Ritratti – Miriel ed Erfea…e un nuovo racconto

Bentrovati! In attesa di poter ammirare Annatar, il Signore dei Doni, sono lieto di mostrarvi due illustrazioni che, seppure non inedite nelle loro linee essenziali, sono state ora rivisitate dalla ormai nota Anna Francesca per mostrarvi i due protagonisti principali del «Ciclo del Marinaio»…Erfea e Miriel! Spero possano piacervi almeno quanto sono piaciuti a me, specialmente la bella Miriel! Se vi state domandando a quale età sono stati ritratti i due Numenoreani, la risposta potrete leggerla (o rileggerla) nel «Racconto del Marinaio e del Messere di Endore», nel quale i due giovani si rincontrano dopo la lunga assenza di Erfea da Numenor, alla festa di compleanno di quest’ultimo: Uccidete Miriel! Complotto a Numenor. Sono emozionato, inoltre, nell’accompagnare queste due bellissime immagini con alcune righe di un nuovo scritto (a cui attualmente ho dato il titolo di «Il Racconto della Rosa e del Ragno») che sto scrivendo, dopo anni di silenzio. Posso solo anticiparvi che tratterà di un aspetto che finora non è stato molto approfondito, ossia i motivi che spinsero Miriel a mentire sulla sua reale identità a Erfea in occasione del loro primo incontro…

«Nel silenzio, interrotto solo dal lento crepitio del fuoco nel caminetto, entrambi serbavano gelosamente i propri pensieri, incapaci di proferire parola: infine, non riuscendo a soffocare le emozioni nel proprio cuore, simili agli scrosci di una cascata impetuosa, gonfiata dalle acque del disgelo primaverile, la voce della fanciulla si levò alta, rivelando la natura della sua eccitazione adolescente che né consigli, né pareri avrebbe tollerato, ma solo chiedeva di potersi specchiare nel suo inganno: “L’ho conosciuto, padre. Il figlio di Gilnar, l’erede al trono dello Hyarrostar. Camminava poco oltre la scogliera, nei grandi giardini in rovina di Armenelos, ove più nessuno della nostra gente si reca da molti anni: fu lì che i nostri percorsi si incrociarono. Tuttavia – riprese dopo alcuni istanti, a voce più bassa, come se la luce nel suo animo si fosse offuscata e l’inganno al quale aveva ciecamente creduto sino a qualche tempo fa si fosse dissolto improvvisamente – questo tu lo sai già, nevvero? I tuoi servi sono ovunque, né io posso evitare la loro costante e severa sorveglianza”. L’entusiasmo che inizialmente aveva caratterizzato la sua voce stava ora svanendo, lasciando il posto a una lamentela che l’uomo non poté fare a meno di trovare irritante, sebbene fossero stati i suoi ciechi desideri di controllarla all’origine del suo malcontento: alzò impaziente una mano, nel tentativo di rabbonirla, sebbene il suo intento non fosse quello di calmarla, quanto di incoraggiarla a proseguire nella sua narrazione: “Con quale nome ti sei presentata a lui, questa volta? Certo, non avrai adoperato quello che ti ho affidato quando ancora eri in fasce”. La bionda fanciulla si fermò, esitante: non era certa di comprendere le sue intenzioni, tuttavia la fiducia nella saggezza paterna era tale da rimuovere le paure dal suo cuore: così rise per l’inganno al quale aveva sottoposto il principe dello Hyarrostar, eppure non vi era malizia nella sua voce, né menzogna nelle sue affermazioni, ché ella era invero una fanciulla saggia per quanto l’età e il carattere glielo permettessero. Gaio ed acuto era il suo animo; per lei il nome e il casato del giovane uomo con il quale aveva discorso durante il luminoso meriggio non avevano alcuna importanza e se serbava in cuor suo un gran segreto non era per compiacere il padre o la madre. Al contrario, era in lei un sentimento di felicità misto al timore di non essere in grado di conoscere le sue paure a spingerla ad agire con quella condotta: simile a un vino ancora acerbo, nel cui sapore resinoso e forte il proprietario della vigna riconosce la bontà lenta a maturare del frutto del suo lungo e duro lavoro, così l’animo della fanciulla era pervaso dell’ebbrezza della menzogna, alla quale non voleva né intendeva sottrarsi, volendo assaporare, lentamente e di nascosto, il sapore acre e genuino del suo animo e del suo corpo che maturavano in quegli anni. Anelava al potere e all’autorità che le venivano da quella menzogna, non vi era dubbio; tuttavia se in tali maliziosi pensieri la sua mente si soffermava, pure non avveniva perché fosse incapace di parole e gesti sinceri; al contrario, per lei aveva importanza solo il suo essere finalmente libera dai rigidi lacci che un’educazione severa aveva gettato su di lei. “La fanciulla del mare – rispose infine, senza celare più il suo pensiero – Gli ho detto che sono figlia di pescatori e che la mia dimora è lungi da Armenelos, nella lontana regione di Andunie”. I suoi azzurri occhi brillavano mentre pronunciava queste parole: eppure, nonostante le sue affermazioni lasciassero trapelare la sua gioia, ella non aveva ancora raggiunto il culmine della sua eccitazione. Passò una mano velocemente sui propri capelli, quasi a voler cacciare via un pensiero molesto, indi proseguì: “Il figlio di Gilnar ha un nome insolito, per essere uno dei Pari dell’Isola. Egli ha nome Erfea, che nella lingua degli Elfi d’Occidente significa “spirito solitario”. “Non è forse questa padre – concluse la fanciulla, ebbra del suo trionfo – la ragione per cui mi hai spinto a cambiare vesti questa mattina, abbandonando lo scuro broccato e il bianco tintinnare dei diamanti a favore dell’umile argento e delle semplice vesti di chiaro cotone intessute?” L’uomo assentì lentamente, più rivolto a sé stesso che alla figlia: infine sospirò e il suo animo si rasserenò. Sua figlia aveva superato la prova, dunque».