Morluin, figlio di Gilnar di Numenor, sovrintendente di Gondor e a te dico di non crucciarti, ché nessuna delle armi forgiate nelle vostre fucine è in grado di ferire Hoarmurath di Dìr[7], sesto in possanza fra coloro che servirono in vita l’Oscuro Signore di Mordor ed ora perseverano nella schiavitù che contrassero con costui allorché accettarono, bramosi dell’immortalità, gli Anelli del Potere degli uomini”. Indi Erfea si levò dallo scranno e i suoi capelli, ancora neri, sebbene egli fosse ormai anziano, furono illuminati dalle luci della sala: “Codesto atto infame d’aggressione è un monito per tutti i popoli liberi di Endor. Sauron, l’Oscuro Signore di Mordor è tornato e reclama il suo dominio perduto”. Gravi divennero i visi dei presenti, tuttavia solo Anarion espresse apertamente il suo parere: “Se quanto tu affermi corrisponde al vero, Erfea Morluin, perché il signore di Mordor esita ancora nell’attaccare i nostri possedimenti? Forte è l’odio che egli nutre per noi, ché se davvero il suo nero spirito è tornato sulle ali di un vento malefico, ebbene, le sue spie gli avranno riferito che non tutte le genti di Numenor perirono nella Caduta e che i Fedeli perdurarono alla sciagura che colpì tempo addietro l’Isola del Dono”. Perplessi e inquieti, i consiglieri del sovrano osservarono Erfea e nei loro occhi palesava il dubbio; lesto tuttavia il sovrintendente rispose: “Mio signore, Sauron non è uno sciocco; gli Eothraim sono stati per le sue armate niente altro che una prova per verificare il loro stato di preparazione e l’efficienza dei propri comandanti; tuttavia, non tarderà a lungo l’attacco al nostro regno, ché forte è nell’animo dell’Oscuro Sire il desiderio di vendetta ed egli non ha obliato né il vostro nome, né quello della vostra stirpe”.
Anarion sospirò, infine, levatosi anch’egli dal proprio scranno, si approssimò al suo comandante: “Cosa vuoi che faccia? – gli sussurrò a voce bassa, ché grande era scesa nel suo cuore la paura ed egli nutriva fiducia nel giudizio di Erfea – non vi sono uomini a sufficienza per sorvegliare l’intero confine di Mordor e il pericolo potrebbe giungere dai regni a meridione dell’Anduin come da quelli posti sulla sua riva orientale”. Tetro in volto, così Erfea rispose al suo sovrano: “Mio sire, convoca Isildur a Osgiliath, perché pesante grava sul mio cuore una minaccia”.
Silenzioso stette Anarion per qualche istante, infine congedò l’ambasciatore degli Eothraim con queste parole: “Le storie tramandateci dai nostri padri narrano che la gente di Haladin non proseguì il suo viaggio verso Occidente, ma che preferì stabilirsi nei territori che il vostro popolo ha difeso sì strenuamente; siamo dunque fratelli e il nostro aiuto non verrà meno in questa ora del bisogno. Invieremo un corpo di cavalleria a Nord: temo tuttavia che altrove risieda una minaccia ancor più grave e che le difese di Gondor non possano essere private di troppi uomini”.
Grato chinò il capo l’ambasciatore, infine parlò: “Sia fatta la volontà dei Signori della Terra del Sud; possano i rinforzi non tardare a lungo, ché la mano del Nemico si protende su contrade sulle quali mai era calata la Tenebra”».

Note

[1] “Inverno” nella favella degli elfi Noldor

[2] “Gennaio” nella favella degli Elfi Noldor

[3] Questo fiume scorre a ponente dei Colli Ferrosi e sfocia nel mare interno di Rhun

[4] I “Thaeng” erano i capitani delle tribù che costituivano la federazione degli Eothraim; ogni dieci anni, essi eleggevano un uomo fra loro che avrebbe dovuto rappresentarli innanzi agli altri popoli della Terra di Mezzo e a costui veniva dato il titolo di “Alto Thaeng”: durante gli anni che opposero gli Alleati alle armate di Mordor, tale incarico fu ricoperto da Aldor Roc-Thalion.

[5] I Logath erano una confederazione di popoli dell’estremo Est, servi di Sauron e discendenti degli Orientali che avevano militato nelle schiere di Morgoth durante la Prima Era; le storie di quell’epoca narrano che essi fossero prevalentemente cacciatori e domatori di bestie, ché le loro terre erano incolte e perennemente battute dal vento. Nel terzo millennio della Seconda Era, subirono l’influenza dei Signori della Guerra Hoarmurath e Khamul e costituirono le avanguardie degli eserciti di Mordor fino alla distruzione di Barad-Dur.

[6] Sotto tale nome erano comprese numerose tribù stanziate presso le coste orientali del Rhun; feroci e rudi d’aspetto, costoro praticavano l’agricoltura, seppure in forma rudimentale e veneravano i Demoni della Natura e le rappresentazioni degli Antenati; superstiziosi e bellicosi, essi militarono nelle schiere di Sauron per tutto il corso della Seconda Era.

[7] Sesto fra i Nazgul; si veda Hoarmurath di Dir, il Re del Ghiaccio, il Sesto.

Akhallabeth – Scena V ed ultima. Il discorso di Sauron ai Numenoreani il giorno di Mezza Estate

Con questo articolo concludo la narrazione della Tragedia della Caduta (o Akhallabeth in adunaico, la lingua madre dei Numenoreani). Con i prossimi articoli ricomincerò la trattazione delle gesta di Erfea all’indomani della costituzione dei Regni in Esilio (Arnor e Gondor) nella Terra di Mezzo e avrò occasione di presentare qualche nuovo ritratto.

Buona lettura, aspetto i vostri commenti.

(È il giorno di Mezza Estate: a Numenor si celebra la consueta festa in onore di Eru Iluvatar, ma l’atmosfera è inquieta; nubi neri si sono posate sul Menalterma. A tratti la terra trema. Alla sesta ora dopo il sorgere del sole, si assiste alla processione di tutti i nobili numenoreani: in testa vi sono Ar-Pharazon e Ar-Zimpharel, seguiti da Elendil, Isildur e Anarion; chiude la fila Sauron, che fa la sua apparizione vestito di un abito nero con intarsi dorati)

Araldo: (con il braccio rivolto all’ingresso dal quale entreranno tutti i nobili numenoreani) Mirate, figli di Numenor, Sua Maestà Ar-Pharazon il Dorato!
(molti applausi dalla folla)

Araldo: Sua Maestà, Principessa Reale di Numenor, Ar-Zimpharel, figlia di Tar-Palantir!
(molti applausi della folla)

Araldo: I Principi di Andunie, Elendil l’Alto ed i suoi giovani figli Isildur ed Anarion!
(pochi applausi da parte della folla)

Araldo: Signori di Numenor, dame e cavalieri, ascoltate adesso le parole del Sovrintendente, Sauron il Magnifico.

(breve stacco, infine Sauron fa scivolare la propria cappa e rivela a tutti la sua identità)

Sauron: Contro la mia volontà fui condotto qui, uomini dell’Ovesturia, eppure mai intesi sfidare le gloriose armate del Re degli Uomini. A voi, uomini di Numenor, sovrani della Terra di Mezzo, dico questo: mai vi fu, fin dagli albori del tempo, stirpe sì gloriosa e degna di essere chiamata Signora fra tutte, come quella che ora solca in lungo e in largo gli oceani sconfinati.

Primo Cittadino: Lode al nome di Sauron e al nome di Numenor!

Secondo Cittadino: Silenzio, lasciate che parli! Ohè, silenzio, dunque!

Sauron: Le Leggi che avete fino ad oggi onorato, i Valar e gli Elfi hanno ordinato che fosero gli uomini a seguire, senza tuttavia mai svelarne la ragione; ebbene, folli si sono rivelati i loro oscuri disegni, ché nulla di quanto complottano mi è ignoto.

Terzo Cittadino: Di quale complotto parla costui? Chi trama alle spalle della potenza di Numenor?

Primo Cittadino: Gli Infidi Valar tramano la rovina di Numenor! Chi sono dunque costoro perché noi dovremmo loro obbedienza?

Sauron: Al principio di questa Era, Eonwe, l’araldo dei Valar, vi proibì l’accesso a Valinor; sempre avete temuto tale ordine, e mai la vostra obbedienza è venuta meno. Qualcuno tra voi potrebbe forse affermare che l’uomo giusto è timoroso degli dei e ne osserva le immortali leggi; tuttavia, se davvero vi sia tra voi chi parli in siffatto modo, sappia che non è degno di appartenere a tale gloriosa stirpe.

Secondo Cittadino: Cosa dice costui? Invero, segreto ed oscuro mi sembra il significato delle sue parole ed io non comprendo cosa celi il suo pensiero.

Terzo Cittadino: A me, invece, ogni cosa sembra chiara: armiamoci e ribelliamoci agli infidi Valar, signori di ogni inganno e sopruso!

Sauron: Non è forse vero che essi vi domandarono ausilio e venerazione quando ne ebbero bisogno? Eppure, uomini di Numenor, con quali ricompense furono riscattate le vostre lacrime e i vostri morti? Doni furono assegnati ed invero di grande valore (rivolge uno sguardo sarcastico a Isildur), eppure nulla che vi permettesse di condividere la più grande ricchezza sì gelosamente custodita dai Valar. Io vi dico che il dono della morte altro non è che un vile inganno per mezzo del quale siete stati privati della vostra volontà e del vostro futuro.

Elendil (a bassa voce): Codesta è pura follia…

Isildur (a bassa voce): Per buona sorte dello Stregone, siamo stati privati delle nostre armi allorché la processione ha avuto inizio.

Anarion (a bassa voce): Mirate Ar-Zimpharel, sembra che la vita sia fuggita dal suo corpo.

Sauron: I Valar disposero i loro precetti per gli stolti, eppure chi fra voi oggi si riterrebbe tale? A voi, Signori della Terra di Mezzo, dico questo: gli uomini gloriosi e potenti afferrano quanto è a loro gradito seguendo percorsi che ai deboli sono preclusi.

Primo Cittadino: Infida è la parola dei Valar, e schiavi di essa sono gli uomini che ne seguono gli intenti.

Secondo Cittadino: Chi sei tu, dunque, perché debba costì parlare? Quale sentiero le nostre esistenze dovrebbero percorrere?

Ar-Pharazon: Non abbiate timore di alcuna mala sorte, Numenoreani! Un tempo prelevammo Sauron, perché egli si prostasse innanzi alla nostra maestà e rendesse omaggio alla stirpe del sovrano, ed ora egli offre a tutti noi un reame degno della potenza delle nostre schiere. Cos’è una vita se non adempiere ad una missione? E non è forse la nostra quella di elevarci al di sopra dei comuni mortali e reclamare quanto è nostro di diritto? Mirate Sauron, non è egli forse prostrato innanzi a me?

(Sauron s’inchina al re: gioia e tripudio dalla folla)

Primo Cittadino: Il Signore di Mordor si inchina al volere di Ar-Pharazon; egli si è redento, ed ora non vi sono più rivali in grado di contrastare il nostro dominio.

Sauron: Numenoreani, invero nessuno popolo oserà sfidare il vostro volere, tuttavia io vi metto in guardia, ché molti dei vostri congiunti tramano all’ombra delle loro fortezze (sguardo di Sauron rivolto a Elendil, Isildur e Anarion).

Terzo Cittadino: Chi sono questi traditori? Bruciamo le loro dimore ed incendiamone le navi!

Sauron (levando con un atto imperioso la mano): Il mio signore, Melkor, con l’inganno fu esiliato nel nulla, il medesimo che i Valar sussurrarono nelle orecchie dei vostri padri; essi lo combatterono e lo sconfissero, tuttavia egli non nutre alcun rancore verso di voi, ché ben comprende come le vostre menti siano state guidate sino ad oggi da sciocchi consigli e insani ammonimenti. A lungo vagai per questa Terra di Mezzo, affinché potessero fiorire i semi di Melkor ed ora mi accorgo quale meraviglioso verziere di delizie e incanti ricolmo sia sorto nella vostra isola.

(Le aquile di Manwe appaiono ad occidente: il terrore si impadronisce della folla)

Secondo Cittadino: I Messaggeri di Manwe sono su di noi!

Primo Cittadino: La collera di Manwe spira da Nord!

(Sauron, colpito da un fulmine, resta integro ed estrae la sua spada)

Sauron: Finanche le Grandi Aquile sono incapaci di procurarmi offesa! D’ora innanzi, la legge che seguirete sarà dettata dal vostro volere, ché i grandi uomini nulla devono temere!

(Tutti i Numenoreani, eccetto i Fedeli, si prostrano ai piedi di Sauron)

Terzo Cittadino: Alle armi! Alle armi! La conquista di Valinor è prossima, Numenoreani!

(Fine della Tragedia)

Leggi anche:

Akhallabeth – Scena IV – Le tentazioni di Sauron

Akhallabeth – Scena III, parte II: Il dialogo tra Ar-Zimpharel ed Elendil

L’Akallabeth: il monologo di Miriel (III Atto)

L’Akallabeth: la corruzione di Pharazon (II Atto)

 

Akhallabeth – Scena IV – Le tentazioni di Sauron

Benritrovati, care lettrici e cari lettori. Proseguo la narrazione della Caduta raccontando in questo articolo il tentativo, da parte di Sauron, di corrompere Isildur, il figlio maggiore di Elendil, il quale, per ironia del destino, sarà proprio quello che gli darà il colpo di grazia alla fine della Seconda Era…

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!

(Isildur e Anarion sono sull’uscio della sala del trono, scuri in volto; improvvisamente, una figura si avvicina loro: è Sauron)

Sauron: Vi saluto, giovani principi di Numenor! Onore e gloria alla vostra stirpe! La fortuna mi assiste, ché questo oggi nutrivo nel mio cuore un profondo desiderio di discorrere con l’erede maggiore di Elendil.

(Isildur, fatto cenno ad Anarion di lasciarlo solo, osserva per qualche istante la figura di Sauron in silenzio)

Sauron: Ebbene, Isildur, ti chiedi forse perché abbia chiesto un colloquio riservato con te? Non negarlo, ché molto scorgo dei tuoi pensieri e l’eco delle numerose azioni da te compiute è giunto alle mie orecchie.

Isildur: I dubbi e i timori sono compagni dell’uomo fin dalla sua nascita; essi non sono necessariamente nostri nemici, ché solo i folli agiscono senza che il loro pensiero non si soffermi sulle azioni che si accingono a compiere. Quale uomo, può, a priori, conoscere il destino che l’attende? Finanche noi Numenoreani, pur scorgendo molte immagini di quello che ancora deve avvenire, non abbiamo la facoltà di poter risolvere i nostri dubbi, se prima non accettiamo la fallacità delle nostre azioni. Solo dubitando è possibile ricercare la verità.

Sauron: Le tue parole, giovane Numenoreano, sono figlie di questi tempi oscuri, privi ormai di valore e prigionieri della disperazione e della sofferenza. Se tu fossi un uomo da poco, ecco che sarebbe sciocco contestare quanto il tuo cuore ti suggerisce, eppure sappi questo: i grandi signori prendono sempre quello che appartiene loro, adoperando a tal fine strade che ad altri sono precluse.

Isildur (con tono freddo): Eru Iluvatar ha creato i suoi figli perché seguissero ciascuno la strada tracciata dalle loro stesse azioni. Il libero arbitrio rende i nostri spiriti liberi: solo questo dobbiamo temere, l’impossibilità della scelta, non i fantasimi agitati da coloro che vorrebbero privarcene.

Sauron (con tono di voce premuroso e mellifluo): Sei saggio e risoluto, figlio di Elendil, ma il tuo cuore non conosce ancora tutte le paure che i Secondogeniti temono. Quando la morte, il dolore della perdita ti saranno prossimi, credi che il tuo animo rimarrà immune da tali incubi?

Isildur: La morte non è una punizione, bensì un dono. Quale uomo potrebbe, infatti, sopportare a lungo il peso degli anni trascorsi? Come una quercia, logorata dalle fatiche e dal gelo di numerosi inverni, egli infine si abbatterebbe nella più cupa disperazione, desideroso solo della morte. Nessun uomo resisterebbe a lungo privato della propria fine. Sappi dunque questo: l’immortalità è un dono che mai accetterei.

Sauron (parlando con tono beffardo): Ben m’avvedo come la lezione impartita dai servi dei Valar non sia andata smarrita! Dal momento che Isildur sembra esserne cosciente, devo forse ritenere che il più giovane capitano dei Numenoreani teme la gloria e la ricchezza che gli offro?

Isildur: Qualunque ricchezza tu possa offrirmi, solo uno stolto potrebbe accettarla. È alquanto pericoloso ottenere il potere senza capire dove esso sia in grado di condurti. Onore e gloria, dici? Entrambi sono insignificanti, posti di fronte al dono più grande che Eru ha dato ai suoi figli.

Sauron: Sappi, Isildur, della casata di Elendil, che nessun dono è più grande di un’ambizione soddisfatta. Io scorgo innanzi a me tutti i desideri più oscuri che il tuo cuore nutre, pensieri che la tua mente tenta invano di occultare; questi e molti altri segreti io conosco, perché forte è il mio potere.

Isildur (con tono sicuro e alto): Sauron di Mordor, servo di Morgoth, la tua distorta visione dell’Umanità non può intaccare il mio animo. Sei invero uno spirito conoscitori di occulti e infausti poteri; eppure, la tua capacità di giudizio si basa solo sul desiderio di potere e l’arroganza che il tuo dannato spirito nutre. Una schiavitù eterna: questo è il dono che mi hai proposto. Stregone, il dono più grande, che esso solo rende possibile le nostre esistenze, è il dono della scelta. Né tu, né il tuo oscuro mentore potete offrirmi una simile ricompensa!

Sauron (con voce irata e terribile ad udirsi): Sei un pazzo e un folle, Numenoreano. Sappi che il Re del Mondo ti maledice fino alla fine dei tuoi giorni. Terribile sarà la tua morte! In virtù dei poteri concessimi da sua maestà, Ar-Pharazon il Grande, bandisco te e la tua famiglia dal Consiglio dello Scettro. Comando e voglio!

Isildur (afferrando Sauron per le spalle): No! Maledetto!

(alcune guardie armate piombono su Isildur e ne bloccano mani e piedi)

Isildur (con tono di sfida): La tua volontà è tirannica, eppure la conoscenza del futuro è preclusa a me, quanto a te: i tuoi oscuri sortilegi non possono rivelarti nulla sul destino del mondo, ma solamente costringere coloro che ne sono artefici a realizzare il loro avvenire secondo il tuo desiderio; tuttavia, bada, che i miei giorni su questa terra si riveleranno più lunghi dei tuoi!

(Isildur viene condotto fuori dalle guardie e Sauron esce dal palazzo reale. Breve stacco)

Scena IV, Parte II: Il dialogo tra Elendil ed Anarion

(dopo essere uscito dalla stanze private di Ar-Zimpharel, Elendil raggiunge Anarion nel giardino della reggia di Armenelos)

Elendil: Dov’è tuo fratello? Gravi nubi di sventura si addensano sulla nostra patria ed abbisogno del suo consiglio.

Anarion: Salute a te, padre mio! Di Isildur non ho più notizie dacché egli fu avvicinato da Sauron; a lungo ascolai le lori voci provenire dall’interno del palazzo, infine tutto fu silenzio, interrotto solo dall’eco dello sciobardare delle navi nel porto.

Elendil (scuro in volto e con tono grave): Codeste notizie non risultano gradevoli alle mie orecchie, ché Sauron è un corruttore di cuori ed egli non tarderà a reclamare quanto il suo animo ambisce ottenere.

Anarion: Padre mio, non ti nascondo che le tue paure sono anche le mie, ché molte sono le cose da temere in questi giorni oscuri e la mente del sovrano ormai vacilla; tema che egli abbia ceduto al Signore di Mordor e se tale ipotesi fosse vera, allora la nostra gente avrebbe invero molto da temere.

Elendil: I Fedeli devono essere avvertiti di quanto sta accadendo a corte; questa notte, terrò un concilio ad Andunie, lì ove gli occhi di Ar-Pharazon e di Sauron non si volgono da molti anni, e discuteremo sul da farsi.

Anarion: Davvero bizzari paiono i destini dei mortali! Siamo nella nostra dimora, e ivi dobbiamo temere il nemico! Se tale si configura il corso degli eventi, non oso immaginare quali terribili conseguenze dovremo patire nei prossimi anni.

Elendil: No, figlio mio, questa situazione è figlia della follia degli Uomini. Noi siamo come costruttori: possiamo edificare mura e torri elevate, pari a quelle di Valinor, ma non impossiamo impedire che la pazzia prenda il sopravvento sulla ragione, portando il Nemico dove mai sarebbe giunto altrimenti.

(Isildur fa la sua apparazione, scuro in volto e con la spada sguainata)

Isildur: Dobbiamo abbandonare la reggia all’istante. Il nemico è in cerca degli eredi di Amandil e Sauron ha ottenuto l’incarico presso il re che un tempo apparteneva di diritto ai nostri padri.

(Elendil, Isildur e Anarion abbandonano la scena; stacco).

L’Akallabeth: la corruzione di Pharazon (II Atto)

Bentrovati, care lettrici e lettori. Come vi avevo anticipato nei precedenti articoli, ho deciso di pubblicare nel mio blog il testo di una tragedia che ho scritto ben 14 anni or sono, dedicata alla caduta di Numenor, chiamata anche Akallabeth nella lingua adunaica. Ho esitato a lungo prima di condividere questo testo per una serie di ragioni riconducibili al quesito che qualche tempo fa mi fu posto in sede diverse da Lettrice e da Oscuro Signore in merito ai rapporti intercorsi tra Miriel e Pharazon. In effetti, a ben guardare, nel «Ciclo del Marinaio» l’interazione fra i due personaggi appare sempre molto debole, quasi inesistente. Una prima ragione che posso presentare per giustificare questa mia scelta deriva da una necessità interna alla raccolta dei racconti, il cui punto di vista è sempre quello di Erfea, il quale, per ovvie ragioni, non poteva essere presente nel momento in cui Pharazon seduceva la bionda principessa di Numenor. Non è un caso, infatti, che negli ultimi racconti che ho scritto (e che non sono stati pubblicati all’interno del «Ciclo del Marinaio» perché postumi) abbia provato a servirmi di «punti di vista esterni» rispetto a quelli del principe di Numenor: seguendo questa prassi, dunque, sono stato in grado di descrivere i retroscena che condussero alla caduta di Numenor («Racconto dell’Ombra e della Spada») e di approfondire la relazione amorosa tra Miriel ed Erfea attraverso il racconto che questa narrò ad Anarion («Racconto della Rosa e dell’Arpa»). Nel «Racconto dell’Ombra e della Spada» si descrivono i piani sinistri di Pharazon per impadronirsi del potere, che passano, necessariamente, dalla seduzione di Miriel e dal suo allontanamento da Erfea, ma nulla si dice su come questo avvenne; né, d’altra parte, ho mai sciolto del tutto l’alone di mistero che ancora aleggia sulla paternità di Varaneli, l’unico figlio avuto da Miriel (qui potrete leggere il testo corrispondente: Un erede al trono di Numenor?).

Premesso dunque, che Erfea non avrebbe potuto sapere molto su questa faccenda, essendo all’epoca impegnato a combattere le armate di Pharazon nella Terra di Mezzo, avrei potuto scegliere Miriel come protagonista narrante di questa triste storia della sua vita…tuttavia, credetemi, questa ipotesi mi ha molto turbato. Per citare le parole adoperate da Tolkien a proposito della prigionia di Merry e Pipino nelle grinfie degli Uruk-Hai, credo che la vita matrimoniale di Miriel sia stata caratterizzata da una serie di «sogni angosciosi e veglie ancora più angosciose [che] si fondevano in un unico sentimento di sofferenza, da cui la speranza svaniva sempre più». Senza dubbio, avrei potuto limitarmi a descrivere quello che accadde tra Miriel e Pharazon prima che ques’ultimo fosse incoronato sovrano di Numenor…e non è escluso che prima o poi riuscirò a farlo (per esempio approfondendo l’adolescenza di Erfea, Miriel e Pharazon che dovevano essere tutti più o meno coetanei…vi siete mai chiesti chi affibbiò il soprannome di “Spirito Solitario” al nostro eroe?), perché mi sembra certamente un compito meno cupo rispetto a quello di descrivere ciò che accadde dopo.

Il testo della tragedia della Caduta, pur essendo stato scritto parallelamente al Ciclo del Marinaio, non presenta la figura di Erfea, che risulta senza dubbio il «grande assente» della situazione: non era necessario inserirlo, perché, come vedrete leggendo questo e i prossimi articoli, si tratta di una narrazione che si sviluppa esclusivamente a Numenor, dopo l’arrivo di Sauron, quando Erfea era impegnato in ben altre faccende nella Terra di Mezzo…

Il testo di questa tragedia, dunque, costituisce una prima risposta, seppur ancor abbozzata, a quanto accadde tra Miriel – qui chiamata con il suo nome adunaico Ar-Zimpharel, impostole dal marito – e Pharazon, soprattutto in merito allo stato d’animo che provò la donna dopo la loro forzata unione. Ho preso, dunque, la decisione di pubblicarlo senza effettuare nessuna modifica al testo originale, sperando che possa incontrare il vostro favore. La tragedia si compone di 6 atti: il primo, che qui ometto, affrontava, attraverso la voce narrante di Galadriel, le vicissitudini storiche di Numenor dalla sua origine sino all’incoronazione di Pharazon. Il secondo atto, invece, che presenterò in questo articolo, racconta la corruzione subita dall’ultimo re di Numenor da parte di Sauron…buona lettura, aspetto i vostri commenti!

Atto II

(Ar-Pharazon è seduto sul trono; accanto a lui, Ar-Zimpharel, sua moglie e principessa regnante di Numenor, è in piedi, con il capo chino: una musica triste echeggia nell’aria. Un araldo annuncia l’arrivo di Sauron e Ar-Zimpharel, dopo un breve inchino, si ritira nelle sue stanze)

Araldo: Mio signore, Sauron chiede udienza.
Ar-Pharazon: Che entri e nessuno osi disturbare il nostro colloquio.
(L’araldo si inchina ed esce di scena, contemporaneamente ad Ar-Zimpharel).
Sauron: O Re degli Uomini, prestami ascolto! (genuflessione di Sauron). A lungo ho esitato, ché a volte le parole che sgorgano da un cuore saggio, facilmente possono essere traviate e distorte, eppure, invero nobile è la stirpe dei numenoreani e ancor più splendente è la stirpe di Ar-Pharazon, il Dorato! Onore e gloria ai suoi eserciti!
Invero, mai nessun altra schiatta è stata sì degna di riguardo nella storia della Terra di Mezzo e certo mi perdonerai se ho osato attendere a lungo prima di aprirti il mio cuore, ché orecchie indiscrete sono all’opera e l’ipocrisia dei Fedeli è lungi dall’essere stata debellata.
Ar-Pharazon: Sagge sono le tue parole, ma dubito che tu sia giunto qui per parlarmi di quanto io già conosco: qualunque uomo parlerebbe come te, se fosse dinanzi a me in questo momento. Non è forse vero che non esiste altra creatura in grado di contestare la mia autorità? Non ho forse condotto, qui, nella mia dimora, il Signore di Mordor? Chi altri potrebbe ora opporsi al mio volere?
Sauron: Il sovrano di Numenor ha parlato e ogni suo desiderio è un ordine per me; tuttavia, sebbene il suo nome sia temuto in ogni angolo della Terra di Mezzo ed i suoi vascelli rechino nei suoi forzieri scrigni traboccanti di oro e di argento, pure egli saprà che le glorie umane sono caduche e destinate a terminare.
Ar-Pharazon (seccato e con tono di voce più alto): Fossero esse come tu dici, pure non verrebbero sminuite dall’ignavia di uomini falsi e traditori. Forse tu puoi rendermi immortale, stregone?
Sauron: Non io, mio signore, ché non sono nel novero di coloro che detengono tale facoltà e risiedono nelle aule di Valinor.
Ar-Pharazon: False parole hanno consegnato al glorioso popolo di Numenor gli araldi dei Valar e la loro codardia è stata ben ripagata dalla indifferenza che la mia gente nutre adesso per la loro maestà.
Sauron: Ben detto, mio Signore; sappi, infatti, che i Valar mentirono per timore dei possenti uomini. Sei re tra i re e la tua parola è legge: raduna la tue truppe e marcia deciso contro coloro che ti voltarono le spalle.
Ar-Pharazon (ridendo): Se anche seguissi i tuoi consigli, cosa ne ricaverei? Bruciate le dimore degli Elfi di Valinor, avrei accresciuto solo i miei forzieri e non reso immortale la mia esistenza.
Sauron: Pure, vi sono altre volontà che potrebbero condurti al tuo obiettivo. Vi sono altri poteri al mondo e non tutti seguono lo stolto volere dei Signori dell’Occidente. Sappi, infatti, che io servo colui la cui parola è fonte di saggezza e la volontà maestra per coloro che intendono apprendere la saggezza dei forti, ché, gli uomini possenti reclamano quanto è loro tramite vie che ai deboli sono precluse.
Ar-Pharazon: Chi è dunque il tuo signore?
Sauron: Egli è Melkor, colui che, nella loro follia, i Valar gettarono al di là del Mondo; pure, coloro che non muoiono ancora ne ricordano il nome e ne temono la maestà, ché invero possente è Melkor il Grande.
Ar-Pharazon: Come può aiutarmi colui che non è più?
Sauron: Non temere, signore di Numenor! Grande sarà la ricompensa per coloro che seguiranno la volontà di Melkor, ché egli è padrone di ogni sorte.
Ar-Pharazon: Dovrei forse seguire colui che fu tanto stolto da lasciarsi condurre all’esilio eterno? Seguendo la sua volontà, non diverrei forse a mia volta uno schiavo? Tale ruolo non si addice certo al Re degli Uomini!
Sauron: Mai Melkor desidererebbe che il nome del più glorioso signore di Numenor, fosse gettato nel fango e nel disonore della schiavitù. Egli è paladino di colui che richiede per sé la capacità di discernere il bene del male, anziché seguire i precetti che esseri indegni hanno appreso per paura e codardia.
(breve attimo di silenzio; Ar-Pharazon si tocca il mento, lo sguardo ormai perso nella perfidia delle parole di Sauron, poi riprende a parlare)
Ar-Pharazon (con voce irata e rosa del dubbio): Chi sei tu, dunque, che debba parlarmi in questo modo?
Sauron (con voce bassa e suadente): Io sono colui che segue il proprio volere e desidera che anche il suo grazioso signore possa essere liberato dalle immonde catene che gli Elfi e i Valar gettarono su di lui: immortalità e libertà, i due desideri che i Signori dell’Occidente negarono così a lungo agli Uomini, Melkor potrebbe concedere loro senza richiedere nulla in cambio, ché la sua magnanimità è grande.
Ar-Pharazon (con voce incerta e stanca, coprendosi gli occhi con il palmo della mano): Cosa io ho dunque fatto? Umiliai colui che può darmi la salvezza e rendere immortale il mio spirito? Invero ciechi sono divenuti i miei occhi, se all’epoca non presi coscienza del mio errore!
Sauron: Suvvia, mio signore, non temere! Sauron di Mordor non desidera che la sua amicizia gli venga meno, ché la scorsa notta il mio maestro mi parlò a lungo nel sogno e mi pregò di farti partecipe di quanto altre menti non comprenderebbero, ché possente è il tuo spirito ed esso saprà certo comprendere quanto gli è stato rivelato.
Ar-Pharazon: Cosa avverrebbe, dunque, se le mie armate giungessero trionfanti a Valinor?
Sauron: I signori dell’Ovest prendebbero coscienza della forza che è nell’animo dei Numenoreani, Signori fra gli Uomini, e concederebbero a te e a coloro che seguiranno il tuo volere, quanto il vostro cuore ambisce ottenere. Tuttavia vi sono, finanche nel Consiglio dello Scettro, Uomini la cui cupidigia e infamia è pari solo a quella che dimostrarono i Valar: Elendil ed i suoi due figli, Isildur e Anarion, non hanno forse preso parte ai complotti che i Fedeli organizzarono allorché tuo zio, Tar-Palantir morì e alcuni sussurrarono che non dovessi acquisire, per diritto della forza, lo scettro di Numenor? Il mio maestro, Melkor, è preoccupato per la sorte infausta che la tua isola conoscerebbe, se alfine questi spregevoli uomini trionfassero.
Ar-Pharazon: Saggio è invero Sauron di Mordor. Potrai mai perdonarmi per averti umiliato dinanzi al mio popolo?
Sauron (ridendo ed inchinandosi al re): Mio signore, se il tuo volere condurrà Numenor alla vittoria, allora il mio animo non rimpiangerà di aver trascorso lunghi anni in esilio presso la tua gente.
Ar-Pharazon: La vittoria sarà nostra, allorché tutti coloro che a torto si fanno chiamare Fedeli, saranno banditi dal mio regno e da tutti quelli che seguono la mia legge; or dunque, amico tra gli amici, ti affido la sovrintendenza di Numenor, che in precedenza fu di Amandil, affinché i buoni servigi che mi hai oggi reso, siano ampiamente ricompensati dalla mia generosità. Comando e voglio!

(Sauron, dopo essersi inchinato un’ultima volta ad Ar-Pharazon, esce dalla sala del trono, seguito subito dopo dal re)