Care lettrici, cari lettori, è con grande piacere che vi segnalo la pubblicazione sul mio canale YouTube del nuovo video relativo al cortometraggio «L’Assedio di Osgiliath». Siamo ormai giunti al momento più drammatico…nella prossima animazione il duello tra Erfea e il Re Stregone avrà inizio!
Venerdì scorso sono stato ospite di Radio Brea (https://www.twitch.tv/radiobrea) una web radio che si interessa a tutto quanto concerne il legendarium tolkieniano. È stata una bellissima esperienza che mi ha procurato grandi emozioni…non avrei mai pensato di essere intervistato sul Ciclo del Marinaio e sul progetto di crowdfunding per animare un intero racconto del nostro numenoreano! Vorrei ringraziare in primo luogo Lettrice che mi ha permesso, attraverso Stephie, di conoscere Tony, uno degli animatori di Radio Brea, persona molto simpatica e competente. Sono stato contento di conoscere personalmente Pierluigi Cuccitto, che già seguivo qui https://migrantesofmiddleearth.wordpress.com/ e gli altri conduttori che mi hanno accolto amichevolmente, dimostrando apprezzamento sul mio progetto. Se qualcuno avesse voglia di seguire il mio intervento vi lascio il link alla pagina web di Radio Brea https://www.twitch.tv/videos/1932340182 avvertendovi che inizia dopo circa un’ora e dieci minuti.
Care lettrici, cari lettori, quest’oggi l’articolo mi è stato ispirato dal bellissimo pezzo scritto in questa settimana da Federico Aviano sul Signore degli Anelli (potrete leggerlo o rileggerlo qui: https://imlestar.com/2020/11/16/tolkien-il-piu-grande-scrittore-di-tutti-i-tempi/), nel quale l’autore osserva come Tolkien non abbia goduto di particolare fortuna fino ad anni recenti. Rileggendolo mi sono ritornati in mente alcuni ricordi della mia adolescenza, quando ero giovane, come riporta il titolo di questo articolo, che è lo stesso di una bellissima canzone dei Lighthouse Family che mi ha più volte ispirato nella stesura dei miei racconti (ebbene, finalmente sono riuscito a tornare anche su questa rubrica del mio blog! Grazie ad Almerighi per la sua pazienza!)
Dunque, questa storia inizia nel 199…ehm ok, diciamo nell’ultimo decennio del vecchio millennio! Non si chiede l’età a un autore…
Scherzi a parte, come dicevo, questa vicenda iniziò in un Liceo classico di provincia: frequentavo la quarta ginnasiale e la professoressa di italiano ci affidò, come prova di valutazione iniziale, un tema con la seguente traccia: «Descrivi un romanzo che ti è piaciuto particolarmente». Insomma, non ricordo esattamente le parole, però più o meno questo era l’intento: capire quali fossero i nostri gusti letterari.
Inutile a dirlo, come credo avrete capito, scrissi 12 colonne…sul Signore degli Anelli. Cosa c’è di strano, mi chiederete? Ebbene, all’epoca, prima dell’uscita della trilogia cinematografica di Jackson, Tolkien non era esattamente un autore popolare. Oggi sono pochi gli adulti che non sappiano – almeno vagamente – associare il suo nome al romanzo del Signore degli Anelli; probabilmente, inoltre, non avranno difficoltà a snocciolare almeno qualche nome tolkieniano. Frodo, Sauron, Aragorn sono personaggi, fra gli altri, ormai entrati di diritto nella cultura popolare mondiale. Per avere un’idea della loro popolarità attuale, basta sfogliare Facebook per notare quanti meme sono stati ispirati a scene divenute ormai iconiche della trilogia di Jackson: tanto per citarne un paio, quella in cui Gandalf blocca il Balrog sul ponte di Khazad-Dum (ricordate il celebre: «Tu non puoi passare!»?), oppure quella in cui Boromir osserva che «non è facile entrare a Mordor». E ce ne sono moltissime altre, naturalmente. (Se desideri approfondire l’argomento, ti suggerisco la lettura di questo mio articolo: Sedici anni dopo: cosa resta della trilogia di P. Jackson. Analisi di un fenomeno culturale controverso).
All’epoca, invece, Tolkien era un autore ancora poco conosciuto nella realtà provinciale: nella mia classe, composta allora da 28 alunni, eravamo solo in due a conoscerlo, io e (ovviamente) il mio migliore amico, al quale, nell’estate fra terza media e quarta ginnasiale, avevo fatto divorare l’intera mia biblioteca tolkieniana…oltre, naturalmente, a prestargli la mia VHS del film d’animazione del Signore degli Anelli diretto da Ralph Bakshi, al quale Lettrice ha dedicato un bellissimo articolo (potrete leggerlo qui: https://wordpress.com/read/feeds/78861705/posts/2422640572) e dal quale è tratta la copertina di questo articolo.
Qualche giorno dopo, la professoressa ci riconsegnò i compiti. Arrivata al mio turno, mi guardò con un’aria di stupore e disprezzo allo stesso tempo e definì il mio elaborato mediocre: 5. Al di là della votazione non proprio esaltante, la cosa che più mi fa sorridere, a distanza di tanti anni (ahia! ci risiamo sull’età…) è che il suo primo commento fu questo: «Non ho mai sentito parlare di questo Tolkien. Ho dovuto chiedere alla collega di inglese per avere un’idea più precisa di questo autore. Chi sarebbero poi questi Hobbit? E questo Erodo (sì, non ho sbagliato a scrivere, era convinta che questo fosse il nome di Frodo!) chi sarebbe? E così via…
Naturalmente, come potete immaginare, ci rimasi molto male, anche perché questi commenti mi erano stati mossi davanti a tutta la classe. La tiritera andò avanti ancora un po’, insistendo sul fatto che si aspettava da me un elaborato su Calvino…che prima degli autori stranieri, avremmo dovuto conoscere quelli nostrani e così via…Potete immaginarvi la scena, non sto a dilungarmi ulteriormente su questa immagine penosa.
Io, però, non mi arresi e qualche mese più tardi ebbi ancora modo di tornare sul mio autore preferito, ancora una volta entrando in conflitto con la stessa professoressa. La lezione di quel giorno era incentrata sull’epica e, più precisamente, sui miti fondatori dell’universo. Si parlava del potere fondante della parola, della Bibbia, dei miti greci, ecc…quand’ecco che la suddetta professoressa domandò alla classe se conosceva strumenti altrettanto potenti nel dare vita all’universo. Ovviamente io alzai la mano e risposi: «Il potere della musica nei miti tolkieniani!»…
Gelo in classe…
…e, naturalmente, altra lunga tiritera sul fatto che i miti classici non possono essere paragonati alle fantasie di uno sconosciuto autore straniero (e dagli!) e che avevo evidentemente troppo fantasia per elaborare simili teorie senza alcun senso. A distanza di anni, mi vien da sorridere perché mi rendo conto molto bene di quanto lei fosse in difficoltà di fronte a tutta la classe…anche perché – credetemi sulla parola – io replicavo punto per punto, sperando, nella mia ingenuità, di farle cambiare idea. Piccola precisazione che forse può aiutarvi a comprendere meglio il clima che si respirava in quegli anni: in un’antologia in uso presso un’altra sezione, Tolkien era citato nel capitolo dedicato alla…«paraletteratura», insieme ai fumetti e a libri-games! Ecco, l’idea stessa che esista una paraletteratura mi fa rabbrividire ancora oggi…
Alla lunga, comunque, capii che con il dialogo non avrei ottenuto nulla: d’altra parte si trattava della stessa professoressa che, pur messa dinanzi a una serie di enciclopedie che il sottoscritto le aveva gentilmente mostrato, restò convinta che i mammiferi fossero comparsi solamente dopo l’estinzione dei dinosauri…ma di questo, magari, parlerò in una prossima occasione…
Dicevo, ero ormai arrivato a un punto morto e mi sentivo – come potrete immaginare – anche piuttosto scoraggiato: fu allora che decisi che – se non potevo convincerla a parole – l’avrei «obbligata», per così dire, a riconoscere la bontà dell’epica tolkieniana con un piccolo stratagemma.
L’occasione mi si presentò a fine maggio: ultimo compito in classe di italiano, fra le varie tracce che erano state approntate, compariva anche questa: «Scrivi un componimento ispirato ai miti che hai studiato quest’anno». Anche in questo caso, naturalmente, le parole non sono precisissime, comunque il senso è quello che vi ho descritto.
Sorrisi: finalmente la mia occasione di vendicarmi era a portata di mano (anzi di penna)…
…e così scrissi, di getto, altre 9 colonne (lo so, ero uno scrittore prolifico già allora!) nelle quali riportai – fedelmente, per quanto la mia memoria lo permettesse – una parte decisiva del Signore degli Anelli, ossia la Battaglia dei Campi del Pelennor!!! Ebbi però l’accortezza – e qui risiedette la mia astuzia – di cambiare i nomi dei personaggi: niente nomi tolkieniani – o vagamente nordici – ma solamente nomi ispirati alla mitologia greca e romana. Ricordo, ancora, con soddisfazione, come descrissi il duello tra la mia Eowyn greco-romana (della quale, perdonatemi, ma non ricordo più con certezza lo pseudonimo che le affidai per quell’occasione…credo che fosse Diana) e il malvagio Signore dei Morti…alias, naturalmente il Capitano dei Nazgul!
Risultato?
9 e mezzo, lettura del componimento davanti alla classe e, come avrebbe detto Fantozzi, «92 minuti di applausi!»
(e tenete anche conto che, a differenza di quanto avviene oggi, all’epoca un nove e mezzo era un risultato assolutamente fuori dalla norma)
Ritornai a casa triofante, non tanto (o comunque, non solo) per il voto in sé, ma perché avevo dimostrato come, solo cambiando i nomi dei suoi personaggi, avevo reso giustizia a Tolkien e alle sue opere.
Il re, invece, era nudo.
Car* lett* grazie per aver letto questo ricordo di adolescenza, spero di averti fatto divertire (e perché no? anche riflettere)!
The Sailor’s cycle, inspired by the events narrated in the Unfinished Tales and in the Silmarillion by J.R.R. Tolkien, delves into the history of the great island of Numenor, from its rise to glory until its fall; witness and at the same time architect of the events of his time is Prince Erfea, of whom the book presents the heroic and often painful events.
From birth until death, during her long existence, Erfea will have the opportunity to interact with characters already known to the public who loves the Tolkien epic: Sauron, the Dark Lord of Mordor; his cruel servants, the Ringwraiths and their evil captain, the Witch King; the wise elves, among which Elrond and Galadriel stand out; the valiant dwarves of Moria and others.
Homage to the voluminous work of the English writer, The Sailor’s Cycle is also a reinterpretation of the chivalrous and classic epos, deepening the psychology of the protagonists and not failing to underline their contradictions and deep concerns, using an ancient language to deal with the universal themes of our civilization and of our age.
Some useful advice for reading: if you are interested in discovering the genesis of my novel, “The Sailor’s Cycle”, I suggest you read these two articles: In principio era…Othello, ovvero come nacque il Ciclo del Marinaio (In the beginning it was … Othello, or how the Sailor’s Cycle was born) and …e arrivò il Marinaio! Corto Maltese, Aldarion ed Erfea (… and the Sailor arrived! Corto Maltese, Aldarion and Erfea). If, on the other hand, you prefer to read the various stories straight away, you can browse the categories that refer to the various stories, starting with the topmost article in the chronology and ending with the most recent one. To help you in reading these tales and to facilitate the understanding of notable names and events, I suggest you read these articles: Cronologia della vita di Erfea e dei racconti del Ciclo del Marinaio (Chronology of the life of Erfea and the tales of the Sailor’s Cycle) and Dizionario dei personaggi de «Il Ciclo del Marinaio» (Dictionary of the characters of «Sailor’s Cycle»). Finally, if you want to appreciate other images like the one highlighted in this article, I invite you to take a look at the “Illustrations” category. To learn more about aspects related to Tolkien’s thought and works, you can read the articles in the category «Characters, places and stories of Tolkien’s works»; if you enjoyed the film versions of “The Hobbit” and “Lord of the Rings”, I suggest you read the articles included in the “Seventh Art” section. I remain at your disposal for any information and I wish you good reading!
I open this blog to write, discuss and learn stories, songs and tales inspired by the Second Age of Middle-earth, as it was conceived and described by the English writer J.R.R. Tolkien. Some useful advice for reading: if you are interested in discovering the genesis of my novel, «Il Ciclo del Marinaio», I suggest you read these two articles: In principio era…Othello, ovvero come nacque il Ciclo del Marinaio and …e arrivò il Marinaio! Corto Maltese, Aldarion ed Erfea. If, on the other hand, you prefer to read the various stories straight away, you can browse the categories that refer to the various stories, starting from the topmost article in the chronology and ending with the most recent one. To help you in reading these tales and to facilitate the understanding of notable names and events, I suggest you read these articles: Cronologia della vita di Erfea e dei racconti del Ciclo del Marinaio and Dizionario dei personaggi de «Il Ciclo del Marinaio». Finally, if you want to appreciate other images like the one highlighted in this article, I invite you to take a look at the “Illustrations” category. To learn more about aspects related to Tolkien’s thought and works, you can read the articles in the category «Characters, places and stories of Tolkien’s works»; if you enjoyed the film versions of “The Hobbit” and “Lord of the Rings”, I suggest you read the articles included in the “Seventh Art” section. I remain at your disposal for any information and I wish you good reading!
Twenty-fifth Prince of the Hyarrostar, one of the five historical regions of the kingdom of Numenor, son of Gilnar and Nimrilien. In the dwarven language he was also known as Khevialath, which means “the far-sighted”. A distant descendant of Atanalcar, the fourth and last son of Elros Tar-Minyatur, he is the male protagonist of «Il Ciclo del Marinaio». Paladin of great value, over the years he will forge a relationship with Miriel, princess and later queen of Numenor, which ended abruptly in the aftermath of the coup that led to the accession to the throne of Pharazon. Subsequently, exiled from Numenor because he disliked the new ruler, he settled in Middle-earth, in Edhellond, where he formed a relationship with Elwen, which ended when she married Morwin, the Lord of that City. Following the destruction of Numenor and the death of Miriel he settled in Osgiliath, as superintendent of the kingdom of Gondor. Although extremely old, he took part in the defense of the city from the assault of Sauron’s troops and in the subsequent counterattack that ended with the destruction of Mordor and the loss, by the Dark Lord, of the One Ring. Erfea died in the eighth year of the Third Era. It appears in all the stories.
Una delle creature più spaventose del legendarium tolkieniano e, allo stesso tempo, maggiormente «fraintesa» nelle due trilogie dirette da Jackson è il warg. Già, ma cos’è esattamente un warg?
Tracce di questa creatura si possono riscontrare già nella Prima Era, allorché esse furono tra i servitori più potenti di Sauron: non si tratta di lupi «semplicemente» mostruosi, come sembrerebbero quelli presenti in entrambe le trilogie cinematografiche di Jackson (nell’immagine in copertina potete visualizzare un fotogramma tratto da «Lo Hobbit – un viaggio inaspettato» che mostra un piccolo branco di queste creature), ma di veri e propri demoni che avevano preso l’aspetto di lupi, risultando, tuttavia, più intelligenti e crudeli di quanto non lo fossero gli esemplari «naturali» di questa specie animale.
A complicare le cose, il termine «warg» indica una serie di creature che possono essere genericamente indicate come «lupi», ma che in realtà sono fra loro molto diverse.
In questo articolo cercherò di fare chiarezza sulle tre principali tipologie di lupi nella Terra di Mezzo.
Lupo comune: Normalmente questi animali sono grigi, o più raramente neri, e di solito si riuniscono in mute composte da una dozzina di esemplari adulti. Sono cacciatori intelligenti e crudeli (di una crudeltà dettata unicamente dal bisogno di trovare cibo in un territorio aspro e ostile), nonché instancabili inseguitori. Molti lupi sono caduti sotto il controllo, anche se non sempre diretto, del Re-Stregone di Angmar e in loro si è sviluppato un malvagio e perverso istinto che li porta a uccidere per puro divertimento. Le loro prede principali sono le pecore, ma i lupi non temono gli uomini e sono sempre pronti ad attaccare un viaggiatore solitario o piccoli gruppi. Temono comunque i cani da pastore
Warg: I warg, lupi intelligenti di enormi dimensioni, rappresentano i più feroci predatori della regioni nord-occidentali della Terra di Mezzo. La leggenda narra che fu lo stesso Morgoth a crearli, basandosi su comuni lupi del Nord, per servirsene nella sue guerre contro gli Eldar e Edain nella Prima Era. I maschi sono lunghi fino a 3 metri, compresa la coda, mentre le femmine sono leggermente più piccole. I Warg si uniscono spesso agli Orchi durante le loro scorribande, talvolta lasciandosi cavalcare dai Goblin più piccoli, pensando così di procurarsi facilmente del cibo. I Warg, a differenza delle altre specie di lupi, non temono in alcun modo l’uomo: lo dimostrano negli attacchi sferrati alla cavalleria, quando si avventano ringhiosi sui fianchi dei cavalli, e nella spietata caccia ai nemici in fuga. A questa tipologia, dunque, appartenevano i lupi che dettero la caccia a Bilbo e agli altri nani ne «Lo Hobbit» e che presero parte alla battaglia dei Cinque eserciti alle pendici della Montagna Solitaria. Anche i lupi presenti nelle trilogie cinematografiche appartengono a questa specie. Un warg, infine, fu il primo nemico che Erfea affrontò ancora giovanissimo (leggi qui).
I warg di Sauron I “veri warg”, conosciuti anche come “Lupi Demone” o “Lupi di Sauron”, appaiono come grossi Warg, ma sono in realtà esseri non-morti creati con una potente magia malvagia. Agiscono esclusivamente durante le notti più buie, quando per gli uomini è più difficile rendersi conto che essi svaniscono quando vengono colpiti a morte.
Una delle scene più emozionanti de «La Compagnia dell’Anello», secondo me, è proprio quella in cui Frodo & Co. devono affrontare un branco dei Warg. Mi rammarico che questo punto focale della narrazione non sia stato ripreso nell’omonima pellicola cinematografica: mostra infatti come i segugi di Sauron avessero ormai raggiunto la Compagnia alle pendici delle Montagne Nebbiose. Il combattimento che ne segue è a dir poco spettacolare: la Compagnia si difende strenuamente e in quell’occasione abbiamo modo di ammirare uno dei rari incantesimi che Gandalf adopera durante il viaggio dei nove viandanti. «Nella luce vacillante del fuoco, Gandalf parve improvvisamente ingigantirsi: si eresse, una grande figura minacciosa pari al momumento di qualche antico re di pietra innalzato in cima ad un colle. Chinandosi come una nube, colse un ramo incandescente e andò incontro ai lupi. Essi retrocedettero innanzi a lui. Allora Gandalf lanciò in aria il tizzone fiammeggiante; una vampa si levò da esso, improvvisa e bianca come un lampo; la sua voce rombò come tuono. “Naur an edralth ammen! Naur dan i ngauroth” gridò. Con un mugghio ed un crepitio, dall’albero sulla sua testa fiorirono e verdeggiarono fiamme accecanti. Il fuoco volò da una chioma all’altra; l’intera collina fu incoronata da una luce abbagliante. Spade e pugnali dei difensori scintillavano e vibravano. L’ultima freccia di Legolas prese fuoco in volo, e si tuffò incandescente nel cuore di un grosso capo-tribù. Tutti gli altri fuggirono».
È solo allo spuntare dell’alba, tuttavia, che la verità viene svelata: esplorando i dintorni del colle sul quale la Compagnia si è ritirata durante la notte per meglio difendersi, i suoi membri si rendono conto che i cadaveri dei lupi sono scomparsi e – elemento forse ancora più agghiacciante – tutte le frecce che Legolas aveva scagliato (eccetto una che aveva preso fuoco) sono rimaste conficcate qua e là sui pendii della collina. Tolkien – che è un maestro della narrazione – a quel punto lascia intendere la verità pur senza svelarla apertamente: «È come temevo […] Questi non erano comuni lupi in caccia di prede nelle zone selvagge» si limita ad osservare Gandalf.
Gli warg delle due trilogie cinematografiche, invece, assomigliano curiosamente a un grande mammifero della preistoria che abitava milioni di anni nello Stato oggi noto come Mongolia e che da questo prende il nome di «Andrewsarchus mongoliensis». La somiglianza tra le due creature, come potete osservare nella seguente foto, mi sembra piuttosto palese.
Spero che questo articolo vi sia piaciuto…aspetto i vostri commenti, alla prossima!
P.S. Per quanto riguarda il «Ciclo del Marinaio», continuo ad aggiornare periodicamente la pagina su wattpad e a scrivere il racconto dedicato alla fanciullezza di Miriel e di Pharazon…lavoro permettendo spero di potervi presto presentare novità in proposito!
Aggiungerò che è stato estremamente piacevole rileggere la prima avventura per intero, avendo cura, inoltre, di correggere alcuni errori che erano rimasti nella precedente stesura…il brano che racconta del primo ballo tra Erfea e Miriel, in particolare, mi ha emozionato ancora a distanza di tanti anni.
Scrivo questo articolo perché intendo affrontare un argomento che trovo particolarmente stimolante: le fan-fiction di ambito tolkieniano.
Sarò piuttosto schietto: non amo particolarmente questo termine, forse perché, quando ho iniziato a scrivere i miei racconti, tanti anni fa, le fan-fiction non esistevano così come sono intese adesso. O meglio – per essere più precisi – non esistevano quei circuiti di comunicazione, spesso on-line, attraverso i quali possono oggi essere lette centinaia di fan-fiction ambientati negli universi letterari più disparati: da Harry Potter alle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, a Star Wars.
E anche Tolkien, certo. Già. E qui iniziano le noti dolenti.
L’appassionato tolkieniano manifesta generalmente un atteggiamento ambivalente nei confronti dell’universo creato dal professore di Oxford: per un verso lamenta la mancanza di approfondimenti di personaggi e di eventi che vengono solo accennati all’interno delle sue storie, per un altro si dimostra, in molti casi, ostile nei confronti di chiunque osi mettere mano all’impressionante mole di racconti che compongono il legendarium tolkieniano. Non ho potuto fare a meno di notare, inoltre, come questo atteggiamento di ostilità sia diretto soprattutto nei confronti di coloro che intendono allargare l’orizzonte dal punto di visto contenutistico, mentre, in generale, ho osservato una maggiore benevolenza nei confronti di quanti si occupano dell’aspetto linguistico delle sue opere. Intendiamoci: non ho alcuna intenzione di sminuire questo carattere basilare del legendarium tolkieniano; anzi, si potrebbe tranquillamente affermare che la creazione dei vari linguaggi abbia proceduto l’elemento storico e descrittivo della Terra di Mezzo. Nessuna meraviglia, sotto questo aspetto: la formazione accademica di Tolkien era quella di un filologo, ragion per cui non c’è da stupirsi che fosse molto attratto dalla componente linguistica.
Ciò che mi lascia perplesso, invece, è il grado di «sospensione della realtà» che molti cultori tolkieniani esercitano nei confronti di quanti ne hanno sviluppato e arricchito l’apparato linguistico, pur sapendo perfettamente che, in molti casi, si tratta di rielaborazioni che partono, senza dubbio, dagli scritti di Tolkien, per poi cercare, tuttavia, inevitabilmente, di arricchirne le forme e i contenuti lessicali. Personalmente non sono contrario a questi studi: ammetto di non essere particolarmente attratto dai linguaggi (probabilmente anche per via dei miei studi), ma ritengo che sia un’azione lodevole quella di approfondire le basi portanti del legendarium tolkieniano. Il quesito che vorrei porre a questi appassionati tolkieniani è semmai il seguente: perché accettate che questo o quello studioso contemporaneo «vada oltre» le indicazioni di Tolkien stesso quando si tratta di un approccio linguistico e invece siete meno interessati (e in qualche caso vorrei dire meno tolleranti) nei confronti degli scritti che intendo approfondire il suo legendarium? (Per carità di patria, taccio su quanti accettano tutte le modifiche apportate da Jackson alla trama del Signore degli Anelli, e poi disprezzano qualsiasi tipo di fan-fiction perché non «è come nel libro» [cit.]).
Immagino già la prima risposta (o almeno una delle più plausibili): chi indaga sulle lingue si preoccupa (giustamente) di studiare approfonditamente le basi delle favelle elfiche prima di avanzare nuove ipotesi relative alla sintassi, al lessico ecc. delle lingue tolkieniane. Chi scrive fan-fiction, invece, (in molti casi) lo fa per dare spazio ai suoi sogni reconditi, alla capacità di calarsi nella Terra di Mezzo dall’alto «per vedere – come recitava una vecchia canzone – l’effetto che fa». In linea teorica, non sono contrario a queste scritture: l’unica cosa che non comprendo è come gestire un percorso narrativo che rischia di stravolgere tutto quello che ha scritto Tolkien stesso. Mi spiego meglio: anni fa, iniziai la lettura di una di queste storie nella quale Boromir, anziché essere ucciso dagli Orchi di Saruman, finiva coll’essere salvato da suo fratello Faramir e dai suoi soldati…e confesso di non aver voluto proseguire. Non sono riuscito a capire il senso di questa storia (non entro nella questione dello stile, perché, ad essere sinceri, non lo ricordo più): che senso ha cambiare un passaggio chiave di una narrazione per poi inventare un percorso che finisce collo stravolgere del tutto la narrazione stessa? Mi si risponderà: perché ho sempre desiderato che Boromir non morisse, oppure che Eowyn sposasse Aragorn o ancora che gli Elfi non abbandonassero la Terra di Mezzo…e potrei continuare a lungo. Forse, al di là dei gusti personali, queste storie potrebbero essere intese – con un significato diverso da quello tradizionalmente attribuito – come vere fan-fiction, nel senso che raccontano dei legami intercorsi fra lettori e i loro personaggi preferiti, senza però badare al grado di realizzabilità dei loro progetti rispetto alla cornice generale.
Questo sviluppare (e diffondere) racconti che non si preoccupano minimamente di salvaguardare la coerenza del legendarium tolkieniano mi avvilisce, perché, nella loro ingenuità, finiscono col trascinare verso il basso tutti quelli che cercano di apportare contributi nuovi alla Terra di Mezzo, senza tuttavia rimetterla in discussione.
Negli anni scorsi, tuttavia, ho anche avuto modo, per fortuna, di leggere racconti molto originali ambientati nella Terra di Mezzo: uno narrava di una fanciulla del popolo Haradrim che, dopo una serie di traversie, si recava nel regno di Gondor e apprendeva l’arte della Guarigione nelle Case che da essa prendono il loro nome. Un altro racconto, invece, era costruito come una sorta di dialogo fra un figlio e un padre, numenoreani, che discutevano intorno alla follia di Pharazon. Spiace dover constatare che, purtroppo, a causa dei vari trasferimenti che ho vissuto, non sono riuscito più a recuperare questi scritti. Non credo, beninteso, che esista una «formula magica» obbligatoria per scrivere questo genere di racconti: mi limiterò a offrire una serie di suggerimenti di buon senso, che potrebbero essere utili a chi volesse provarci.
1) Scegliete con attenzione quali personaggi/eventi volete approfondire. Sconsiglio di dedicarvi alla parte finale della Terza Era, perché costituisce il nocciolo del «Signore degli Anelli» e di altri scritti collaterali: ammetto, naturalmente, che esistano degli spazi ancora «bianchi», come per esempio il destino della Bocca di Sauron o quello di Radagast, tuttavia sono inferiori rispetto a quelli offerti da altri contesti; a meno che, ovviamente, non desideriate approfondire soggetti ed eventi non particolarmente legati alla Guerra dell’Anello (e alle regioni nelle quali si combatté), come, ad esempio, Umbar a sud oppure il Forochel a Nord. La Seconda Era, da questo punto di vista, si caratterizza per poter essere indagata con una maggiore «libertà» d’azione narrativa rispetto alla Prima e alla Terza.
2) Scegliete con attenzione lo stile da utilizzare. Nessuno pretende (o può pretendere da voi) di essere un emulo di Tolkien, ci mancherebbe, però una certa coerenza di stile renderebbe il vostro racconto più fedele allo stile del professore di Oxford e maggiormente riconoscibile come «tolkieniano». Sarebbe stimolante – lo ammetto – anche utilizzare, di contrasto, uno stile totalmente diverso, però ritengo che sia più difficile farlo: bisognerebbe padroneggiare a tal punto la materia tolkieniana per poterla, in qualche modo, ribaltare…un po’ come faceva Picasso con la sua arte rispetto a quella tradizionale (e, ammettiamolo, di Picasso in giro per il mondo non ce ne sono tanti!)
3) Dosate con equilibrio la miscela esistente fra personaggi «tolkieniani» e personaggi «non tolkieniani», cioè inventati da voi. Per esperienza personale, trovo sia meglio avere un/a protagonista «non tolkieniano/a» per godere di migliore libertà d’azione. Al limite, vi suggerisco di «adottare» un personaggio poco trattato da Tolkien in modo da avere una cerniera ideale tra i suoi scritti e i vostri. Non abusate, invece, di personaggi come Frodo, Aragorn, Gandalf, Sauron etc.; non perché non siano interessanti – ci mancherebbe! – ma perché la loro trattazione richiederebbe la conoscenza di tutte le fonti disponibili (anche di quelle eventualmente inedite in Italia). Un compito, questo, che potrebbe atterrire chiunque. Se volete concedere loro un cameo, fatelo pure – renderà certamente il vostro racconto più famigliare agli occhi di chi legge – ma senza fare di questi personaggi…i vostri personaggi.
4) Ultimo consiglio: non siate mai – e sottolineo il termine mai – ostili a priori nei confronti di qualsiasi racconto o fan-fiction: se ne avete voglia e modo, provate a leggerli…e mal che vada, lasciate perdere. Nessuno ve ne farà una colpa, anzi: un vostro commento (ben motivato, s’intende!) potrebbe aiutare chi scrive a migliorarsi. L’indifferenza, anche in questo settore, è sempre una gran brutta bestia.
Mi piace concludere questo articolo con un invito e un auspicio: si può scrivere di Tolkien, con Tolkien e per Tolkien stesso avendo però a mente le parole che pronuncia Gimli a Legolas in merito ai suoi progetti di trasferire una parte dei Nani nelle Caverne Scintillanti:
«Abbatti tu, forse, boschetti di alberi in fiore per raccoglier legna in primavera? Noi cureremmo queste radure di pietra fiorita, non le trasformeremmo in miniere. Con cautela e destrezza, un colpetto dopo l’altro, un’unica piccola scheggia di roccia e nient’altro, forse, in tutta una giornata ansiosa: tale sarebbe il nostro lavoro, e col passar degli anni apriremmo nuovi sentieri, scopriremmo nuove stanze lontane e ancor buie che s’intravedono ora come un vuoto dietro fessure nelle roccia. E le luci, Legolas! Creeremmo luci, lampade come quelle che risplendevano un tempo a Khazad-dum; e secondo il nostro desiderio potremmo allontanare la notte che sommerge le caverne da quando furono innalzati i colli, o lasciarla rientrare per cullare il nostro riposo».